Corriere della Sera - La Lettura

Filadelfia, l’altra Parigi di Monet

- Di ANNA VILLARI

Cinquanta opere tra quelle conservate al Philadelph­ia Museum of Art sono ora esposte al Palazzo Reale di Milano in una mostra dedicata a Impression­ismo e Avanguardi­e. Non solo un viaggio nella pittura di due secoli, ma un modo originale di essere collezioni­sti. Perché anche qui finirono le fortune di banchieri e affaristi, magnati dell’acciaio e del petrolio

«Non pensa teche gli americani siano dei selvaggi: al contrario, sono meno ignoranti e di vedute più ampie dei nostri collezioni­sti francesi». Così Paul Durand-Ruel rassicurav­a il manipolo dei suoi protetti partendo per New York nel 1886. Portava con sé 43 casse di dipinti, oltre 200 opere impression­iste destinate a una mostra che si sarebbe tenuta all’American Art Associatio­n e alla National Academy of Design. Opere il cui valore la Francia stava da poco cominciand­o ad apprezzare, e che al pubblico americano apparvero fresche, interessan­ti. Ne vendette un buon numero nel giro di poche settimane e, fiducioso, un anno dopo aprì una galleria sulla 5th Avenue. Mercante dall’occhio prodigioso e dai nervi saldi, scopritore del talento di Monet, Pissarro, Degas, Sisley, Renoir, Manet (di cui acquistò in un giorno 23 dipinti, che vendette a prezzi sempre più alti nei decenni successivi), «inventore» dell’ Impression­ismo prima ancora che questo avesse un nome, una critica, un pubblico, Durand-Ruel avrebbe dichiarato anni dopo :« Senza l’ America sarei stato perduto, rovinato. Grazie agli americani, Monete Re noir hanno potuto sopravvive­re ».

Ad aprire la strada americana a Durand-Ruel era stata la pittrice Mary Cassatt, che dopo gli studi presso l’Academy of the Fine Arts di Philadelph­ia si era trasferita a Parigi nel 1874, diventando allieva e amica di Degas e degli Impression­isti, con i quali espose regolarmen­te. Bella, talentuosa, Mary trasmise il proprio entusiasmo al fratello Alex ander,p residente della Pennsylvan­ia Ra ilro ad. Alexander cominciò a comprare in Francia tele di Manet, Monet, Degas, che andarono a caratteriz­zare di uno stile inusitato le sue dimore di Philadelph­ia. Venne presto imitato da facoltosi concittadi­ni e nacquero così nel giro di pochi decenni e in tutta la Pennsylvan­ia straordina­rie collezioni di pittura impression­ista prima, di avanguardi­a subito dopo, come quelle dell’avvocato John G. Johnson, amico dei Cassatt, di Samuel Stockton White III, singolare figura di culturista e amante dell’arte che a Parigi, nel 1901, fece da modello a Rodin per un vigoroso Atleta in bronzo, dell’avvocato Luis Stern, ebreo di Balta ammiratore di Rousseau e legato a Chagall dalla lingua e dalle origini comuni, dei coniugi Arensberg — lui poeta e traduttore della Divina Commedia, lei pianista — folgorati nel 1913 dall’Armory Show di New York.

I nuovi collezioni­sti, tanto lucidament­e tratteggia­ti nei racconti di Henry James e Edith Wharton, erano magnati dell’acciaio, del petrolio, banchieri e affaristi di Philadelph­ia come di Chicago, Cleveland, New York, desiderosi di trasformar­e le proprie case, il proprio stile di vita in una sorta di felice e rinnovata propaggine della vecchia Europa. Scoprirono presto, i collezioni­sti d’oltreocean­o, che per quei pittori tanto scabrosi l’innovazion­e estetica e tecnica corrispond­eva a uno sguardo diverso su un mondo in rapido cambiament­o che proprio loro, in quel preciso momento, stavano incarnando. E capirono anche, «bucanieri» di una scintillan­te e accelerata Gilded Age, che nel mondo dell’arte come in quello degli affari anche quanto appariva ai più oltraggios­o e rivoluzion­ario si sarebbe potuto rivelare un ottimo investimen­to.

Sono nati così i nuclei di pittura impression­ista, postimpres­sionista e di Avanguardi­a del Philadelph­ia Museum of Art, fondato nel 1876, dal 1925 e per trent’anni diretto dall’intraprend­ente Fiske Kimball e nel 1928 aperto in un maestoso edificio di gusto neoclassic­o. Cinquanta di quelle opere sono ora esposte a Milano, a Palazzo Reale, in una mostra curata da Jennifer Thompson, Matthew Affron e Stefano Zuffi, nella quale il percorso per generi e passaggi cruciali — ritratti, paesaggi en plein air e urbani, l’irrompere del colore e della carica espressiva di van Gogh e Gauguin, i poli di Montmartre e Montparnas­se, fino alle crisi del primo dopoguerra e ai fermenti surrealist­i — si intercala con il racconto delle singole avventure collezioni­stiche, sobriament­e evocate nell’elegante allestimen­to ideato da Corrado Anselmi.

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