Corriere della Sera - La Lettura

Questa spedizione (dei Mille) non s’ha da fare

Il Risorgimen­to fantastico di Isidoro Meli ha una lingua inventiva

- Di ALESSANDRO BERETTA

Attìa e Panc sono due delinquent­elli nella calda Palermo del 1860, tempo di Risorgimen­to. Uno è minuto e colto, un «siciliano senza storia e senza dio» arrivato da lontano; l’altro è enorme, tonto, affettuoso ma talvolta capace di «super violenza». Se si bestemmia in sua presenza è meglio avere sottomano dei pistacchi di Bronte per calmarlo, perché diventa verde e spacca tutto, come Hulk. In Attìa e la guerra dei gobbi, secondo romanzo di Isidoro Meli, fin dall’inizio il tono esagerato e comico accompagna il lettore, come recita il sottotitol­o, nelle «imprese et mirabilie di un eroe sicilia- no in difesa della sua terra invasa dai barbari». L’autore, il cui bell’esordio La mafia mi rende nervoso (Frassinell­i 2016) mescolava grottesco e malavita, cambia genere e lo fa servendosi di una coppia comica figlia di tanta tradizione pop, da Bud Spencer e Terence Hill ad Asterix e Obelix, bizzarra e giocosa. I «due criaturi dall’esistenza effimera» vengono incastrati e usati dalla polizia borbonica insieme ad altri «cumpari», il temibile assassino Andrea «u’ Muzziaturi» e il bellissimo soldato Salvatore Paradiso, per una sgangherat­a missione: andare a Caprera, rapire la donna di Giuseppe Garibaldi e ricattarlo impedendog­li la Spedizione dei Mille. A raccontare l’impresa immaginari­a, è il defunto Nello, cantastori­e che aveva la capacità di leggere il futuro e che, prima di morire, aveva scritto una canzone per diffondere le gesta dei suoi amici. È sua la voce onniscient­e ad alternare alle vicende alcuni interludi personali e le pagine del diario del soldato Salvatore permettend­o bei giochi temporali, mentre le avventure procedono tra prese di «tabacco forte» — ovvero Marijuana —, imprese sessuali, poiché Panc è superdotat­o, e imprevisti di ogni tipo. Si ride, perché i personaggi, inclusi i «gobbi» soldati piemontesi contro cui lottano, sono tutti surreali e «sbiruli», pieni di «devianze e asimmetrie» come certi episodi laterali che talvolta diventano capitoli a sé. Il migliore, tra questi, è «La storia di Balastu», un brigante deforme - il cui nome è la crasi di «balente», uomo saggio in sardo, e «guasto» — che ha fondato una comune anarchica di briganti dove «tutti quanti sono tenuti a essere liberi, e a non perdere mai l’interesse» per le cose comuni. Quando la brigata finisce sulla costa sarda e li incontra, scoppieran­no scintille e inattese alleanze. Tra le pagine, si sente l’omaggio a L’armata

Brancaleon­e di Mario Monicelli nel vagare degli strambi paladini e nella lingua inventiva, dove inserti dialettali dal siciliano, sardo e piemontese complicano la lettura, ma impennano la verve espression­istica. Altra ispirazion­e, invece, arriva dal dedicatari­o: Ron Gilbert, padre di videogame graphic adventure come The

Secret of Monkey Island. L’impronta videoludic­a aleggia in certe battute e nelle lunghe, violente e troppo compiaciut­e battaglie. Il dilemma tra stile comico e avventura in un Risorgimen­to fantastico non si scioglie sempre bene, talvolta si inceppa e se Meli firma un romanzo più maturo sul versante tecnico, è certo meno incisivo su quello poetico.

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