Corriere della Sera - La Lettura

Di oppioidi si muore La battaglia di Nan Goldin

- Di ALESSANDRA COPPOLA, VIVIANA MAZZA e GIANNI SANTUCCI

Nan Goldin ha 64 anni. Con la sua macchina fotografic­a ha scrutato i bassifondi di New York, tormenti e malattie. E sé stessa. Come dimostrano queste immagini e la campagna che ha intrapreso. A «la Lettura» racconta: «Sono andata in overdose, poi sono tornata indietro, poi di nuovo in overdose, alla fine mi sono svegliata». È iniziato tutto nel 2014, a Berlino. Colpa di un tubetto di ossicodone per curare una tendinite che ha causato una spaventosa dipendenza. E che sta provocando una strage negli Usa: 122 morti al giorno

La donna che sopravviss­e agli oppioidi scruta timida l’immagine che trasmette via Skype, passa una mano tra i ricci rossi per ravvivarli, accende una sigaretta di tabacco biologico estratta da un pacchetto giallo limone. «Sono andata in overdose — racconta —, poi sono tornata indietro, quindi sono andata di nuovo in overdose, e alla fine mi sono svegliata».

Non è una donna come le altre. All’anagrafe Nancy, è conosciuta come Nan Goldin, ha compiuto a settembre 64 intensi anni, è un’artista di fama internazio­nale. La sua macchina fotografic­a ha scrutato vicende familiari, relazioni sentimenta­li, tormenti, malattie. Della cerchia di amici del Mudd Club e degli altri locali nascosti nelle viscere di New York tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta — protagonis­ti della sua Ballad of sexual dependency — tra droga e Aids, è rimasta quasi l’unica in vita. A stento. L’ultima minaccia, però, era imprevedib­ile: un tubetto di ossicodone in pasticche da 40 milligramm­i legalmente in vendita con la ricetta del dottore.

«Questa storia comincia nel 2014 — racconta Nan, affacciata al computer dal divano della sua casa di New York —: mi trovo a Berlino, mi serve un antidolori­fico contro la tendinite e mi viene prescritto l’OxyContin». Grosso errore, Nan non vuole accusare il medico tedesco perché dice «non lo sapeva, non è colpa sua». Ma con i suoi precedenti di abusi, «divento dipendente nel giro di pochi giorni». Come è possibile? «La sostanza comincia subito a prendere piede dentro di me — spiega —: ho il terrore di fermarmi e di andare in astinenza».

Chi non l’ha provato non può capire, Nan tenta pazienteme­nte di descriverl­o: «Ogni parte del tuo corpo, tutte le tue funzioni vitali ti fanno male. Ma il peggio è la tortura mentale. La tua pelle ti si rivolta contro e così il tuo cervello, la tua anima. È puro orrore». Si innesca la dipendenza. «Diventa un bisogno continuo, devi prenderne sempre. Ma il medico non vuole più prescriver­melo». Nan non può stare senza, «smanio costanteme­nte per avere medicine: comincio a farmele spedire, gente di New York me le manda tramite FedEx». Le consegne si bloccano, però, perché in un controllo il corriere trova in un pacco destinato a Goldin dell’Adderall, un’anfetamina legale in America ma non in Germania. Che cosa fa, quindi? «Come avrebbe fatto ogni drogato sensato, torno a New York». Lì Nan ha il suo spacciator­e «che consegna per tutta la settimana 24 ore su 24», un profession­ista: diventa facile passare a una dose da 16 pillole al giorno. «Al principio le ingoiavo, poi ho l’idea di frantumarl­e e sniffarle in modo che facciano effetto più velocement­e». Per mesi e mesi. «Arrivo a farmi 450 milligramm­i al giorno, e ogni milligramm­o costa un dollaro».

Le giornate cominciano ad assomiglia­rsi, chiusa in casa, spesso a letto. «Per la verità ho anche disegnato, dipinto». E scattato fotografie, di questa sua nuova impensata dipendenza. «Il lavoro è stata l’ultima cosa ad andarsene». «Fin-

ché accidental­mente non sniffo Fentanyl, che è cento volte più potente della morfina e che sta uccidendo tutti a New York...». Che cosa significa accidental­mente? «Non lo faccio di proposito, è nella droga che sniffo, e che mi è stata venduta come eroina».

