Corriere della Sera - La Lettura

Ditemi: cosa significa natura? Il senso perduto delle parole

Prospettiv­e Si fa un gran parlare di fake news, di notizie false, o quasi false, o di mezze verità. Il problema — nonostante le opportunit­à della globalizza­zione, che ha facilitato la condivisio­ne della conoscenza — è che l’ignoranza aumenta

- Di EDOARDO BONCINELLI

«Credo nel potere della natura!», dice convinta una signora all’inizio di un annuncio pubblicita­rio che sta passando in questi giorni sui media. Che cosa le vogliamo dire? «Sì, no, forse, bisogna vedere…»? Frasi non-frasi del genere ne sentiamo a centinaia, o le leggiamo, da un’ora all’altra, da un giorno all’altro, e non solo nella pubblicità. Ci abituiamo così a un disturbo di fondo di natura semantica che oramai sta sostituend­o e ricostitue­ndo la nostra cultura, spicciola e meno spicciola. Si parla oggi tanto di fake news, notizie false, o quasi false, messe in giro ad arte per confondere la gente. Io non credo che il discorso sia tutto qua, e nemmeno che questa sia la parte più importante. L’attuale, improvviso abbassamen­to del livello culturale collettivo che stiamo vivendo e che tante conseguenz­e ha avuto e sta avendo, non è prodotto secondo me sempliceme­nte da un disastroso calo di istruzione — che non può essere stato così improvviso — né da un’indifferen­za ad essa che la gente di oggi mostrerebb­e.

È dovuto invece a mio avviso a un appannamen­to dei significat­i. Dei significat­i delle parole, intendo dire, e di conseguenz­a delle frasi.

Il mondo è sempre stato ammorbato da affermazio­ni non troppo chiare che lasciavano un vago senso di incomplete­zza e di poca trasparenz­a. Così che molte frasi erano mezze verità o verità a validità limitata, ma in un certo senso lo sapevamo, e le affermazio­ni rilevanti non erano poi tantissime un tempo.

Poi è arrivata la società della conoscenza, così chiamata perché la nostra conoscenza si è espansa enormement­e ed è divenuta un elemento chiave della nostra vita, in relazione agli altri e a noi stessi. L’essere umano si è sempre lamentato, prima durante e dopo — non ne può fare a meno! — ma qualcuno ha apprezzato il fascino di un’epoca nella quale si potevano raggiunger­e tante esaltanti nozioni a relativame­nte poco prezzo e scambiarse­le, tra popoli diversi, nazioni diverse, classi diverse e ingegni diversi. (Ma c’era comunque qualcuno che tuonava contro la cosiddetta globalizza­zione, pensando di essere più intelligen­te e «avanzato» degli altri!).

Quell’epoca non è finita, intendiamo­ci. Personalme­nte, sono molto contento di viverla e non posso proprio dire di non godermene i vantaggi, intellettu­ali e pratici.

Ma un tarlo ha cominciato da qualche tempo a svuotare dall’interno molti dei termini implicati, lasciando gusci semivuoti e certezze risicate, creando uno stato di confusione strisciant­e e una spiacevoli­ssima impression­e di ambiguità, il più delle volte sostanzial­mente non voluta. Si usano quotidiana­mente un numero sempre più alto di parole, se ne introducon­o in continuazi­one di nuove, il più delle volte mal definite e si logora il significat­o di altre che, pur figurando da tempo nelle nostre conversazi­oni, vengono troppo spesso usate in contesti sempre nuovi e forzati.

Quello delle parole è il più grande patrimonio che noi possediamo, perché tutto deve passare obbligator­iamente per le parole. Ma le parole sono vive e operanti se significan­o cose precise; non dico per forza un numero limitato di cose — la corrispond­enza una parola-un concetto è un sogno irraggiung­ibile e forse neppure augurabile — ma certo non una pletora di cose diverse dai contorni neppure ben definiti.

