Corriere della Sera - La Lettura
Questa scuola senza cattedre
Modelli Il liceo scientifico Amedeo di Savoia di Pistoia ha abolito le lezioni tradizionali e cambiato gli «arredi»: ora si insegna tra i divani, sul terrazzo, in giardino... «E i ragazzi — giura il preside Paolo Biagioli — sono più attenti e rendono il doppio». Bene, conferma il pedagogista Daniele Novara, «è venuto il momento di ripensare la didattica frontale»
Lezione di Italiano al liceo scientifico Amedeo di Savoia, Pistoia. I ragazzi si mettono seduti per terra tra i cuscini, e sui divani colorati dell’Ikea. In un’aula arredata come un grande soggiorno, ascoltano Massimiliano Barbini, attore, declamare brani di Pirandello. Comodi, sui sofà, «concentrati e attenti», assicura il preside Paolo Biagioli. Che ha inaugurato in questo modo l’«aula dei divani», in uno spazio prima trascurato dell’istituto, in cui oggi si fanno lezioni un po’ fuori dall’ordinario. Come nell’aula «in terrazza»: panche, tavoloni, connessione internet. Quando il meteo lo consente, i professori prenotano l’ora «open air», con vista sull’Abetone. Nel liceo toscano c’è anche l’aula in biblioteca. E, dal prossimo anno, quella in giardino, sotto a un pergolato di glicine e gelsomino.
Non aveva un modello in mente, il preside Biagioli, quando è partito con le sue «innovazioni», ma solo l’idea che «in un ambiente di lavoro bello, curato, i ragazzi seguono più volentieri le lezioni e “rendono” il doppio». Si lavora sodo, ma in maniera più distesa. Positiva la risposta dei ragazzi: «Senza cattedra in mezzo si sente di più il contatto con i prof e la materia», commenta Letizia. «Il clima è più familiare e disteso. Cade il muro che ti separa dall’insegnante», aggiung e u n co mpagno. « I n questo s pazi o magico insegnanti e ragazzi dialogano», commenta Fausto Ciatti, il docente di Italiano. E in una scuola così, le iscrizioni — in controtendenza rispetto agli altri licei della provincia — crescono: «L’anno prossimo avremo cento ragazzi in più rispetto all’anno passato», dice il preside.
«Buona idea fare lezioni più interattive, ma non basta cambiare gli arredi per coinvolgere di più gli studenti — dice Daniele Novara, pedagogista di lungo corso —. Sono i metodi di insegnamento e di apprendimento a dover cambiare. Per fare lezioni più efficaci e per mantenere l’attenzione in classe, va archiviato il modo tradizionale di insegnare: lezioni frontali e nozionistiche sugli stessi contenuti a 25-30 allievi alla volta». Da anni, Novara — che a Piacenza ha fondato il Centro PsicoPedagogico per l’educazione — si spende in formazione, pubblicazioni e convegni per dire che è ora di correre ai ripari se si vuole risolvere il progressivo declino di motivazione, interesse e rendimento dei ragazzi. «Sono state fatte diverse critiche alla didattica della lezione frontale, ma la realtà quotidiana è ancora quella. La lezione di tipo accademico è radicata nella scuola italiana, che si basa su un approccio idealistico gentiliano secondo cui conoscenza e apprendimento nascono dalla spiegazione dei contenuti», sostiene.
Il 14 aprile, in un convegno a Milano, con l’aiuto di neuroscienziati, educatori, psicoanalisti, spiegherà come costruire una didattica di qualità. Sarà un appuntamento «liberatorio», a partire dal titolo: La lezione non serve. Una provocazione che «punta a scardinare gli automatismi, a restituire ai prof il loro ruolo educativo». Si parlerà anche di spazi, ambienti attraenti, luoghi in cui si può studiare più volentieri («E non servono materiali costosi, può essere sufficiente non disporre i banchi per file», dice Novara). Ma, soprattutto, si spiegherà come coinvolgere gli alunni in laboratori, sperimentazioni, ricerche, lavori di gruppo: «È dimostrato dagli studi sul sistema dei neuroni specchio — dice Novara — che i ragazzi apprendono molto di più attraverso gli scambi con i coetanei: osservando gli al- tri il nostro cervello si attiva di più e dal confronto con il gruppo si stimolano gli elementi emotivi e motivazionali necessari all’acquisizione di conoscenze. La lezione frontale richiede capacità di attenzione che neanche gli adulti hanno — prosegue Novara —. In classe l’apice di attenzione raggiunge i 10 minuti, poi cala per altri 20 e riprende a salire dopo circa mezz’ora dall’inizio della lezione: se la spiegazione non è particolarmente accattivante, ai ragazzi resta veramente poco. Inoltre, considerati i fattori di interazione e disturbo, è facile rendersi conto come la lezione frontale sia fallimentare».
