Corriere della Sera - La Lettura
C’è una chiesa paleocristiana sotto il nuovo museo Lavazza
I resti (IV-V secolo) sono stati scoperti durante gli scavi per la «Nuvola», quartier generale del caffè
Bernardo Bellotto, nelle sue due stupefacenti tele oggi conservate nella vicina Galleria Sabauda, l’aveva fermata nitida e algida al tempo di Carlo Emanuele III: i Giardini Reali e l’unico ponte che allora attraversava il Po avvolti da una stessa luce fredda eppur bellissima. Città da sempre ricca di contrasti, Torino continua a raccontarsi nella sua affascinante doppiezza: raffinata e popolare (le lavandaie ritratte in lontananza da Bellotto attorno al 1745 potrebbero essere le stesse che Fruttero & Lucentini avrebbero più tardi messo con le loro «buone pietre» al centro della Donna della Domenica, romanzo cult del 1972); aristocratica e industriale; progressista e oscura. La stessa città, misteriosa e surreale, di Felice Casorati, del collezionista Renato Gualino, della prima galleria di Gian Enzo Sperone e degli artisti dell’Arte Povera (Alighiero Boetti, Mario Merz, Gilberto Zorio e Giuseppe Penone). La stessa città del Museo Egizio, di Artissima (la fiera d’arte contemporanea in programma quest’anno dal 2 al 4 novembre) e di Nature morte: Torino printaniére, capolavoro di Giorgio de Chirico (datato 1914, oggi alla Galleria d’arte moderna) che mette in scena sul palco di un immaginario teatro, un carciofo, un uovo, un libro giallo, due quinte che inquadrano una veduta urbana con tanto di monumento equestre, palazzo con archi, vista sulle colline. Una città, appunto, misteriosa e surreale.
Nessuna sorpresa, allora, se sotto la Nuvola, il nuovo quartier generale dell’azienda produttrice di caffè tostato fondata nel 1895 da Luigi Lavazza, che aprirà in anteprima le porte al pubblico il 14 aprile, siano così riemersi i resti di una basilica paleocristiana databile tra il IV e il V secolo dopo Cristo. In qualche modo sono i frammenti di un’altra Torino, la Torino delle collezioni del Museo Archeologico, una delle più antiche d’Europa, e del Diocesano dove sono conservati i resti di un’altra basilica, anch’essa d’età paleocristiana, dedicata al Salvatore. Sin dall’inizio quello progettato dall’architetto Cino Zucchi non avrebbe dovuto essere un semplice quartier genera- le efficiente e innovativo (dalle linee leggere e sinuose a cui deve il soprannome appunto di Nuvola), ma piuttosto una sorta di portale capace di mettere in relazione l’azienda con la città che l’ha vista nascere e crescere. E, in particolare, con il tessuto urbano circostante, quello della Borgata Aurora: vicinissima al centro, un tempo a esclusiva vocazione operaia e oggi anche di forte presenza extracomunitaria, che comprende tra l’altro il Balon (il più popolare mercato delle pulci di Torino), la Piccola casa della Divina Provvidenza (più conosciuta come il Cottolengo), il santuario di Maria Ausiliatrice, il mercato di Porta Palazzo.
