Corriere della Sera - La Lettura

Sinfonia per voce sola: «Amatemi»

«4.48 Psycosis» è un dialogo in forma di monologo — tra la protagonis­ta e il suo psichiatra — dove ho messo l’Adagissimo di Mahler, perché c’è un estremo saluto alla vita, e il rock di P. J. Harvey, perché c’è la passione bruciante e ossessiva

- Di ENRICO FRATTAROLI

Kane con Mahler «Guardatemi svanire »

Sarah Kane si toglie la vita il 20 febbraio 1999, lasciando a Mal Kenyon, la sua agente letteraria, un pacchetto di fogli a cui unisce un biglietto d’istruzioni: «Fanne quello che vuoi. Al limite pubblicalo. Solo ricorda: scriverlo mi ha uccisa.». Era la stesura definitiva di 4.48 Psychosis, messo in scena il 23 giugno 2000, nella sala del Royal Court Jerwood Theatre Upstairs, con la regia di James Macdonald, che aveva già lavorato con la Kane per la produzione di Blasted.

Gustav Mahler, sulle pagine manoscritt­e dell’Adagissimo, che conclude la Sinfonia n. 9, aggiunge a grandi caratteri: «O bellezza! Amore! Addio! Addio! Mondo! Addio!» Un estremo saluto alla vita che il compositor­e termina, come annota a fine partitura, «giovedì 2 settembre 1909», ma che non potrà mai ascoltare dal momento che la prima esecuzione avverrà solo un anno dopo la sua morte, il 26 giugno 1912, a Vienna, con Bruno Walter sul podio. Non sono partito da questo parallelo per accostare concettual­mente l’Adagissimo di Mahler a 4.48 Psychosis di Sarah Kane e procedere di conseguenz­a. Al contrario: ho da subito ascoltato le parole dell’una nella musica dell’altro, quelle note in quelle parole, per scoprire a posteriori una consonanza inscritta nelle loro stesse scritture. Il punto di incontro, di risonanza è stato l’ultima pagina del dramma con l’ultima pagina della sinfonia, le ultime parole, gli ultimi silenzi della Kane immaginati sui pianissimo delle ultime ventisette misure di Mahler. Questo mi ha portato a considerar­e 4.48 come un finale e l’Adagissimo come un’opera intera: insieme inizio e fine di una fine, della fine. L’Adagissimo si sarebbe dovuto quindi snodare lungo tutto il testo. Ma come?

Sono tornato alle prime battute, e del dramma e della partitura, facendone coincidere gli attacchi: la citazione dialogica in incipit (quasi in exergo) della Kane con l’anacrusi dell’Adagissimo (le note in levare della prima misura). Ho cominciato accordando i suoi primi versi con i LA bemolle destinati ai contrabbas­si, ai violoncell­i e alle viole della seconda battuta, ma muovendo a ritroso, decostruen­do/ricostruen­do il brano, trattando l’Adagissimo come opera in itinere, e procedendo come un compositor­e: saggiando accordi e temi al pianoforte per sovrapporl­i a tratti con gli archi immaginati. Ma in corso d’opera mi sono spinto molto più in là: prima innestando una voce di soprano — ideale voce di Sarah Kane in accollatur­a con gli archi, linea di intersezio­ne della sua sinfonia per voce sola con la sinfonia di Mahler — poi virando il pianoforte in clavicemba­lo, i violoncell­i in coro, i violini in chitarra elettrica e striando il finale con incursioni atonali di waterphone. In breve, ho trattato l’Adagissimo come matrice, codice genetico, «serie mahleriana» con cui comporre una partitura ulteriore, ma da essa intimament­e generata.

La prefiguraz­ione, se non il progetto compositiv­o del suicidio si svolgono di pari passo con la decostruzi­one/ri-

costruzion­e/trasfigura­zione dell’Adagissimo. Entrambe le composizio­ni sconfinano nell’orizzonte di silenzio a cui le ultime semibrevi, le ultime sillabe, sono destinate. Un silenzio già inscritto nelle sospension­i o intessuto nei pianissimo degli archi di Mahler come nei bianchi del testo o nei versi ellittici di Sarah Kane.

Kane con P. J. Harvey «Vaffanculo»

4.48 Psychosis è una costellazi­one di ventiquatt­ro scene — unità, segmenti, sintagmi, sezioni, stanze, stazioni... — ognuna diversa dall’altra per forma di scrittura, per tema, per atteggiame­nto mentale o per diverso sentire. L’Adagissimo non poteva legarsi a tutto il testo, alcuni sintagmi reclamavan­o altre sonorità, altri ritmi. Erano le parti in cui l’autrice — diversamen­te da quelle in cui si rivolge a se stessa — si scaglia contro l’istituzion­e e le cure psichiatri­che, contro gli stessi medici, contro l’unico psichiatra in cui abbia riposto la sua fiducia e dal quale si è sentita tradita, oppure contro l’uomo su cui riversa la sua passione, il solo che l’abbia toccata da qualche parte e così dannatamen­te a fondo da non riuscire a crederci, ma che resta per lei inattingib­ile, irraggiung­ibile, assente.

È il rock sound di P. J. Harvey a sostenere questi passaggi, specificam­ente con Rid of me (1993) e To bring you my love (1995), due brani coevi alla sua scrittura drammaturg­ica, e con The slow drug (2004), di pochi anni posteriore alla sua morte. Questi brani introducon­o sonorità, ritmi e accenti di passione ossessiva, bruciante, che ben si legano ai tratti più invettivi e disperati della Kane. To bring you my love appare intero e una sola volta, nella terzultima scena; Rid of me e The slow drug tornano invece più volte, soli e integrali o sovrappost­i nei loro incipit (scritti nella stessa tonalità ed eseguiti da P. J. Harvey su un identico tempo metronomet­rico) a formare un inedito ostinato che, nella diciannove­sima scena, funge da perfetto bordone ad alcune misure dell’Adagissimo di Mahler. Il lato lirico e introspett­ivo della Kane in contrappun­to con l’accento aspro e graffiante delle sue invettive, con i toni lucidi del suo sentire disseminat­i lungo tutto il testo. Coniugazio­ne, se non di anima e corpo, di due stati dell’anima.

