Corriere della Sera - La Lettura

Da secoli nulla cambia: siamo gli eredi della sconfitta

- di GIULIA ZIINO

«A bbiamo ereditato la sconfitta, ne abbiamo ereditato l’essenza? Ci è penetrata dentro? Dobbiamo riconcilia­rci con le perdite dei nostri genitori per tornare a costruire qualcosa?». Si chiama Cronaca di un’ultima estate ma il romanzo d’esordio di Yasmine El Rashidi — giornalist­a cresciuta al Cairo, oggi vive tra Egitto e Stati Uniti — di estati ne racconta tre: 1984, 1998, 2014. E in ogni tappa, come nei quadri formato Polaroid dipinti dalla nonna della protagonis­ta il 28 novembre di ogni anno, cambiano i toni ma la cornice resta la stessa: il Cairo, una grande casa testimone di tempi migliori, la famiglia. E la voce che parla. Bambina prima, poi ragazza e donna.

Intorno a lei, l’Egitto, raccontato da un punto di osservazio­ne privilegia­to — una famiglia che si indovina vicina ai vertici in passato, ora scossa da sussulti ribelli. Il ritratto del Paese, così come la coscienza politica della bambina che diventa grande, si fanno strada lentamente, tra i mille dettagli della vita familiare e, più di tutto, tra i silenzi.

Perché ogni giorno staccano la corrente? Dove finiscono i ragazzi portati via di notte dalla polizia? Perché hanno segni sulla pelle? Perché Baba — il padre della protagonis­ta — un giorno parte e non torna più a casa? Sono le verità taciute, più che quelle rivelate, a costruire le pagine. La realtà, sfuggente, filtra dalle spiegazion­i dei grandi ai bambini («Una volta, in macchina, Baba spiegò che era grazie a Sadat che avevamo le mele e il sapone buono. Era come Natale ogni giorno, dopo le privazioni di Nasser. Allora nessuno poteva avere niente. Mama rispose che era meglio non ricevere troppe cose dall’estero. La gente diventa avida. Si misero a discutere») e dai giornali, dai documentar­i, dalla tv che senza sosta trasmette immagini in trionfo dei presidenti in carica. Si procede a tentoni, senza corrente e — ogni tanto — si accende una luce.

Le svolte, i cambi di rotta, le rivoluzion­i — ultima, quella del 2011 — sono come scosse in una storia che sembra procedere da secoli con lo stesso ritmo: «La nostra non era una cultura abituata al cambiament­o. La stabilità era importante. Vivevamo nello stesso posto dove eravamo nati. Ci sposavamo e andavamo ad abitare dietro l’angolo. Un posto di lavoro veniva conservato per decenni. Meno cambiament­i c’erano, meno spostament­i, meglio era». Eppure, qualcosa si muove. Anche nel corso di tre sole estati.

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