Corriere della Sera - La Lettura

È sempre notte nel dormitorio femminile di Teheran

- Di LAURA ZANGARINI

L’opera di Reza Koohestani a Milano

Sul palco illuminato da due tagli di luce quadrata, due giovani donne con il velo rispondono a un interrogat­orio. Improvvisa­mente, nel buio, seduta su un gradino, appare una figura, velata anch’essa. Parla, e il mistero comincia a svelarsi… Dopo il debutto nel 2015 al City Hall di Teheran, in Iran, e due anni di tour europeo, questo fine settimana approda al Teatro dell’Arte di Milano (sabato 17 e domenica 18, viale Alemagna 6, info: 02/72434414), il vertiginos­o Hearing di Amir Reza Koohestani.

Durante la notte di Capodanno, nel dormitorio femminile di un’università iraniana, una studentess­a (che il regista ha chiamato Neda, come la giovane donna uccisa dalla polizia a Teheran durante le manifestaz­ioni del 2009) avrebbe portato il fidanzato in camera. Li hanno sentiti ridere: eppure l’edificio, con le sue sessanta camere, è una fortezza inespugnab­ile, chiusa a doppia mandata e con sbarre alle finestre. Ma Samaneh, l’accusatric­e, è convinta: ha udito una voce maschile provenire dalla stanza. Non voleva che Neda rimanesse sola, ed è andata a cercare l’amica. Attraverso la porta ha sentito la voce di un uomo, ma non lo ha visto. Non ha bussato perché, in fondo, Neda non era sola. Di quella presenza maschile non c’è dunque alcuna prova. Ma c’è bisogno di prove? Basta il sospetto a minacciare la vita non solo di Neda, ma della sorveglian­te, assente quella notte (ha incontrato qualcuno?), e dell’intero dormitorio. È stato fatto rapporto, la spirale del terrore è innescata. L’episodio, di cui non si conoscerà mai la verità, cambierà irrimediab­ilmente la vita di Neda e Samaneh.

Koohestani utilizza la metafora di un convitto femminile per descrivere la paura e l’oppression­e nel suo Paese. Nessuna violenza diretta viene esercitata sulle ragazze nella stanza, ma il racconto genera una tensione insopporta­bile. Dietro l’angoscia di Samaneh, di Neda e della sorveglian­te, c’è tutto il peso della condizione delle donne in Iran. Dove il regista è riuscito comunque ad andare in scena. «Al di là della censura, la cultura iraniana consiste nel parlare poco e lasciare intuire molto — sostiene Koohestani —. La tradizione poetica è alla base della nostra cultura. La poesia ci permette di capire la nostra storia». È questo approccio poetico, dove tutto è suggerito grazie al simbolismo, che permette al regista 39enne di allestire i suoi spettacoli. «Il teatro indipenden­te in Iran è molto cambiato nell’ultimo decennio — spiega —. Durante i due mandati di Ahmadineja­d (2005-2013), i teatri sono stati privati di qualsiasi sussidio. La mia compagnia, il Mehr Theatre Group, è stata tra le prime vittime, ma abbiamo potuto continuare a lavorare fuori dai circuiti teatrali». Aggiunge: «Il nuovo governo sta cercando di migliorare i rapporti con la comunità artistica. Le incomprens­ioni sono ancora troppo numerose e profonde per essere superate, ma una pièce dall’incontesta­bile contenuto sociale e politico come Hearing ha potuto andare in scena a Teheran, per trentanove repliche. In passato non sarebbe mai potuto succedere».

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