Corriere della Sera - La Lettura
Gloria a Starnina: il Bambino vispo è diventato grande
Il «Trittico» a Firenze
Nonostante la presenza di capolavori di Masaccio, Masolino, Lorenzo Monaco e Paolo Uccello, l’anno scorso, nella provocante mostra che la Galleria dell’Accademia, a Firenze, aveva dedicato a Giovanni dal Ponte, definito «protagonista dell’Umanesimo gotico», gli occhi non potevano staccarsi dal trittico di Gherardo Starnina (1354 circa - 1413 circa), giunto dal Museo Martin von Wagner di Würzburg, in Germania. Al punto di oscurare il protagonista della mostra, il cui concerto d’angeli ai piedi dell’Incoronazione della Vergine, messo a confronto col gruppo di angeli musicanti dipinto dallo Starnina nel Trittico, sembrava perdere luce. I colori del Trittico sono proprio quelli di un prato fiorito, mentre i suoi angeli, nel toccare arpe e viole, dimostrano una grazia paradisiaca. Intorno a un lembo di veste bianca damascata in oro, che sfugge sotto il manto carico d’un azzurro notturno della Vergine, si dispongono le ali degli angeli, alcune di azzurro pervinca, altre di giallo zafferano, mentre i loro manti variano dall’arancio al verde oliva, a due gradi di viola.
Gherardo era stato alle corti di Valencia e Aragona e aveva importato a Firenze le estreme ricercatezze del gotico transalpino, tanto che nelle figure di santa Margherita, san Filippo, san Pietro e Maria Maddalena, dipinte negli sportelli laterali del Trittico, gli orli delle vesti formano meandri sinuosi, nel cui inseguimento lo sguardo si perde. Seduta in trono sotto un baldacchino di marmo, la Madonna è una regina. Il Bambino la fruga sul petto e, cercando complicità, si volge allo spettatore. È appunto la vivacità del Bambino che ha dato allo Starnina, finché non fu riconosciuta la sua identità, il nome provvisorio di «Maestro del Bambino vispo».
Il prestito eccezionale delle tavole di Würzburg è stato l’occasione per ricerche condotte dall’Opificio delle Pietre Dure e per due giornate di studi presso la stessa Galleria dell’Accademia e l’Università degli Studi di Firenze in cui è emersa (finalmente) l’importanza del Trittico certificato come «una delle pitture più rappresentative della pittura tra gotico internazionale e primo Rinascimento». Oltre, naturalmente al restauro (nella foto sopra), concluso con la meraviglia di trovare che le tavole si erano «mantenute fresche e belle», come aveva scritto Vasari a proposito d’un’altra opera (stavolta perduta) di Gherardo, ovvero «come se ella fusse fatta pur ora». Qualità tecnica dei grandi maestri. Nei due pannelli laterali ogni santo è sormontato da una cuspide, suggerendo così piuttosto un pentittico. Anche la tavola centrale della Madonna, rettangolare, conserva sull’oro la traccia d’un arco acuto, indizio d’una cornice fastosa, purtroppo perduta, alla quale dovettero appartenere piccole tavole che formavano la predella o che ornavano i pilastri della cornice, oggi disperse e non tutte ritrovate.
La mostra, dovuta alla collaborazione tra Angelo Tartuferi e Lorenzo Sbaraglio, anticipa un progetto di cooperazione internazionale che presto porterà alla ricostruzione temporanea del polittico per un’esposizione al Martin von Wagner. Un progetto in qualche modo simbolo delle iniziative recenti, originali e motivate, del museo fiorentino, altrimenti noto soprattutto perché custodisce il David di Michelangelo, condotte sotto la direzione di Cecile Hollberg (uno dei due tedeschi, con Eike Schmidt agli Uffizi, alla guida dei musei fiorentini). Mostre che (come quella su Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento) vogliono presentare la Galleria dell’Accademia in tutta la sua bellezza.