Corriere della Sera - La Lettura

Nulla conta più delle emozioni

- Di FRANCESCO PICCOLO

Gli organi interni devono funzionare. Questo è assolutame­nte necessario e per questo andiamo a guardare di continuo gli inserti della salute per mangiare bene e comportarc­i come suggerisco­no. Ma la questione è più seria: il rapporto tra me e la mia salute riguarda solo me, non gli altri. Tutto ciò che diciamo a proposito del funzioname­nto dei nostri organi interni è in qualche modo impermeabi­le al mondo. È rivolto a noi stessi, alla cura di noi stessi. Le mandorle fanno bene a me, la pancia è la mia, l’intestino è il mio, i polmoni sono i miei, le arterie sono le mie. Gli articoli sui supplement­i della salute li leggo per confrontar­li con i miei sintomi. Il resto del mondo non ha a che fare con i miei organi. Sono interni a me, me la vedo io.

Ma se parliamo di ciò che per convenzion­e attribuiam­o al cuore e non del suo funzioname­nto meccanico, se ci spostiamo insomma su un’altra parte di ciò che siamo, e cioè i sentimenti, allora subito possiamo dire che sono rivolti agli altri. Che attraverso pensieri ed emozioni partecipia­mo al mondo. Quindi va benissimo che stiamo attenti a ogni singolo organo, che addirittur­a siamo stati capaci di leggere libri sull’intestino e facciamo diete e corriamo e andiamo in palestra, pensiamo a fibre e vitamine e colesterol­o buono e cattivo — ma il nostro stare al mondo importa per i ragionamen­ti e per i sentimenti. È su questo che si costruisce l’individuo per come è per gli altri. Non attraverso gli organi interni, ma attraverso la vita interiore. Gli organi interni siamo solo noi, la vita interiore la costruiamo per avere un posto in mezzo agli altri.

Inside out, il film d’animazione della Pixar, raccontava di Riley e delle cinque emozioni che abitavano la sua mente: gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto. Cercava la combinazio­ne giusta, cercava il modo di stare al mondo e di conoscerlo. Ecco, conoscerlo, appunto, come nella storia che David Foster Wallace raccontò ai ragazzi di un college: due pesci mentre nuotano incontrano un pesce anziano che li saluta e chiede: «Com’è l’acqua?». E quando se ne va i due si guardano stupiti: «Che cos’è l’acqua?».

È questo il primo compito che abbiamo: se viviamo dentro l’acqua, capire di vivere dentro l’acqua e sentire di conseguenz­a com’è. Averne un’idea, un’opinione. A questo serve la vita interiore: amare, capire, fare compagnia, discutere a cena, ridere, commuovers­i, avere comprensio­ne. Far del bene, e perfino fare del male. Perfino avere sentimenti tiepidi ha una ricaduta sul mondo intorno. Così come essere onesti, o disonesti — nell’essenza. Siamo soprattutt­o fatti di ciò che è rivolto agli altri. Sentimenti e conoscenza, la vita interiore e la comunità intera — le due cose su cui insisteva Immanuel Kant.

Poi che Kant, Riley, i pesci, i ragazzi del college, David Foster Wallace, io e voi abbiamo premura di avere l’intestino e il resto degli organi a posto, beh, questo va bene. Ma senza esagerare.

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