Corriere della Sera - La Lettura
Noi siamo l’intestino
Il nostro corpo ospita una quantità inimmaginabile di micro-organismi viventi appartenenti alle più diverse specie di gruppi animali. Batteri, virus... vanno a formare il microbiota, un complesso vitale in continua interazione con le attività di tutti gli organi, compreso il cervello. Tutto ciò contribuisce a ridefinire in modo originale l’identità biologica dell’individuo. Oggi dunque, nel secolo della biologia, siamo chiamati — tutti: scienziati, filosofi, umanisti... — a confrontarci con il concetto di «conindividuo»: questo insieme di popolazioni di specie diverse (che ci affollano) mette prepotentemente in crisi il nostro senso del «sé». Ora lo sappiamo: non siamo più quella singolare individualità che credevamo di essere
Il nostro corpo ospita miliardi e miliardi di organismi viventi appartenenti alle più diverse specie di gruppi animali, batteri, virus... l’insieme dei quali costituisce il microbiota: il numero di cellule batteriche, in un uomo dal peso medio di 70 chilogrammi, equivale a quello delle cellule umane (alcuni milioni di miliardi di cellule) per un totale di circa 0,2-1 chilogrammi di peso corporeo.
Il microbiota è in continua interazione con le attività di tutti gli organi: non fa eccezione il cervello, di cui risulta un potente modulatore dell’attività fisiologica e dunque in grado di influenzare gli stati comportamentali ed emozionali. Le evidenze fornite dallo studio del microbioma (il genoma di tutto il microbiota) ne mettono in luce un ruolo centrale nel regolare lo svolgimento dei tre processi che impieghiamo normalmente per definire l’identità biologica dell’individuo: il sistema immunitario capace di discriminare tra il sé e il non-sé a livelli di raffinata precisione molecolare (si pensi alla immunologia dei trapianti di organo); le funzioni cerebrali sottese al funzionamento del sistema nervoso centrale, alle elaborazioni cognitive, agli stati emozionali e comportamentali alla base della personalità umana (al punto che ormai si parla di asse microbiota-sistema digerente-cervello); e da ultimo l’impronta genetica fondamentale di ciascuno di noi, il nostro genoma (capace di determinare tutti i nostri tratti fenotipici, l’immagine di ciascuno di noi).
La microbiomica sta rivoluzionando l’intera valutazione dei processi fisiologici dei maggiori organi, la composizione dei metaboliti nei fluidi corporei così come la trasmissione ereditaria della suscettibilità a molte malattie. Questo fatto non stupisce se si adotta uno sguardo ecologico-evolutivo allo sviluppo embriologico animale ed umano (l’approccio cosiddetto Eco-Evo-Devo, Ecological Evolutionary Developmental Biology): i nostri lontani progenitori prima di acquisire una condizione multi-cellulare erano viventi multi-organismici legati tra loro da relazioni di simbiosi.
Gli individui sono in realtà insiemi eterogenei di organismi, animali, batteri, virus eccetera quanto mai diversi tra loro e organizzati in base a relazioni di simbiosi, in genere mutualmente vantaggiose; a volte questa relazione si rivela catastrofica, nel caso si manifesti in termini di parassitismo.
Gli esempi nel solo mondo animale sono sotto gli occhi di tutti noi, basterà ricordare gli erbivori. Nei tre pre-stomaci (rumine, reticolo, omaso) degli erbivori poligastrici (bovini) avviene una fermentazione microbica grazie all’azione di batteri (decine e decine di miliardi per millilitro) e svariate specie di protozoi (piccolissimi organismi animali unicellulari; circa un milione per millilitro) che realizza la digestione della cellulosa e delle proteine; negli erbivori monogastrici (cavallo, coniglio, maiale) la fermentazione microbica avviene nell’intestino crasso. Quello degli erbivori è l’esempio più conosciuto, ma ve ne sono moltissimi altri tra i quali il caso delle termiti che tanti danni procurano al patrimonio librario delle grandi biblioteche storiche perché in grado di «mangiare» la carta e di digerirla grazie al fatto di ospitare nell’intestino dei protozoi del genere Trichomonas, Mixotricha, Trichonympha, tutti capaci di degradare il polimero cellulosa in zuccheri.
L’uomo non fa eccezione a questa descrizione degli individui nel mondo animale, individui intesi quali «comunità» di molteplici organismi, «cenosi» (dal greco koinosis, «unione») di tanti e diversi individui appartenenti alle specie e ai gruppi più diversi e lontani in termini evolutivi.
Si pensi solo alla diversità, in termini sia qualitativi sia quantitativi, dei viventi che ospitiamo sulla superficie del nostro corpo e come sia di grande interesse studiarli: ad esempio, il microbiota che si trova nella nostra pelle cambia radicalmente, impoverendosi, se si abita in una grande metropoli ri- spetto a una piccola città, poiché è legato a parametri di qualità ambientale, di condizione socioeconomica, al livello di urbanizzazione che, inevitabilmente, sono fattori legati a una maggiore incidenza di patologie della pelle. Altre comunità di esseri viventi abitano nel sistema respiratorio e ancora più numerose sono quelle che convivono con noi, dalle prime ore della nostra vita al di fuori del corpo mate r no, a l l ’ i nte r no del s i s te ma di gerente: un’enciclopedica collezione di organismi capaci di modellare molti aspetti del nostro stato di salute della primissima infanzia e dell’età adulta.
