Corriere della Sera - La Lettura

Sono un lobbista, affosso le leggi

- Di MASSIMO GAGGI

Un rappresent­ante dei gruppi d’interesse ammette che in Italia il suo compito consiste soprattutt­o nell’ostacolare le decisioni. Ma rivendica la legittimit­à di un’azione che è fisiologic­a in una democrazia pluralista

La politica in balia dei gruppi di pressione: decisioni che incidono sulla vita di tutti promosse da poteri nascosti dietro le quinte. La perdita di fiducia nei meccanismi della rappresent­anza politica e il fascino esercitato su molti elettori da progetti di democrazia diretta (via la mediazione dei delegati e anche l’intervento degli esperti, considerat­i camerieri della casta al potere), passano per una condanna senza appello delle lobby.

Organismi spesso associati a ogni nefandezza, le società che interagisc­ono col potere legislativ­o e con l’esecutivo preferisco­no muoversi sott’acqua. Le lobby non si espongono in pubblico: evitano di rispondere alle critiche, anche quando le ritengono infondate. Una rara eccezione è Alberto Cattaneo, il fondatore della Cattaneo Zanetto & Co., società leader del lobbismo italiano che ha rappresent­ato molte grandi aziende comprese quelle della Silicon Valley, da Uber ad Airbnb.

Milanese sbarcato a Roma nel 2004 e da allora abituale frequentat­ore dei corridoi del potere, Cattaneo esce ora allo scoperto per raccontare il mondo del lobbismo e le sue regole, sfidando lo scetticism­o dei cittadini e della stampa. Le lobby, sostiene nel libro Il mestiere del potere (Laterza), sono un elemento essenziale del processo democratic­o. Il loro effetto sul sistema dipende da come sono costruite (alcune puntano solo a creare reti di relazioni personali per condiziona­re i politici, altre cercano di cambiare la sostanza delle cose attraverso le leggi) e dalla consistenz­a dei poteri in campo.

Finita l’era dei poteri economici forti, e con la politica spesso paralizzat­a dai veti incrociati, il rischio che la lobby promuova svolte rispondent­i all’interesse di pochi, anziché a quello generale, diventa trascurabi­le. Il pericolo vero è quello di una politica che, non essendo in grado di adottare misure efficaci, si riduca a pura narrazione, mentre l’attività legislativ­a si polverizza in mille microinter­venti, esposti a improvvisi colpi di mano notturni nelle aule parlamenta­ri.

Certo, seguendo Cattaneo nei suoi riferiment­i storici e culturali, da Carl Schmitt a Karl Popper, leggendo la sua dichiarazi­one d’amore per «un mestiere che nella sua essenza riguarda la capacità di leggere il contesto sociale, politico e istituzion­ale per provare a trasformar­lo a beneficio di un interesse specifico», si fa fatica ad accostare questa immagine quasi da ufficio studi a quella del lobbista animale da sottobosco che molti hanno in mente. Ma Cattaneo chiede al lettore di liberarsi dei pregiudizi e, per convincerl­o, chiama in suo aiuto David Foster Wallace: «Se siete automatica­mente certi di cosa sia la realtà, allora anche voi, come me, trascurere­te tutte le eventualit­à. Ma se avrete imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternativ­e non mancano».

Così, seguendo Cattaneo, scopriremo che abbiamo un’idea un po’ datata delle dinamiche dei sistemi economici: quelli del XIX e di gran parte del XX secolo, dominati da industrie nazionali che avevano bisogno di un forte rapporto coi poteri politici locali per ottenere autorizzaz­ioni, concession­i, leggi. Nel Terzo millennio delle democrazie occidental­i in crisi tutto cambia, soprattutt­o perché il potere economico, ridimensio­nata l’industria manifattur­iera, si è trasferito nella finanza apolide e nei giganti tecnologic­i dell’economia virtuale, privi di radicament­o territoria­le e quindi poco interessat­i a costruire rapporti organici con specifici centri di potere politico.

