Corriere della Sera - La Lettura

Il punto fermo di Eraclito è la sua fiducia nella ragione

- Di MAURO BONAZZI

Il filosofo che non c’è

Aristotele faticava a nascondere l’irritazion­e, quando doveva leggerlo: non capiva neppure dove andassero messi i punti e le virgole. Cicerone la pazienza la perse del tutto: «Lasciamo perdere chi non voleva che fosse capito quel che diceva». Anche per i lettori che lo venerano, Eraclito — unico pensatore assente nel cartone preparator­io di Raffaello — rimane il filosofo oscuro per eccellenza. Eppure il suo pensiero si fonda su un’intuizione semplice, molto più interessan­te del «tutto scorre» (frase che non ha mai pronunciat­o, tra l’altro). È espressa all’inizio del trattato: «Bisogna seguire ciò che è comune. Ma, pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolar­e sapienza». Il termine chiave è logos, che non significa solo «parola», «pensiero», o «discorso»: indica anche la struttura razionale di una cosa, la sua natura profonda. Agli uomini, persi in un sogno, in pregiudizi che scambiano per sapere, la realtà appare caotica, disordinat­a, molteplice. Ma così non è per chi sa osservare. «L’armonia nascosta è migliore di quella che appare»: la realtà ha una misura, un ordine razionale ( logos), che proprio la nostra ragione (il logos), e soltanto essa, è in grado di cogliere. C’è un rapporto dato tra noi e ciò che ci circonda. «Per coloro che sono svegli il cosmo è comune e unico».

Curiosamen­te, è la stessa tesi di Parmenide. «Essere e pensare sono la stessa cosa», scriveva: dov’è la differenza rispetto a Eraclito, che di solito gli viene contrappos­to? Entrambi perseguono lo stesso obiettivo — trovare l’unità dietro la molteplici­tà, l’ordine nel disordine — a partire dalla stessa convinzion­e: la coincidenz­a tra il nostro logos e quello della realtà. La nostra ragione può misurare la realtà, perché la realtà è razionale.

La fiducia incondizio­nata nell’intelligen­za umana è rivoluzion­aria: non servono più rivelazion­i divine («Cantami o diva»: Omero che chiede aiuto alla Musa; Mosé va sul Sinai per farsi dettare i comandamen­ti…). «Pensare è a tutti comune». Per la prima volta si afferma il principio che l’uomo può conoscere la realtà e comprender­e il senso della sua esistenza. O forse è una tesi troppo ambiziosa, arrogante? Davvero gli uomini possono, con la sola ragione, raggiunger­e i confini dell’universo e svelare i misteri profondi dell’Io? Dante e Freud saranno di diverso avviso: il primo fa naufragare Ulisse, per ricordarci che senza la luce divina siamo destinati a brancolare nel buio; il secondo insegue Edipo, per ricordarci che siamo meno razionali di quello che pensiamo, un calderone di impulsi di cui non siamo coscienti, ma che orientano le nostre scelte. Davvero la ragione basta? E la realtà è davvero razionale?

Difficile rispondere. Almeno un punto, però, Eraclito lo ha messo in chiaro: niente è come appare, la realtà è più complessa di quel che crediamo. E se non impareremo a usare in modo corretto la nostra intelligen­za, non andremo da nessuna parte. «L’ignoranza è meglio nasconderl­a». Superbo o umile che sia, il viaggio della filosofia è cominciato e non si è ancora arrestato.

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