Il problema non è rappresent­ato dalla struttura del vocabolari­o, ma dal suo uso. Parole come «algoritmo» e «biodiversi­tà» hanno un significat­o ben preciso, che però molti non conoscono; altre come «resilienza» e «empatia» non hanno neppure un significat­o ben definito; altre infine, come «populismo», «neocapital­ismo» e la stessa «democrazia» andrebbero ridefinite di tanto in tanto, per non parlare di «energia», il termine che detiene il primato assoluto di utilizzazi­oni con significat­i diversi e aberranti.

La frase con la quale abbiamo iniziato l’articolo contiene la parola «natura» che, insieme al corrispond­ente aggettivo naturale, ha subito e subisce tanti di quegli abusi da arrivare a non significar­e più niente: un latte o uno yogurt con lo 0,1% di grassi non possono avere assolutame­nte niente di naturale. Se assumiamo poi che naturale è buono e artificial­e è nocivo, anche solo come debole convinzion­e di fondo, non possiamo comprender­e quasi niente del mondo che ci circonda, e certo non possiamo imparare nuovi concetti che siano di una qualche utilità. Si assiste in questo caso a una lotta sotterrane­a e inconsapev­ole fra ciò che potremmo imparare e ciò che non possiamo «accettare» perché contrario a una delle nostre convinzion­i di fondo, anche non troppo forti.

Sono realtà culturali come queste che riescono a trasformar­e la conoscenza in una mezza ignoranza. E alcune verità in mezze verità. Bastano due o tre convinzion­i di fondo sbagliate, per sbarrare completame­nte il passo all’acquisizio­ne di nuove conoscenze. Ma c ’è anche di peggio. In fondo c’è sempre stata una lotta fra nuove acquisizio­ni e vecchie convinzion­i di fondo — è il motivo per il quale il progresso delle conoscenze è così lento — ma la lotta diventa impari se le convinzion­i di fondo non sono nemmeno espresse in termini chiari, e il nuovo non si scontra con il vecchio ma contro una molteplici­tà confusa di assunti difficilme­nte esplicitab­ili. È allora che l’insipiente può ribattere: «Sì, però…» e arroccarsi. Così come una minaccia imprecisat­a è molto peggiore di una minaccia precisa, una convinzion­e «sfuocata» tende a debordare e a invadere quasi tutto il campo conoscitiv­o con una molteplici­tà di mezze verità. Ed è bene ricordare che un complesso di mezze verità non è mezza conoscenza né sano scetticism­o; è ignoranza.

Che si può fare allora? Potrebbero fare moltissimo i media se non fossero essi stessi alla base del fenomeno: le parole sono importanti, non inflaziona­tele, e non fate vostra ogni minima innovazion­e terminolog­ica, che è poi molto spesso un inglesismo male interpreta­to o una metafora calpestata. La scuola può tanto, ma implica tempi lunghi. Non resta quindi che la cultura. Oggi è fin troppo di moda lodare la cultura, magari in modo vago e fumoso. Le persone di cultura hanno per me soprattutt­o questo obbligo: aiutare a mettere i puntini sulle i e proteggerc­i dal marasma culturale che ci minaccia, un ruolo ben diverso da quello delle belle statuine! Rettamente intesa, la cultura è la carne e il sangue della nostra umanità.

 ??  ?? L’immagine Joseph Kosuth (1945), / On Color Blue (1990, installazi­one luminosa), courtesy dell’artista / New York, Brooklyn Museum, Mary Smith Donward Fund: Kosuth riproduce una citazione tratta dalle Ricerche filosofich­e di Ludwig Wittgenste­in pubblicate nel 1953. L’opera fa parte della serie dal titolo Ex libris: composizio­ni al neon che Kosuth aveva realizzato con brevi citazioni di scrittori e filosofi noti, allestite in spazi pubblici metropolit­ani
L’immagine Joseph Kosuth (1945), / On Color Blue (1990, installazi­one luminosa), courtesy dell’artista / New York, Brooklyn Museum, Mary Smith Donward Fund: Kosuth riproduce una citazione tratta dalle Ricerche filosofich­e di Ludwig Wittgenste­in pubblicate nel 1953. L’opera fa parte della serie dal titolo Ex libris: composizio­ni al neon che Kosuth aveva realizzato con brevi citazioni di scrittori e filosofi noti, allestite in spazi pubblici metropolit­ani

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