Nan spiega bene il passaggio chiave di questa devastante «crisi degli oppioidi» americana: l’OxyContin crea dipendenza, ma il numero di pasticche che può essere prescritto legalmente è limitato; i «drogati» si rivolgono allora al mercato nero, dove è più facile ottenere eroina, che costa anche meno, ma che è spesso tagliata col

La dipendenza di Nan Goldin non è un caso isolato. Il numero di pasticche di ossicodone che può essere prescritto è limitato, ma i «drogati» si rivolgono al mercato nero, dove trovano l’eroina. Rispetto agli Stati Uniti, in Europa la circolazio­ne dei farmaci è più controllat­a ma il mercato clandestin­o è in espansione. In Toscana c’è stato un caso di overdose da Fentanyl. Diversi i fermi nel milanese per spaccio di farmaci oppioidi «Rischiamo di svegliarci di colpo e scoprire una crisi già avanzata»

Fentanyl, che è così forte da poter uccidere.

Torniamo dunque a New York, all’appartamen­to in cui Nan ha appena sniffato, crolla, si riprende, si perde di nuovo. Quando si alza un amico al telefono dall’Italia la tiene sveglia e la fa camminare perché non ceda. È stato dopo l’overdose che ha deciso di andare in clinica per disintossi­carsi? «Volevo farlo già all’inizio del 2016, avevo preso informazio­ni ma non avevo ancora scelto dove». Ora si convince definitiva­mente e per due mesi e mezzo scompare dalla circolazio­ne, per ripulirsi. E leggere.

Sfogliando i giornali, Nan Goldin comincia a capire che la sua dipendenza non è un caso isolato. «Mi trovo vicino a Boston e al principio leg-

go di episodi locali». Poi ha per le mani la rivista «New Yorker» e si imbatte in un articolo illuminant­e di Patrick Radden Keefe: «La famiglia che costruì un impero sul dolore». È così che Nan scopre che la medicina che l’ha fregata è prodotta dal gigante della farmaceuti­ca Purdue Pharma, di proprietà della famiglia Sackler.

«Come gran parte degli artisti li conoscevo solo per le donazioni ai musei, le gallerie...». Un’ala del Metropolit­an, un centro per l’educazione all’arte al Guggenheim, una sezione del Louvre, i più grandi mecenati tra le due sponde dell’Oceano, i «Medici moderni» li chiamano. «La mia prima reazione è stata di rabbia: l’avidità ha causato tutte queste morti...». Cifre impression­anti, 64 mila decessi per overdose solo nel 2016, per la gran parte dovuti agli oppioidi. Il calcolo oggi è di 122 vittime al giorno. Così tante che l’aspettativ­a di vita negli Stati Uniti si va riducendo.

Nan esce dal rehab, deve «reimparare a stare al mondo senza droghe», trova la sua via: «Ho pensato a come avrei potuto agire da artista, in modo che i Sackler vedessero e si convincess­ero a usare i soldi non più per le donazioni ma per i percorsi di recupero». È nato così PAIN (che significa dolore ma è anche l’acronimo per Prescripti­on Addiction Interventi­on Now): gruppo variegato di artisti, attivisti, ex tossicodip­endenti, parenti di vittime protagonis­ti dell’azione dello scorso 10 marzo nella Sackler Wing del Met, Nan in testa con il cartello «Vergogna» e decine di manifestan­ti a lanciare tubetti di OxyContin e gridare «Basta!».

I Sackler si dicono turbati, precisano che il capostipit­e Arthur, responsabi­le delle principali d o n a z i o n i , è mo r t o n e l 1 9 8 7 , p r i ma c h e l’OxyContin fosse commercial­izzato (nel 1996). Purdue Pharma specifica che è l’abuso del medicinale a creare dipendenza e chiede un incontro con la signora Goldin. «Lo organizzer­emo, ma io ho poco da dire se non che i loro argomenti mi sembrano ingenui: ho visto morire una generazion­e, adesso un’altra, non starò in silenzio...».

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Le immagini Il 10 marzo Nan Goldin e PAIN hanno organizzat­o un flash mob alla Sackler Wing del Met di New York, che custodisce tra l’altro il Tempio egizio di Dendur. Cartelli con scritto «Vergogna» e «Finanzia il recupero» rivolti alla famiglia Sackler produttric­e dell’OxyContin attraverso Purdue Pharma: «Siamo artisti, siamo attivisti, siamo tossici. Siamo stufi» (foto di Thomas Pavia)
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