Evidenze a dimostrazione di questo fatto derivano dalla comparazione del microbiota di bimbi nati prematuri rispetto a quelli nati a termine: i prematuri mostrano una minore biodiversità del microbiota e una più bassa concentrazione microbica beneficiale di organismi come Bifidobacterium e Lactobacillus. Spesso queste carenze provocano stati patologici quali, ad esempio, l’enterocolite necrotizzante, malattia che non a caso si può trattare con miscele di Bifidobacterium e Lactobacillus. Anche le modalità della nostra nascita possono influire: il parto cesareo, ad esempio, assicura una dose di microbiota vaginale al neonato e questo aspetto deve essere considerato, soprattutto se la madre ospita batteri pericolosi.
Uno degli aspetti più rilevanti riguarda il ruolo esercitato dall’ambiente e dalla costituzione genetica (ancestralità) nel determinare la composizione del microbioma di un individuo, poiché è ben noto come vi siano gruppi di batteri ereditabili.
Poche settimane orsono un lavoro di Daphna Rothschild e altri colleghi scienziati, pubblicato sulla rivista «Nature», ha dimostrato, grazie all’analisi del microbioma di gemelli identici che vivono in ambienti diversi, come il nostro microbioma sia determinato in gran parte dall’ambiente in cui viviamo; il numero
di batteri fortemente ereditabili è assai ridotto (va dall’1,9 all’8,1 per cento).
La composizione del microbioma è in gran parte associata a fattori quali la dieta, lo stile di vita, l’uso di farmaci e altri aspetti di biografia personale. Risulta interessante la singolare costituzione di quello dei super-centenari dove abbondano le specie dei generi Bifido
bacterium, Christensenellaceae e Akkermansia. La rilevanza del ruolo svolto dal microbiota risulta ben chiara ricordando che è oggi impiegato quale ausilio terapeutico per il trattamento di patologie severe come la malattia di Crohn: nei casi più resistenti di questa patologia si opera il trapianto di feci in modo tale da rimpiazzare e sostituire del tutto il dannoso microbiota del paziente.
È noto inoltre che il trapianto di un microbiota ricco di Akkermansia municiphila (un batterio recentemente scoperto nelle feci umane) facilita il trattamento immunitario di diverse patologie e ben si candida allo sviluppo di prodotti terapeutici di prossima generazione.
L’idea di un sé individuale, singolo e specifico è sempre stata una certezza sia per le scienze della vita sia per le scienze umane. Ora viviamo nel millennio della biologia (non è più il secolo della chimica, l’Ottocento, né quello della fisica, il Novecento) e il concetto di con-individuo ( olobionte) che emerge dall’impiego di paradigmi concettuali derivati dall’ecologia e dalla microbiomica richiede una più complessa definizione della individualità. Il con-individuo umano, olobionte di popolazioni di specie diverse, mette infatti prepotentemente in crisi il nostro senso del «sé».
Sino a poco tempo fa era inequivocabile per i biologi definire il «sé» sulla base di tre classici parametri (sistema immunitario, cervello e genoma) e per i filosofi catalogare i tanti e diversi modi nei quali, attraverso i secoli, gli umani hanno imparato che cosa significa essere un individuo. Il singolo e unico «sé» era una certezza assodata sia in biologia sia in filosofia. Oggi tuttavia la microbiomica mette in crisi la abituale concezione degli individui come unità discrete, cioè singolarità dotate di una propria specifica unità di composizione: questo concetto attiene a una visione dell’individuo ormai superficiale e inesatta e il fatto che i microorganismi che ospitiamo siano una parte costitutiva di noi stessi in continuo dialogo incrociato con il sistema nervoso (cervello) chiede di riconsiderare cosa significhi «individuo umano» non solo da parte della biologia, ma soprattutto da parte delle scienze umane, filosofia soprattutto: siamo il nostro intestino.
E però, per quanto efficace e di diretta comprensione sia, questa affermazione richiede una elaborazione ulteriore, secondo l’indirizzo che sta esplorando l’associazione Mechrì (in greco «Fin qui»), creata per far maturare un sapere comune, idoneo a combinare le acquisizioni della scienza e umanesimo sulla base di un’impostazione filosofica aperta. È la linea di ricerca illustrata e approfondita dagli autori dei contributi inclusi nel volume Vita,
conoscenza (Jaca Book) curato da Florinda Cambria e arricchito dalle tavole di Carlo Sini. Sino a qui ( mechrì, appunto) hanno parlato i biologi; ora è la volta dei filosofi di Mechrì per meglio definire una nuova collocazione dell’individuo.