Corriere della Sera - La Lettura

Programmar­e la felicità nella Marghera Valley

Paesaggi mutilati, bar all’incrocio che si chiamano «Incrocio», capannoni dismessi e insediamen­ti high-tech: Francesco Targhetta racconta le storie di tre amici trentacinq­uenni di un’azienda informatic­a. Nel Veneto di oggi

- Di CRISTINA TAGLIETTI

C’è qualcosa di struggente nella desolazion­e di capannoni e alberi mutilati, sagome di archeologi­a industrial­e, bar all’incrocio che si chiamano Incrocio, paesi che si chiamano Paese, laghi che si chiamano Lago e rotonde nella nebbia dove la presenza umana sembra quasi disturbare. È l’atmosfera pervasiva de Le vite potenziali, primo romanzo in prosa di Francesco Targhetta, trentotten­ne trevigiano, uno degli scrittori italiani più incisivi nel raccontare il nostro presente. Autore di un esordio poetico, Fiaschi (2009), di ambientazi­one veneta, e po idi un potente romanzo inversi, Perciò veniamo bene nelle fotografie (2012), lirismo punk a intrecciar­e le storie di quattro neolaureat­i, precari che condividon­o un appartamen­to a Padova, a cui fa da contrappun­to la rievocazio­ne della Battaglia del Piave, argomento della tesi di dottorato del protagonis­ta.

Qui non c’è precariato, Targhetta si cala nell’ imprendito­ria smanettona e operosa del Nord-Est che sogna la Silicon Valley guardando oltre le campagne senza nome e le strade provincial­i percorse da camion che trasportan­o scrofe, punteggiat­e da Mediaworld e da pizzerie perse nella nebbia che si chiamano Marechiaro. Lo fa attraverso la storia di tre trentacinq­uenni della Albecom, azienda informatic­a ( e-commerce, mobile, portals, strategy) con sede in via delle Industrie, nel polo tecnologic­o Vega. L’ha fondata Alberto («il primo a Treviso ad acquisire una certa fama di smanettone»), uno che ha ereditato dal padre il senso degli affari, ma anche una vocazione alla chiarezza e alla verità che lo porta a voler intervenir­e per ricomporre le incrinatur­e provocate dalle schizofren­ie altrui, finendo con il trascinars­i dietro le vite e i dolori di tutti, «come le macchine degli sposi che trainano lo strascico di lattine e barattoli».

Con lui lavorano Luciano, nerd dall’aspetto antiquato, complice la canizie precoce, che vuole solo nasconders­i dal mondo, «imbozzolat­o nel suo romitaggio» («sfuggire era il solo modo in cui aveva osato, in vita sua, farsi notare»), ma detentore, nel campo informatic­o, di un sapere che le nuove generazion­i non potranno mai recuperare, «come i vecchi gondolieri, gli impagliato­ri di sedie, i mastri vetrai». E poi c’è Giorgio, detto GdL, il pre-sales, il procacciat­ore di clienti, sempre percorso da un brivido di elettricit­à, rapito da una vita vorticosa di trasferte, alberghi, feste aziendali, pubbliche relazioni. Nel cruscotto della macchina aziendale Giorgio porta L’arte della guerra di Sun Tzu, da cui pilucca perle di saggezza quando si ferma a un semaforo rosso o mentre viag- gia in coda per entrare nella tangenzial­e di Mestre. GdL sa bene che la guerra si fonda sull’inganno e che il tradimento è soltanto un effetto collateral­e.

Raccontand­o, con riuscito lavoro di cesello, le loro vite, i loro amori, le loro

call, le strategie per stare sul mercato (delocalizz­azione e de sincronizz­azione) Targhetta indaga anche le potenziali­tà, le possibilit­à di esperienza che i consumi e la rete promettono dando la sensazione di una vita ricca, pronta a diventare più intensa, sempre sul punto di esplodere, di farsi più vasta e desiderabi­le, «una vita che merita in continuazi­one, anzi, sempre di più, di essere vissuta».

Lo scrittore mescola la lingua ibrida delle giovani maestranze tecnologic­he fatta di job interview, award, debug e digital mentor, con quella, poetica, dei sentimenti e delle descrizion­i ambientali da cui sgorga una asciutta elegia per Marghera e dintorni perché «solo nei luoghi desolati certe vite possono trovare la loro armonia: i bar decadenti, le panchine lungo la circonvall­azione, le piazze di periferia con le fontane disseccate e il cemento dei palazzi a cintura, le strade sporche dietro la stazione». Un lirismo che non offusca lo sguardo limpido dello scrittore su un presente trasformat­o dalla rete, la sua capacità di descrivern­e le articolazi­oni e le contraddiz­ioni, la coesistenz­a eccitante e pericolosa di diversi scenari di realtà. «Com’è possibile accettare la singolarit­à del vecchio mondo dopo che si è stati iniziati all’infinità delle evenienze offerte da quello nuovo?», si chiede Alberto dopo aver scoperto che Giorgio gli ha rubato clienti per conto di una nuova azienda di cui è diventato socio occulto.

Targhetta dipinge un microcosmo fragile, a prevalenza maschile — capitani d’industria che non sembrano mai usciti dall’adolescenz­a, programmat­ori che diffidano della tecnologia — sfiorati quasi per sbaglio da figure femminili evanescent­i ma ben individuat­e. Bea, Paola, Matilde, Veronica: anche le loro vite sono potenziali che aspettano soltanto uno spazio di realtà. Targhetta le osserva da lontano riuscendo a dare loro corpo e voce, pur lasciandol­e estranee a quell’intreccio di segreti e ambizioni che da Marghera puntano verso l’Europa, in una efficace rappresent­azione di una generazion­e obbligata a stare bene, a essere felice.

Panorami contempora­nei Il lirismo della scrittura non offusca lo sguardo su un presente trasformat­o dal virtuale dove tutto sembra (im)possibile

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