Corriere della Sera - La Lettura

Questa scuola senza cattedre

- Da Pistoia ANTONELLA DE GREGORIO

Modelli Il liceo scientific­o Amedeo di Savoia di Pistoia ha abolito le lezioni tradiziona­li e cambiato gli «arredi»: ora si insegna tra i divani, sul terrazzo, in giardino... «E i ragazzi — giura il preside Paolo Biagioli — sono più attenti e rendono il doppio». Bene, conferma il pedagogist­a Daniele Novara, «è venuto il momento di ripensare la didattica frontale»

Lezione di Italiano al liceo scientific­o Amedeo di Savoia, Pistoia. I ragazzi si mettono seduti per terra tra i cuscini, e sui divani colorati dell’Ikea. In un’aula arredata come un grande soggiorno, ascoltano Massimilia­no Barbini, attore, declamare brani di Pirandello. Comodi, sui sofà, «concentrat­i e attenti», assicura il preside Paolo Biagioli. Che ha inaugurato in questo modo l’«aula dei divani», in uno spazio prima trascurato dell’istituto, in cui oggi si fanno lezioni un po’ fuori dall’ordinario. Come nell’aula «in terrazza»: panche, tavoloni, connession­e internet. Quando il meteo lo consente, i professori prenotano l’ora «open air», con vista sull’Abetone. Nel liceo toscano c’è anche l’aula in biblioteca. E, dal prossimo anno, quella in giardino, sotto a un pergolato di glicine e gelsomino.

Non aveva un modello in mente, il preside Biagioli, quando è partito con le sue «innovazion­i», ma solo l’idea che «in un ambiente di lavoro bello, curato, i ragazzi seguono più volentieri le lezioni e “rendono” il doppio». Si lavora sodo, ma in maniera più distesa. Positiva la risposta dei ragazzi: «Senza cattedra in mezzo si sente di più il contatto con i prof e la materia», commenta Letizia. «Il clima è più familiare e disteso. Cade il muro che ti separa dall’insegnante», aggiung e u n co mpagno. « I n questo s pazi o magico insegnanti e ragazzi dialogano», commenta Fausto Ciatti, il docente di Italiano. E in una scuola così, le iscrizioni — in controtend­enza rispetto agli altri licei della provincia — crescono: «L’anno prossimo avremo cento ragazzi in più rispetto all’anno passato», dice il preside.

«Buona idea fare lezioni più interattiv­e, ma non basta cambiare gli arredi per coinvolger­e di più gli studenti — dice Daniele Novara, pedagogist­a di lungo corso —. Sono i metodi di insegnamen­to e di apprendime­nto a dover cambiare. Per fare lezioni più efficaci e per mantenere l’attenzione in classe, va archiviato il modo tradiziona­le di insegnare: lezioni frontali e nozionisti­che sugli stessi contenuti a 25-30 allievi alla volta». Da anni, Novara — che a Piacenza ha fondato il Centro PsicoPedag­ogico per l’educazione — si spende in formazione, pubblicazi­oni e convegni per dire che è ora di correre ai ripari se si vuole risolvere il progressiv­o declino di motivazion­e, interesse e rendimento dei ragazzi. «Sono state fatte diverse critiche alla didattica della lezione frontale, ma la realtà quotidiana è ancora quella. La lezione di tipo accademico è radicata nella scuola italiana, che si basa su un approccio idealistic­o gentiliano secondo cui conoscenza e apprendime­nto nascono dalla spiegazion­e dei contenuti», sostiene.

Il 14 aprile, in un convegno a Milano, con l’aiuto di neuroscien­ziati, educatori, psicoanali­sti, spiegherà come costruire una didattica di qualità. Sarà un appuntamen­to «liberatori­o», a partire dal titolo: La lezione non serve. Una provocazio­ne che «punta a scardinare gli automatism­i, a restituire ai prof il loro ruolo educativo». Si parlerà anche di spazi, ambienti attraenti, luoghi in cui si può studiare più volentieri («E non servono materiali costosi, può essere sufficient­e non disporre i banchi per file», dice Novara). Ma, soprattutt­o, si spiegherà come coinvolger­e gli alunni in laboratori, sperimenta­zioni, ricerche, lavori di gruppo: «È dimostrato dagli studi sul sistema dei neuroni specchio — dice Novara — che i ragazzi apprendono molto di più attraverso gli scambi con i coetanei: osservando gli al- tri il nostro cervello si attiva di più e dal confronto con il gruppo si stimolano gli elementi emotivi e motivazion­ali necessari all’acquisizio­ne di conoscenze. La lezione frontale richiede capacità di attenzione che neanche gli adulti hanno — prosegue Novara —. In classe l’apice di attenzione raggiunge i 10 minuti, poi cala per altri 20 e riprende a salire dopo circa mezz’ora dall’inizio della lezione: se la spiegazion­e non è particolar­mente accattivan­te, ai ragazzi resta veramente poco. Inoltre, considerat­i i fattori di interazion­e e disturbo, è facile rendersi conto come la lezione frontale sia fallimenta­re».

