Corriere della Sera - La Lettura
Acaccia dello squalo pensando (anche) a Rimbaud e Melville
L’intervista Morten Strøksnes racconta il suo libro: «È frutto della mia esperienza, con qualche invenzione letteraria»
Con il suo Libro del mare, bestseller 2017 del catalogo Iperborea con oltre tredicimila copie vendute nell’anno, un risultato importante anche consider a ndo l a nat ur a i br i da del te s to, t r a reportage, romanzo e trattato, il norvegese Morten Strøksnes, 53 anni, ha conquistato i lettori italiani. Lo scrittore sarà tra i protagonisti de I Boreali e a «la Lettura» racconta così la scelta di confrontarsi con l’epica del mare: «Chi scrive un libro ambientato in mare, per di più con la pretesa di affrontare il tema in senso ampio, si ritrova davanti un canone capace di intimidire. Per non perdermi, mi sono dato due punti di riferimento, Il battello ebbro di Rimbaud e la Storia dei popoli settentrionali di Olao Magno, ma intesi solo come fari ideali, perché il mio piano era di andare direttamente in mare e vedere cosa sarebbe successo. È vero che Melville, poi, si è rivelato cruciale, ma anche la sua presenza nel libro è sgorgata dagli eventi, non viceversa: la prima cosa che è capitata a me e al mio amico Hugo quando siamo usciti in mare per dare la caccia allo squalo gigante — perché, sì, lo abbiamo fatto veramente — è stato incontrare un capodoglio. Ne sono stato molto felice, sia perché è una bellissima esperienza in sé, sia perché mi avrebbe permesso di dialogare con Moby Dick restando, per così dire, con la coscienza pulita».
Forse è proprio dall’aver seguito il filo di eventi reali che viene quella capacità che ha «Il libro del mare» di mantenersi così scorrevole pur andando a fondo nelle questioni simboliche.
«Sono felice quando i lettori mi riferiscono letture del genere, e per quanto tale livello ci sia, devo dire che non sono sicuro di avere qualche merito. Il fatto è che il mare, e tutta la vita, la storia, la letteratura, i fenomeni naturali a esso legati, sono fonti ricchissime: tutti sanno qualcosa del mare, tutti hanno esperienze legate al mare, e quando queste entrano in risonanza con quelle che racconto io, il lettore finisce per attribuire una portata simbolica agli eventi del mio libro. Viene dal lettore, questo potere: dal lettore, e dalla ricchezza intrinseca che ha il mare».
La Norvegia, almeno nella percezione generale, è un Paese a forte carattere marittimo, ma non si sa molto dei suoi scritti marinareschi.
«È vero, la Norvegia è un paese marinaro e lo è sempre stata, fin dai tempi dei vichinghi, tuttavia l’identità nazionale, l’idea di cosa dovrebbe essere la “cultura norvegese”, fu fondata da nazionalisti di ispirazione romantica alla fine dell’800. Secondo quella gente, per trovare il vero spirito norvegese, si doveva andare tra i contadini dell’entroterra: dato che lì non c’erano state influenze esterne per secoli, costoro non potevano che essere l’epitome della norvegesità. Il che è ridicolo. Eppure questa figura retrograda di contadino è diventata “il norvegese”, non senza ripercussioni. Se fa un giro al Museo di Storia nazionale, potrebbe uscirne con la convinzione che non abbiamo una costa. E guardi come trattiamo i nostri fiordi: li riempiamo di serragli per l’allevamento dei salmoni, una delle cose più inquinanti che esistano. Diffondono malattie e pidocchi di mare, per non parlare degli agenti chimici usati per disinfettarli…».
Il suo romanzo ha anche un’impronta ecologista.
« Il libro del mare ha una simile sottotraccia, ma spero di non averla resa troppo esplicita. Non mi piacciono i libri che mostrano un’intenzione pedagogica. Quello che faccio è cercare di portare la bellezza del mare e la preoccupazione per ciò che lo minaccia al cuore dei lettori, nient’altro. È importante però sottolineare che, per quanto possa sembrarlo, io non considero il mio un romanzo, ma un libro di “non-fiction creativa” poiché tutto ciò che vi racconto è vero… A parte le cose inventate: ma quando ne metto, mando sempre un messaggio al lettore per indicare che siamo entrati in una fantasmagoria o in una situazione ipotetica».
Un’altra definizione che gli si adatterebbe è quella di romanzo enciclopedico.
«Sono contento se sono riuscito in questo, perché non è facile inserire così tanti dati senza perdere leggibilità, e anche perché lavorando all’ultima bozza ho tagliato cinquanta pagine che ritenevo, appunto, troppo saggistiche per non mettere a rischio l’atmosfera avventurosa del libro».
Oggi il mondo è tutto esplorato. Il mare è l’ultimo posto in cui è possibile cercare avventura e mistero?
«Il mare è ancora pieno di segreti. Ci sono addirittura creature nuove, forme di vita sconosciute là sotto, come in un altro pianeta. Giusto qualche giorno fa ho letto di creature mai osservate, più grandi di quanto finora si ritenesse possibile, che vivono in profondità estreme.
E mostri marini: come il Kraken, Moby Dick o il suo squalo gigante.
«Per molto tempo si è pensato che fossero solo il frutto dell’immaginazione di marinai superstiziosi, ma la scienza è venuta a mostrarci che non erano descrizioni troppo lontane dalla realtà: il calamaro gigante, ad esempio, esiste e come, solo che non era mai stato fotografato. Solo un paio di anni fa uno di tredici metri è venuto fuori dal mare e ha rubato il bottino di un peschereccio russo: non era diverso dal Kraken della mitologia norrena. Anche lo squalo del mio libro, che è poi lo Squalo della Groenlandia, è stato descritto dalla mitologia. Può arrivare a otto metri per milleduecento chili, e quando io e il mio amico siamo usciti in mare per dargli la caccia, quel che sapevamo lo sapevamo da miti e storia, per il semplice fatto che non avendo tale squalo alcun valore commerciale per gli uomini moderni, non viene più pescato e quindi è stato quasi dimenticato — almeno fino a adesso».