Corriere della Sera - La Lettura
Ditemi: cosa significa natura? Il senso perduto delle parole
Prospettive Si fa un gran parlare di fake news, di notizie false, o quasi false, o di mezze verità. Il problema — nonostante le opportunità della globalizzazione, che ha facilitato la condivisione della conoscenza — è che l’ignoranza aumenta
«Credo nel potere della natura!», dice convinta una signora all’inizio di un annuncio pubblicitario che sta passando in questi giorni sui media. Che cosa le vogliamo dire? «Sì, no, forse, bisogna vedere…»? Frasi non-frasi del genere ne sentiamo a centinaia, o le leggiamo, da un’ora all’altra, da un giorno all’altro, e non solo nella pubblicità. Ci abituiamo così a un disturbo di fondo di natura semantica che oramai sta sostituendo e ricostituendo la nostra cultura, spicciola e meno spicciola. Si parla oggi tanto di fake news, notizie false, o quasi false, messe in giro ad arte per confondere la gente. Io non credo che il discorso sia tutto qua, e nemmeno che questa sia la parte più importante. L’attuale, improvviso abbassamento del livello culturale collettivo che stiamo vivendo e che tante conseguenze ha avuto e sta avendo, non è prodotto secondo me semplicemente da un disastroso calo di istruzione — che non può essere stato così improvviso — né da un’indifferenza ad essa che la gente di oggi mostrerebbe.
È dovuto invece a mio avviso a un appannamento dei significati. Dei significati delle parole, intendo dire, e di conseguenza delle frasi.
Il mondo è sempre stato ammorbato da affermazioni non troppo chiare che lasciavano un vago senso di incompletezza e di poca trasparenza. Così che molte frasi erano mezze verità o verità a validità limitata, ma in un certo senso lo sapevamo, e le affermazioni rilevanti non erano poi tantissime un tempo.
Poi è arrivata la società della conoscenza, così chiamata perché la nostra conoscenza si è espansa enormemente ed è divenuta un elemento chiave della nostra vita, in relazione agli altri e a noi stessi. L’essere umano si è sempre lamentato, prima durante e dopo — non ne può fare a meno! — ma qualcuno ha apprezzato il fascino di un’epoca nella quale si potevano raggiungere tante esaltanti nozioni a relativamente poco prezzo e scambiarsele, tra popoli diversi, nazioni diverse, classi diverse e ingegni diversi. (Ma c’era comunque qualcuno che tuonava contro la cosiddetta globalizzazione, pensando di essere più intelligente e «avanzato» degli altri!).
Quell’epoca non è finita, intendiamoci. Personalmente, sono molto contento di viverla e non posso proprio dire di non godermene i vantaggi, intellettuali e pratici.
Ma un tarlo ha cominciato da qualche tempo a svuotare dall’interno molti dei termini implicati, lasciando gusci semivuoti e certezze risicate, creando uno stato di confusione strisciante e una spiacevolissima impressione di ambiguità, il più delle volte sostanzialmente non voluta. Si usano quotidianamente un numero sempre più alto di parole, se ne introducono in continuazione di nuove, il più delle volte mal definite e si logora il significato di altre che, pur figurando da tempo nelle nostre conversazioni, vengono troppo spesso usate in contesti sempre nuovi e forzati.
Quello delle parole è il più grande patrimonio che noi possediamo, perché tutto deve passare obbligatoriamente per le parole. Ma le parole sono vive e operanti se significano cose precise; non dico per forza un numero limitato di cose — la corrispondenza una parola-un concetto è un sogno irraggiungibile e forse neppure augurabile — ma certo non una pletora di cose diverse dai contorni neppure ben definiti.
Il problema non è rappresentato dalla struttura del vocabolario, ma dal suo uso. Parole come «algoritmo» e «biodiversità» hanno un significato ben preciso, che però molti non conoscono; altre come «resilienza» e «empatia» non hanno neppure un significato ben definito; altre infine, come «populismo», «neocapitalismo» e la stessa «democrazia» andrebbero ridefinite di tanto in tanto, per non parlare di «energia», il termine che detiene il primato assoluto di utilizzazioni con significati diversi e aberranti.
La frase con la quale abbiamo iniziato l’articolo contiene la parola «natura» che, insieme al corrispondente aggettivo naturale, ha subito e subisce tanti di quegli abusi da arrivare a non significare più niente: un latte o uno yogurt con lo 0,1% di grassi non possono avere assolutamente niente di naturale. Se assumiamo poi che naturale è buono e artificiale è nocivo, anche solo come debole convinzione di fondo, non possiamo comprendere quasi niente del mondo che ci circonda, e certo non possiamo imparare nuovi concetti che siano di una qualche utilità. Si assiste in questo caso a una lotta sotterranea e inconsapevole fra ciò che potremmo imparare e ciò che non possiamo «accettare» perché contrario a una delle nostre convinzioni di fondo, anche non troppo forti.
Sono realtà culturali come queste che riescono a trasformare la conoscenza in una mezza ignoranza. E alcune verità in mezze verità. Bastano due o tre convinzioni di fondo sbagliate, per sbarrare completamente il passo all’acquisizione di nuove conoscenze. Ma c ’è anche di peggio. In fondo c’è sempre stata una lotta fra nuove acquisizioni e vecchie convinzioni di fondo — è il motivo per il quale il progresso delle conoscenze è così lento — ma la lotta diventa impari se le convinzioni di fondo non sono nemmeno espresse in termini chiari, e il nuovo non si scontra con il vecchio ma contro una molteplicità confusa di assunti difficilmente esplicitabili. È allora che l’insipiente può ribattere: «Sì, però…» e arroccarsi. Così come una minaccia imprecisata è molto peggiore di una minaccia precisa, una convinzione «sfuocata» tende a debordare e a invadere quasi tutto il campo conoscitivo con una molteplicità di mezze verità. Ed è bene ricordare che un complesso di mezze verità non è mezza conoscenza né sano scetticismo; è ignoranza.
Che si può fare allora? Potrebbero fare moltissimo i media se non fossero essi stessi alla base del fenomeno: le parole sono importanti, non inflazionatele, e non fate vostra ogni minima innovazione terminologica, che è poi molto spesso un inglesismo male interpretato o una metafora calpestata. La scuola può tanto, ma implica tempi lunghi. Non resta quindi che la cultura. Oggi è fin troppo di moda lodare la cultura, magari in modo vago e fumoso. Le persone di cultura hanno per me soprattutto questo obbligo: aiutare a mettere i puntini sulle i e proteggerci dal marasma culturale che ci minaccia, un ruolo ben diverso da quello delle belle statuine! Rettamente intesa, la cultura è la carne e il sangue della nostra umanità.