Corriere della Sera - La Lettura
Gaudenzio Ferrari si fa in tre: magia!
«Scoperto» da Giovanni Testori nel 1956, viene «riscoperto» oggi grazie a una monumentale monografica distribuita tra Varallo (gli anni della giovinezza), Vercelli (la maturità) e Novara (l’ultima stagione). Sul Sacro Monte diede corpo e colori alla fede cristiana
Comprendere la fortuna di alcuni artisti del passato resta un mistero. Per qualche ragione, l’indiscussa eccellenza di Gaudenzio Ferrari, uno dei massimi interpreti del Cinquecento italiano, era rimasta sinora sotto le ceneri dell’indifferenza. Fondamentali furono gli studi e soprattutto gli scritti del giovane Giovanni Testori, che nel 1956 gli dedicò una mostra magistrale e nel 1965 alzò il sipario sul «Gran teatro montano» del Sacro Monte di Varallo. Molta strada rimaneva però ancora da percorrere. Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, con il contributo di Gianni Romano e numerosi storici e studenti, dedicano ora al maestro valsesiano una nuova mostra monografica monumentale, all’antica, che contribuisce finalmente a far conoscere non solo l’artista ma anche la malia d’indimenticabili luoghi. La mostra si svolge in tre sedi, che corrispondono alle fasi della vita di Gaudenzio e dove troviamo sia le opere radicate nel territorio che quelle giunte in prestito da musei internazionali. Gli anni della giovinezza sono presentati nella Pinacoteca e sul Sacro Monte di Varallo, la stagione della maturità all’Arca di Vercelli e gli anni finali al Broletto di Novara.
Conteso tra Piemonte e Lombardia, Gaudenzio è in realtà un pittore lombardo. Valduggia, piccolo comune della Valsesia dove nacque attorno al 1480, era infatti sotto il Ducato Sforzesco e a Milano Gaudenzio lavora nella bottega di Stefano Scotti e osserva con attenzione sia le inquietanti soluzioni del Bramantino che gli studi fisiognomici di Leonardo, a quel tempo alla corte degli Sforza. È comunque in Valsesia che Gaudenzio inizia la sua ascesa. Le prime commissioni sono tra le valli pedemontane ed è forse di sua mano già un affresco nel 1495 per la cappella dell’Assunzione al Sacro Monte di Varallo, complesso monumentale fondato da Bernardino Caimi alla fine del Quattrocento. Quest’ultimo, di ritorno dalla Terra Santa, aveva deciso di riedificare fedelmente i luoghi più simbolici di Gerusalemme in Valsesia per consentire ai fedeli di surrogare in Occidente il pellegrinaggio nella lontana e pericolosa Palestina. La ricostruzione dei luoghi santi comprendeva grotte e cappelle, riprodotte con straordinaria fedeltà. All’interno si trovavano pitture e fi- gure di grandezza naturale che permettevano ai fedeli di immedesimarsi in questa singolare traslazione alpina. L’impresa di Caimi, cresciuta e poi ripensata nel tardo Cinquecento da Alessi, ha avuto il contributo fondamentale di Gaudenzio che, instancabile pittore, plasticatore e architetto, realizzò 9 cappelle, su un totale di 45, numerose statue tra le 800 esistenti, e sorprendenti affreschi.
La sua vita resta per molti aspetti un mistero. Si ipotizza un viaggio di formazione a Roma grazie a una piccola cappella affrescata nel 1507 a Varallo, in Santa Maria delle Grazie, dove si notano elaborate grottesche d’indubbio gusto romano. In questa chiesa un ponteggio consente inoltre al pubblico di avvicinarsi all’imponente affresco dedicato alle Storie della vita di Cristo. Un’opera fenomenale con alcune parti in rilievo che annunciano il futuro plastico delle cappelle del Sacro Monte.
Negli anni successivi, Gaudenzio continua l’inesauribile lavoro per l’edificazione della «Nuova Gerusalemme». Tra il 1517 e il 1520 allestisce tra le altre la cappella della Crocifissione, un’opera di coinvolgimento assoluto la cui scena si svolge con una concitazione tangibile, trasmessa dalle figure modellate e dagli astanti affrescati senza soluzione di continuità sulle pareti che avvolgono l’intera rappresentazione. La cappella, suprema mimesi architettonica dei luoghi sacri, ospita decine di personaggi realizzati in terracotta policroma con applicazioni di fibre solo peri capelli. La caratterizzazione dei protagonisti, manigoldi, guardie, pie donne e ladroni, è impressionante. Per secoli il realismo della scena ha immerso i pellegrini nell’episodio, ma ancora oggi, in un’epoca di realtà virtuale, l’insieme cinquecentesco lascia sgomenti.
I polittici di questi primi decenni, come quello ricostruito con le pale della Sabauda e della National Gallery di Londra o la grande ancona di Arona, ribadiscono la sua formazione milanese ma anche l’influenza delle opere del Perugino, forse viste in un probabile viaggio, ma certo conosciute nella Certosa di Pavia. Dalla fine degli anni Venti, Gaudenzio è a Vercelli dove affresca cappelle e realizza l’Adorazione del Bambino con vescovo del 1530, oggi a Sarasota, con il magnifico paesaggio che trascolora in profondità. In questo periodo, lavora per diverse committenze a Casale Monferrato, Vigevano e Como. Al Broletto di Novara sono raccolte alcune sue pale a campo unico, con figure di grandi dimensioni e composizioni dinamiche che daranno lezione alla somma pittura di Cerano e Morazzone. È esposta anche l’Ultima Cena per Santa Maria della Passione a Milano, estrema opera dell’artista dipinta nel 1546 e terminata da Giovanni Battista Della Cerva. In una struttura architettonica e prospettica, che ancora risente del folle estro di Bramantino, Gaudenzio guarda alle più belle cromie del Manierismo veneto creando un desco affollato e variopinto.