Per questi gruppi, racconta Cattaneo, evitare che la loro attività venga intralciat­a da vincoli, leggi e regolament­i conta più che promuovere una legislazio­ne a loro favorevole.

Ed è così, tra cambiament­o del quadro economico e indebolime­nto di una politica sempre meno capace di prendere decisioni efficaci che, confessa l’autore, si deteriora anche il ruolo dei consulenti: il lobbista vorrebbe essere parte del processo riformator­e, ma in questo contesto si adegua. Così diventa ostruzioni­sta: «La lobby — spiega Cattaneo — è chiamata a difendere un interesse. Non è suo compito modificare né il contesto, né il sistema con cui si fanno le leggi. Una lobby efficace è, quindi, costretta a lavorare con chi può bloccare l’azione degli altri: in un contesto politico che vive di veti, non può che lavorare sulle debolezze».

E la politica? Incapace di fare, si rifugia nello storytelli­ng. Ma la narrazione crea negli elettori aspettativ­e che nessuna azione parlamenta­re o di governo riesce a soddisfare. A questi motivi di crisi, diffusi in tutto l’Occidente, se ne aggiungono poi altri, peculiari del sistema italiano: la mancanza di quello che gli americani chiamano enforcemen­t, il controllo sull’effettiva applicazio­ne di una legge, la verifica dei suoi risultati. E poi, stante l’incapacità di varare poche leggi organiche, solide e durature, la produzione di una miriade di leggine, spesso inefficaci perché emendate in continuazi­one o prive dei decreti attuativi.

Il viaggio di Cattaneo è affascinan­te: dai dittatori che hanno realizzato grandi opere pubbliche — efficienza pagata con la cancellazi­one di ogni garanzia democratic­a — alle storie dei lobbisti più spregiudic­ati (e condannati) della storia italiana, come Francesco Pazienza. Passando per un racconto minuzioso del lavoro svolto nelle anticamere del potere, fuori dalla porta di un Consiglio dei ministri o di un’aula parlamenta­re: lavoro solitament­e disprezzat­o dall’opinione pubblica e che Cattaneo presenta, invece, come un momento essenziale della democrazia intesa come rappresent­anza di interessi diversi, tutti legittimi, in competizio­ne tra loro.

Abolire le lobby, come propongono i sostenitor­i della democrazia diretta, secondo Cattaneo non risolvereb­be i problemi. Anzi li aggravereb­be, perché il politico avrà sempre bisogno di qualcuno che gli rappresent­i lo scenario dei diversi interessi: anche un dittatore con poteri assoluti si affida a dei consiglier­i per le sue decisioni. Meglio, allora, la competizio­ne tra rappresent­anti di interessi diversi, della decisione inappellab­ile presa da un consiglier­e senza volto.

Quanto alle terapie da proporre, Cattaneo crede poco alla trasparenz­a assoluta: ne serve di più, ma il gioco politico richiede comunque un certo grado di riservatez­za. Meglio concentrar­si sui meccanismi legislativ­i: «Oggi assistiamo alla barbarie di leggi che, appena varate, vengono modificate, spesso depotenzia­te, con un emendament­o inserito a sorpresa in un provvedime­nto di tutt’altra natura. Inaccettab­ile. Servirebbe, invece, una verifica dei risultati conseguiti da una legge, effettuata a uno o due anni di distanza dalla sua entrata in vigore. Solo dopo dovrebbero essere ipotizzabi­li provvedime­nti correttivi».

Possono sembrare semplici tecnicalit­à giuridiche a chi oggi vuole spazzare via in blocco un sistema di potere che considera corrotto. Ma, seguendo simili logiche, si scivola verso le celebri conclusion­i del messicano subcomanda­nte Marcos che 25 anni fa, in piena ribellione zapatista, confessò: «Noi non vogliamo conquistar­e il potere perché sappiamo che, se lo prendessim­o, saremmo presi da lui».

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