La proposta è adottare un metodo diverso, «maieutico» — pratica antica che
vede gli alunni, non l’insegnante, protagonisti — sono loro che devono lavorare, in una «comunità di apprendimento». «Facendo esperienza insieme agli altri e affrontando in gruppo i problemi, i ragazzi sviluppano competenza e autonomia. L’insegnante è il regista che gestisce e regola il lavoro collettivo e quello individuale. Costruisce gli apprendimenti a partire dalle domande. Aiuta a tirar fuori le risposte». Arrivarci non è semplice e richiede una formazione adeguata, assicura Novara. Mentre la lezione frontale, sostengono gli specialisti che interverranno al convegno, non implica raffinate competenze pedagogiche: si spiega, si richiede lo studio individuale, la ripetizio- ne dei contenuti spiegati e poi si interroga e si valuta l’alunno.
In diverse scuole si stanno aprendo le prime sezioni «a orientamento maieutico»: negli asili DoReMi di Milano; o al Centro di Formazione professionale di Lecco. «Noi del CPP puntiamo a creare classi a orientamento maieutico nella scuola pubblica. Facciamo corsi annuali per formare i docenti a questa metodologia». Non servono grandi investimenti strutturali, «a differenza del metodo Montessori che ha bisogno di materiali specifici», sostiene Novara. Qui delle proposte di Maria Montessori si fa tesoro, ma l’obiettivo principe è valorizzare la figura dell’insegnante che deve (tornare a) essere una risorsa preziosa per i suoi alunni. Per i tecnoentusiasti è il digitale la risposta: «Smantellare la classe frontale si può, passando a scuole “aumentate”, ambienti di apprendimento pensati per la didattica attiva», sostiene Paolo Ferri, docente di Teoria e tecniche dei nuovi media e Tecnologie per la didattica alla Bicocca di Milano. «Le tecnologie possono essere uno spunto per ripensare gli spazi di apprendimento. La via da seguire è quella degli “atelier creativi”, previsti dal Piano nazionale scuola digitale». «Si tratta di luoghi di innovazione e creatività dove sviluppare manualità, artigianato e competenze tecnologiche», spiegava il Miur nel decreto (marzo 2016) che illustrava come assegnare i 28 milioni di euro messi a bando. Una dote che ha consentito di avviare le prime esperienze di lezioni con ambienti virtuali, stampanti 3D, scanner; le ore di coding e robotica.
Il modello sullo sfondo sono le scuole più evolute del nord Europa, dal ginnasio di Orestad in Danimarca, alla scuola VITTRA di Stoccolma, all’Het 4e Gymnasium di Amsterdam. Dove non ci sono classi tradizionali, ma spazi comuni per l’apprendimento informale e il peer tutoring, aree protette per lo studio individuale e auditorium per «conferenze» di docenti esperti. La lezione in classe è sostituita dai progetti nei laboratori, fisici o digitali, dove gli studenti lavorano in gruppi, seguiti dai professori. Una scuola «senza pareti», dove i compiti si fanno online, a casa, seguiti in tempo reale dai prof.
«Attenzione però alle derive, alla tecnologia come soluzione di tutti i problemi», avverte Daniele Novara. Che dice no, per esempio, ai tablet per imparare a scrivere, allo smartphone sul banco, all’uso individuale del pc, che porta all’isolamento. «Il digitale crea dipendenza da stimoli visivi e interattivi e diminuisce l’interesse nei confronti della realtà, rendendo ancora più fragile la capacità di attenzione». Ma una volta chiarito che la manualità va privilegiata («Il bambinotouch è a rischio perché la sua sensorialità neurocerebrale, che gli procura la scrittura, viene compromessa»), Novara si dice favorevole a un uso collettivo e sociale della tecnologia: «La Lim, la lavagna digitale, da usare tutti insieme, due o tre computer assegnati a piccoli gruppi. Questa è innovazione utile». Utile, ma non bisogna lasciarsi incantare: «In primo piano devono stare i dispositivi pedagogici. Bisogna tornare a scoprire il coraggio del mestiere educativo».