Si tratta di un’area di circa 18.500 metri quadrati che ha, di fatto, già ridisegnato l’intero isolato compreso tra via Palermo e via Ancona. Grazie a un progetto che letteralmente ruota attorno a una grande piazza alberata e all’ex-centrale elettrica Enel dove sarà ospitato il quartier generale della Lavazza: realizzato utilizzando vetrate alternate a pannelli metallici e a vetri trattati con serigrafie decorate; con un grande atrio centrale, caratterizzato da una copertura curva, che lo collega con gli altri spazi della Nuvola e con la piazza, e che al suo interno presenta una scala principale che sale fino al terzo piano e che si apre in una grande terrazza con giardino pensile. Nell’ex-centrale, invece, ci saranno il museo d’impresa (firmato dallo studio americano Ralph Appelbaum Associates e che accoglierà oggetti, macchine, immagini, frammenti di pubblicità) con tanto di ristorante gourmet («Condividere by Lavazza», studiato assieme a Ferran Adrià e con la scenografia di Dante Ferretti); il «Bistrot» per la ristorazione collettiva; il centro congressi; la sede dello Iaad (l’Istituto d’arte applicata e design); parcheggio e (dopo la scoperta dei ruderi) piccolo museo aperto al pubblico. Un progetto che certifica ulteriormente quel processo di riqualificazione che nel quartiere ha già prodotto il sottopasso di corso Marghe-
L’edificio progettato a Torino da Cino Zucchi ospiterà collezioni, centro congressi, ristoranti, giardini
rita, il PalaFuksas, il Turin Eye. «La Nuvola — spiega Francesca Lavazza, membro del Consiglio di amministrazione del gruppo — affonda le proprie radici negli oltre 120 anni di storia dell’azienda e si anima nella volontà di mettere in circolo cultura. La cultura del caffè, ma anche di contenuti che spaziano dalla grande fotografia d’autore alla comunicazione creativa, dall’architettura contemporanea alla preservazione dei beni culturali. Per questo la scoperta dei resti dell’antica basilica paleocristiana è stata solo una ciliegina casuale e piacevole sulla Nuvola, una ciliegina che non ci aspettavamo, ma che è diventata per tutti noi un’occasione di arricchimento del progetto». Tutto questo segue un’idea di mecenatismo che ha già portato Lavazza, ad esempio, a collaborare con il Guggenheim di New York per la realizzazione delle mostre sul Futurismo italiano (2014), su Alberto Burri ( The Trauma of Painting, 2015-16), su Moholy-Nagy ( Future Present, 2016). E che, dall’8 giugno al 12 settembre, produrrà quella su Alberto Giacometti con 175 lavori tra sculture, disegni e dipinti.
Dopo la scoperta, il progetto della Nuvola (fin dall’inizio votato alla sostenibilità) è stato modificato al fine di tutelare e valorizzare il sito archeologico. La variante (elaborata grazie a un accordo tra Lavazza, città di Torino e direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Piemonte) ha previsto, oltre a interventi nei piani interrati, anche la realizzazione di una copertura per garantire la corretta conservazione dell’area e per consentirne la fruibilità. Oggi il giardino sovrastante i resti è così diventato una grande copertura verde che protegge e permette di mostrare i reperti archeologici. Il rinvenimento casuale dei resti archeologici della basilica paleocristiana all’angolo tra via Palermo e via Ancona è stato dunque visto «non come un puro vincolo o un disturbo, ma come un’occasione di ricchezza del progetto stesso». In corso d’opera, la rampa circolare di accesso agli interrati è stata sostituita con una rampa lineare assorbita nel corpo di fabbrica.
Per Egle Micheletto, soprintendente per i beni ar- cheologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie di Torino, «questa eccezionale scoperta arricchisce di molto le conoscenze sulla topografia cristiana torinese, che, oltre al complesso della cattedrale paleocristiana sottostante il Duomo, già indagato archeologicamente degli ultimi decenni, si limitavano finora alle notizie storiche sul cimitero suburbano situato a sud-ovest della città fuori dalla Porta Segusina, nell’area dell’attuale cittadella».
Un percorso scandito da totem, leggii e teche guiderà i visitatori attraverso i resti portati alla luce durante i lavori di scavo. Tra le macerie di demolizione della chiesa ci saranno (ad esempio) lastre di marmi di spessore e colori diversi e una piastrella triangolare che rimanda ai pavimenti a composizione geometrica in bianco e nero diffusi negli edifici di culto dell’Italia settentrionale dal IV-V secolo e definiti «sectilia a piccolo modulo», che trovano uno dei rari esempi nel battistero di Novara. Ma anche frammenti di vasellame da mensa e da cucina probabilmente testimonianza dei pasti funebri consumati presso le tombe a conclusione del funerale e in occasione di particolari ricorrenze; epigrafi funebri o memorie del finanziamento di un’opera cittadina; monete del IV secolo che sembrano essere state smarrite dopo un lungo utilizzo ma che, ancora nuove, erano entrate a far parte di piccoli gruzzoli o che, secondo un’usanza pagana che si protrae anche nel rituale cristiano nonostante le indicazioni contrarie dei Padri della Chiesa, trasformava le monete in un simbolo beneaugurante per la Resurrezione.
L’oggetto più intrigante? Forse lo spillo con capocchia a forma di colomba appartenuto a una tomba del VII secolo che con tutta probabilità accoglieva i resti di una bambina o di una giovane donna. Frammenti di una Torino lontana nel tempo, ma anche di quell’umanesimo industriale che in Italia ha finora prodotto oltre 300 musei d’impresa dedicati di volta in volta alla Pirelli, alla Kartell, al Liquore Strega o alla Liquirizia Amarelli.