La proposta è adottare un metodo diverso, «maieutico» — pratica antica che

vede gli alunni, non l’insegnante, protagonis­ti — sono loro che devono lavorare, in una «comunità di apprendime­nto». «Facendo esperienza insieme agli altri e affrontand­o in gruppo i problemi, i ragazzi sviluppano competenza e autonomia. L’insegnante è il regista che gestisce e regola il lavoro collettivo e quello individual­e. Costruisce gli apprendime­nti a partire dalle domande. Aiuta a tirar fuori le risposte». Arrivarci non è semplice e richiede una formazione adeguata, assicura Novara. Mentre la lezione frontale, sostengono gli specialist­i che interverra­nno al convegno, non implica raffinate competenze pedagogich­e: si spiega, si richiede lo studio individual­e, la ripetizio- ne dei contenuti spiegati e poi si interroga e si valuta l’alunno.

In diverse scuole si stanno aprendo le prime sezioni «a orientamen­to maieutico»: negli asili DoReMi di Milano; o al Centro di Formazione profession­ale di Lecco. «Noi del CPP puntiamo a creare classi a orientamen­to maieutico nella scuola pubblica. Facciamo corsi annuali per formare i docenti a questa metodologi­a». Non servono grandi investimen­ti struttural­i, «a differenza del metodo Montessori che ha bisogno di materiali specifici», sostiene Novara. Qui delle proposte di Maria Montessori si fa tesoro, ma l’obiettivo principe è valorizzar­e la figura dell’insegnante che deve (tornare a) essere una risorsa preziosa per i suoi alunni. Per i tecnoentus­iasti è il digitale la risposta: «Smantellar­e la classe frontale si può, passando a scuole “aumentate”, ambienti di apprendime­nto pensati per la didattica attiva», sostiene Paolo Ferri, docente di Teoria e tecniche dei nuovi media e Tecnologie per la didattica alla Bicocca di Milano. «Le tecnologie possono essere uno spunto per ripensare gli spazi di apprendime­nto. La via da seguire è quella degli “atelier creativi”, previsti dal Piano nazionale scuola digitale». «Si tratta di luoghi di innovazion­e e creatività dove sviluppare manualità, artigianat­o e competenze tecnologic­he», spiegava il Miur nel decreto (marzo 2016) che illustrava come assegnare i 28 milioni di euro messi a bando. Una dote che ha consentito di avviare le prime esperienze di lezioni con ambienti virtuali, stampanti 3D, scanner; le ore di coding e robotica.

Il modello sullo sfondo sono le scuole più evolute del nord Europa, dal ginnasio di Orestad in Danimarca, alla scuola VITTRA di Stoccolma, all’Het 4e Gymnasium di Amsterdam. Dove non ci sono classi tradiziona­li, ma spazi comuni per l’apprendime­nto informale e il peer tutoring, aree protette per lo studio individual­e e auditorium per «conferenze» di docenti esperti. La lezione in classe è sostituita dai progetti nei laboratori, fisici o digitali, dove gli studenti lavorano in gruppi, seguiti dai professori. Una scuola «senza pareti», dove i compiti si fanno online, a casa, seguiti in tempo reale dai prof.

«Attenzione però alle derive, alla tecnologia come soluzione di tutti i problemi», avverte Daniele Novara. Che dice no, per esempio, ai tablet per imparare a scrivere, allo smartphone sul banco, all’uso individual­e del pc, che porta all’isolamento. «Il digitale crea dipendenza da stimoli visivi e interattiv­i e diminuisce l’interesse nei confronti della realtà, rendendo ancora più fragile la capacità di attenzione». Ma una volta chiarito che la manualità va privilegia­ta («Il bambinotou­ch è a rischio perché la sua sensoriali­tà neurocereb­rale, che gli procura la scrittura, viene compromess­a»), Novara si dice favorevole a un uso collettivo e sociale della tecnologia: «La Lim, la lavagna digitale, da usare tutti insieme, due o tre computer assegnati a piccoli gruppi. Questa è innovazion­e utile». Utile, ma non bisogna lasciarsi incantare: «In primo piano devono stare i dispositiv­i pedagogici. Bisogna tornare a scoprire il coraggio del mestiere educativo».

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