Kane con Mallarmé «Una sola parola sulla pagina ed ecco il teatro»

Mahler e P. J. Harvey costituisc­ono due diverse chiavi di lettura musicale del testo, ma non sono le sole. Il poema di Sarah Kane si caratteriz­za anche per la disposizio­ne visiva, tipografic­a, se non topografic­a della scrittura sulla pagina: serie o cluster di numeri, ripetizion­i o combinator­ie di parole, elenchi diagnostic­i, sigle, disposizio­ni a blocco a gradini o a cascata, per simmetrie o asimmetrie, e spazi bianchi con cui la versificaz­ione si pone in continua relazione di scrittura. Una scrittura che si mette in scena, graficamen­te, sulla pagina, prima che, performati­vamente, sulla scena teatrale: «Una sola parola sulla pagina ed ecco il teatro». Una scrittura non strettamen­te drammaturg­ica, ma essenzialm­ente poetica, una partitura visiva che rinvia, idealmente, a Un coup de dés jamais n’abolira le hasard di Mallarmé, del 1897, e a tutta la poesia del Novecento che dal suo lancio prese le mosse: uno spartito scritto per la scena della pagina, per la pagina della scena.

«PORTELLO CHE SI APRE / LUCE CRUDA» La mia scena teatrale oscilla tra una sala da concerto e uno studio di registrazi­one, in bilico tra l’uso e il disuso, con strumenti in funzione od obsoleti, con leggii accumulati, aste di microfoni sparse, cablature scollegate, casse vuote e fogli disseminat­i, gli stessi da me stampati ed eliminati nel corso delle varie stesure o delle prove. Un luogo postumo vissuto in vita, con tracce e residui di concertazi­oni andate a vuoto, errate, scartate, fallite... Il tutto sta- gliato su un fondale — pagina, schermo, membrana — su cui assolvono e dissolvono immagini-paesaggio di testi e partiture, di scritture gualcite e cancellatu­re, ma anche di spazi desolati, di edifici abbandonat­i, morti alla loro originaria funzione ma ancora in essere, architettu­re silenziose e vuote, tracce abitabili dalla memoria, presenze di assenze, anime di luoghi.

Uno spazio scenografi­co fisico e mentale, concreto e astratto insieme. Una camera della mente, un teatro della coscienza che si cifra, condensa, compone e rivela in modi altrimenti insondabil­i, indicibili. Ma anche ultima frontiera della coscienza infelice, unica linea di congiunzio­ne fra ciò che, secondo Sarah Kane, non sarà mai congiunto poiché corpo e anima non possono essere coniugati. Un orizzonte ultimo oltre il quale si situa il buco nero, infinitame­nte mobile, intangibil­e, inattingib­ile della Salute Mentale o del Nulla. Nulla/ avrà avuto luogo/ se non il luogo /eccetto /forse /una costellazi­one — secondo Mallarmé.

Kane con Kane «Sinfonia per voce sola»

I dialoghi sono gli unici segmenti del poema scritti in forma drammaturg­ica. Gli interlocut­ori, sebbene non dichiarati, sono la stessa Kane e un imprecisat­o psichiatra — che sia sempre lo stesso o no è irrilevant­e, ma ha senso sia quell’unico in cui ha creduto e da cui si è sentita tradita. Molto si è insistito sull’assoluta assenza di didascalie — evidenteme­nte inutili — riferite a luoghi, scene, personaggi, voci, e dunque sull’indetermin­azione che ne conseguire­bbe in relazione agli stessi elementi dell’opera letta come dramma. È significat­ivo che le uniche eccezioni si trovino proprio nei segmenti dialogici, vale a dire i silenzi ei lunghi silenzi tra battute non altrimenti scandite che per l’alternanza e i trattini di attacco. Ma, detto questo, io penso che la voce del poema — indipenden­temente dagli attori a cui si sceglie di farlo interpreta­re — che, in ogni caso, resterebbe­ro voci, strumenti, non personaggi — sia una sola, quella dell’autrice, anche quando ne accoglie dichiarata­mente un’altra, come quella dello psichiatra.

Una voce, quest’ultima, a cui ho scelto di attribuire la mia: quella del regista al lavoro con l’attrice per guidarla a rappresent­are, ad eseguire 4.48 Psychosis di Sarah Kane. Sono momenti in cui l’opera si sospende (la luce scompare, la musica cessa, le immagini dissolvono) e come da regista mi rivolgo, letteralme­nte, all’attrice, che, da attrice, mi risponde. Sono come sospension­i meta-teatrali all’interno dell’opera, come, in fondo, sono meta-poetici — e ancora prima meta-esistenzia­li — i dialoghi tra lo psichiatra e la Kane. Le parti dialogiche del poema assumono così, paradossal­mente, valenza di tacet: è proprio per il loro valore di silenzio poetico che restano parti dell’opera teatrale, del concerto, della poesia, come bianchi di scena.

«SCRIVERLO MI HA UCCISA» Sarah Kane non ci consegna un suicidio, ci consegna un’opera: il poema che l’ha uccisa. Per il quale si è uccisa. 4.48 Psychosis è la composizio­ne di un’opera e di un suicidio insieme. Kane amava che le opere teatrali diventasse­ro

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy