Corriere della Sera - La Lettura
Nulla conta più delle emozioni
Gli organi interni devono funzionare. Questo è assolutamente necessario e per questo andiamo a guardare di continuo gli inserti della salute per mangiare bene e comportarci come suggeriscono. Ma la questione è più seria: il rapporto tra me e la mia salute riguarda solo me, non gli altri. Tutto ciò che diciamo a proposito del funzionamento dei nostri organi interni è in qualche modo impermeabile al mondo. È rivolto a noi stessi, alla cura di noi stessi. Le mandorle fanno bene a me, la pancia è la mia, l’intestino è il mio, i polmoni sono i miei, le arterie sono le mie. Gli articoli sui supplementi della salute li leggo per confrontarli con i miei sintomi. Il resto del mondo non ha a che fare con i miei organi. Sono interni a me, me la vedo io.
Ma se parliamo di ciò che per convenzione attribuiamo al cuore e non del suo funzionamento meccanico, se ci spostiamo insomma su un’altra parte di ciò che siamo, e cioè i sentimenti, allora subito possiamo dire che sono rivolti agli altri. Che attraverso pensieri ed emozioni partecipiamo al mondo. Quindi va benissimo che stiamo attenti a ogni singolo organo, che addirittura siamo stati capaci di leggere libri sull’intestino e facciamo diete e corriamo e andiamo in palestra, pensiamo a fibre e vitamine e colesterolo buono e cattivo — ma il nostro stare al mondo importa per i ragionamenti e per i sentimenti. È su questo che si costruisce l’individuo per come è per gli altri. Non attraverso gli organi interni, ma attraverso la vita interiore. Gli organi interni siamo solo noi, la vita interiore la costruiamo per avere un posto in mezzo agli altri.
Inside out, il film d’animazione della Pixar, raccontava di Riley e delle cinque emozioni che abitavano la sua mente: gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto. Cercava la combinazione giusta, cercava il modo di stare al mondo e di conoscerlo. Ecco, conoscerlo, appunto, come nella storia che David Foster Wallace raccontò ai ragazzi di un college: due pesci mentre nuotano incontrano un pesce anziano che li saluta e chiede: «Com’è l’acqua?». E quando se ne va i due si guardano stupiti: «Che cos’è l’acqua?».
È questo il primo compito che abbiamo: se viviamo dentro l’acqua, capire di vivere dentro l’acqua e sentire di conseguenza com’è. Averne un’idea, un’opinione. A questo serve la vita interiore: amare, capire, fare compagnia, discutere a cena, ridere, commuoversi, avere comprensione. Far del bene, e perfino fare del male. Perfino avere sentimenti tiepidi ha una ricaduta sul mondo intorno. Così come essere onesti, o disonesti — nell’essenza. Siamo soprattutto fatti di ciò che è rivolto agli altri. Sentimenti e conoscenza, la vita interiore e la comunità intera — le due cose su cui insisteva Immanuel Kant.
Poi che Kant, Riley, i pesci, i ragazzi del college, David Foster Wallace, io e voi abbiamo premura di avere l’intestino e il resto degli organi a posto, beh, questo va bene. Ma senza esagerare.