Corriere della Sera - La Lettura
L’Atlante dei parchi a tema E un incontro al luna park...
Lo sceneggiatore di «Jeeg Robot» scrive per «la Lettura» un nuovo testo in un luna park
Viola l’ho conosciuta di ritorno da Toronto, dove mi avevano mandato per riscrivere la sceneggiatura di un poeta francese che s’era messo in testa di fare il regista. Il film, poi, si sarebbe dovuto girare lì.
Ma che in Canada pure i film fanno? Non sarà l’ennesima storia intimista, neo-esistenzialista o sartriana? Ma soprattutto mi pagheranno? Ero sulle orme di Leone, Scorsese, Caligari e di canadese conoscevo solo i giubbotti da spaccalegna a scacchi e il freddo che si combatteva con i giubbotti da spaccalegna a scacchi. Tutto il resto non mi interessava.
Stavo cercando di scrivere un film, il mio film. Ero quasi arrivato alla fine... Sì, insomma, la solita solfa anni Novanta — beghe di adolescenti tra canne, donne e disoccupazione — ma pur sempre un film e una volta finito tutto ciò che avrei dovuto fare era mandarlo a qualche produttore. Anche se non avessero nemmeno aperto il pacco, ero comunque uno che mandava sceneggiature, sue sceneggiature, alle case di produzione. Potevo andare avanti qualche altro anno, magari, senza sbattermi troppo.
In una di quelle inutili giornate estive, rese ancora più insopportabili dall’idea di non avere l’aria condizionata in macchina, me ne stavo nella calura del primo pomeriggio seduto su una panchina davanti al bancone dei pesci rossi al Luneur. La Disneyland di Roma sud. Sessantottomila metri quadrati nel cuore dell’Eur circondati da architettura fascista, laghetti artificiali e puttane.
Il mio contatto mi aveva dato ap- puntamento lì. In altre stagioni dell’anno non ci sarei mai andato, ma ad agosto era la mia unica speranza per p o r t a r mi a c a s a ve n t i mi l a l i r e d i hashish di media qualità. Jamal era un povero diavolo tunisino che passava metà della sua vita a Regina Coeli e l’altra metà spacciando. Diventammo amici dopo che una sera mi chiese un passaggio in motorino fino al Pronto Soccorso del San Camillo. Accettai perché credevo stesse male o volesse andare a trovare qualcuno. Invece doveva solo vendere un trapano a un infermiere. Mi era andato subito a genio.
Lo aspettavo già da mezz’ora tra il Tagadà e la ruota panoramica — la stessa che vedevo da bambino allontanarsi dietro al lunotto della macchina tra nuvole di nicotina, ogni volta che tornavamo dalla villeggiatura e passavamo per l’Eur, quando gli adulti non