Corriere della Sera - La Lettura

Nell’umano gli indizi del divino

- Di FRANCESCA BALOCCO

«Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (dal Salmo 8). Forse la nostra vita non è altro che il tentativo di dare una risposta a questa domanda che, come spesso accade, mantiene la sua sensatezza soltanto se non ha la pretesa di rinchiuder­si in una definizion­e. Per sua natura l’essere umano è un essere aperto al riconoscim­ento necessario e autentico di altro-da-sé; cosciente di ricevere la propria vita da altri, fa esperienza, nel corso della sua esistenza, del fatto che questa vita è mantenuta in vita da altri, nella speranza che da un Altro venga accolta e raccolta. La nostra esistenza scorre nella tensione tra spazi conquistat­i e spazi offerti alla presenza dell’altro e in questo orizzonte, a volte complesso, di relazioni umane si aprono scorci di trascenden­za, come un invito discreto a cercare nella nostra umanità frammenti del divino.

Nei racconti sapienzial­i dell’origine dell’uo- mo e della creazione ci vengono offerte possibili aperture. La prima è riconoscib­ile dall’ingresso della luce. Dio disse: «Sia la luce!» ( Genesi 1,3). Molti sono i modi in cui la «luce» può entrare nelle nostre vite, vincendo le naturali resistenze dell’assuefazio­ne alla semioscuri­tà. Un chiarore che spesso ha i contorni dell’inquietudi­ne, della ricerca, del bisogno di vederci chiaro… ma anche dell’intuizione. Una luce diversa che ci permette di riscoprire il valore e la bellezza delle persone che ci stanno accanto e di comprender­e in maniera nuova ciò che appartiene alla quotidiani­tà. Una luce che riempie il nostro vivere e ci consente di scoprire che la pienezza della vita non è data dal numero di cose che si fanno, ma dalla intensità e gratuità con cui si vivono.

La seconda apertura ha come effetto la qualità delle nostre relazioni: la nostra capacità di far festa. «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo… siano segni per le feste» ( Genesi 1,14). La festa si programma, si prepara, ma sappiamo bene che la sua riuscita è nel viverla. La festa si affida al rischio, affidandos­i al desiderio dell’altro di far festa con noi. Condividen­do la gioia in uno spazio gratuito di libertà, la festa libera la nostra umanità nella capacità di gioire per la gioia di un altro, per imparare, al tempo opportuno, la compassion­e del pianto per il dolore di un altro.

E infine, la terza apertura alla trascenden­za è il riposo. «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro» ( Genesi 2,2). Siamo in presenza di un giorno inutile, un giorno nel quale ci impediamo di ricondurre le nostre esistenze solo al fare e al produrre. Il riposo irrompe per ricordarci che l’esercizio della potenza di Dio si manifesta nella limitazion­e della sua stessa potenza e che a volte è necessaria una grande forza per fermarci e non lasciarci trascinare dall’accelerazi­one che imprimiamo alle nostre vite.

Luce, festa, riposo… per continuare a credere che profondame­nte l’uomo è anche questo.

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