Corriere della Sera - La Lettura
Amazon City in Calabria
Luoghi futuri Conflenti è (era) un borgo sulle montagne della pre-Sila destinato a sparire. Finché un docente dello Iuav di Venezia (originario di queste parti), un sindaco intraprendente e un vicepresidente del colosso di Seattle (anche lui originario di
Nessuno sa dov’è, questo paese di millecinquecento persone nascosto sulle montagne della pre-Sila, fra le province di Cosenza e di Catanzaro. Eppure si trova praticamente al centro della Calabria. Dista mezz’ora dal mare Tirreno, tre quarti d’ora dall’aeroporto internazionale di Lamezia Terme, un’ora dal mare Ionio, 160 chilometri da Rocca Imperiale Marina, all’estremità nord della regione, e 170 da Reggio Calabria. Ma è come se questa sua centralità geografica invece di essere un vantaggio ne nascondesse l’esistenza e relegasse Conflenti in fondo al buco nero del mondo ignoto. I casi della vita, le storie personali, i tragitti dell’anima non sono però meno tortuosi delle strade calabresi tutte curve e saliscendi. E dietro ogni tornante possono riservare una sorpresa, alla fine di ogni salita offrire un punto di vista più ampio e suggerire un’idea, una via d’uscita. Anche per un paese che negli ultimi cinquant’anni è stato svuotato dall’emigrazione di due terzi della popolazione, in prevalenza giovani e per lo più «affamati».
Conflenti è due borghi in uno, attaccati l’uno all’al- tro, a una altitudine di 550 metri: Conflenti Inferiore e Superiore, ma una sola comunità, accucciata ai piedi del monte Reventino, 1.416 metri di boschi e ossigeno.
Insediamento neolitico risalente a duemilacinquecento anni fa, popolato — come racconta nel suo libro Conflenti lo storico Vincenzo Villella — da una parte di quei Brezii, o Bruzii, giunti sulla Sila dalle regioni balcanico-danubiane di Illiria, Tracia, Epiro e Anatolia, Conflenti fu anche rifugio per i monaci basiliani approdati in Italia meridionale tra il IX e il X secolo. Successivamente ospitò quegli ebrei arrivati nel Sud Italia già nel VII e VIII secolo in seguito alla conquista araba di Gerusalemme, i quali, sebbene espulsi dal Regno di Napoli in base all’editto del 1510 voluto dal re Ferdinando il Cattolico, scelsero di non abbandonare il Regno e trovarono in Conflenti Superiore una comunità che non solo non li segregò in un ghetto, ma li accolse e, anche grazie ai matrimoni misti, li integrò. Gli ebrei «ripagarono» la comunità conflentese insegnandole arti e mestieri che le procurarono benessere e ne avrebbero caratterizzato la storia nei secoli successivi, poiché quelle attività diventarono «tipiche» del luogo: cestai, barilai, pettinai, conciatori di pelli, intarsiatori, ebanisti, lavoratori della cera e del miele, coltivatori del gelso e setai.
Conflenti viveva la sua vita, povera come la vita che poteva offrire la civiltà contadina, ma non solo esisteva, era. Con la sua cultura, la sua gente, le sue otto chiese e le sue case in pietra «civata», un’arte nella lavorazione della pietra di cava che qui rasenta la perfezione e che rendeva superfluo e antiestetico ricoprire i muri con l’intonaco, come dettava il gusto borghese ottocentesco. Conflenti ha resistito fino a quando la povertà, nel primo dopoguerra, non è diventata miseria intollerabile e ha costretto migliaia di persone a emigrare in Germania, negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia. Con il passare del tempo Conflenti ha continuato a esistere, ma quanto a essere, a un certo punto ha scoperto di non sapere più cosa fosse, e anzi ha temuto di non po-