Corriere della Sera - La Lettura
Ho riscritto Macbeth adesso è un detective
«Shakespeare scrisse un noir su uno psicopatico Io l’ho ambientato nei lacerati anni Settanta»
Lo scrittore di thriller storici Marcello Simoni chiacchiera con Jo Nesbø, lo scrittore di «crime» che ha inventato Harry Hole. E che è stato chiamato a reinterpretare la tragedia. Trasformando il castello in un casinò, la sua Lady in una ex prostituta, il campo di battaglia in una città
Ci sono personaggi destinati a vivere in eterno. Personaggi come Ulisse, Prometeo e Faust che di tanto in tanto riemergono dalle nebbie del mito o della storia per riproporsi, magari con volti diversi ma sempre fedeli a loro stessi, ai nostri occhi. Parlo di archetipi forgiati apposta per contenere specifiche caratteristiche e indoli, chiavi di volta che definiscono il concetto stesso di umanità, nel bene e nel male.
Tra questi c’è Macbeth. La sua ambizione e i suoi contorcimenti interiori rappresentano uno degli aspetti più ombrosi della nostra natura, rendendolo un antieroe capace di scavalcare le mode, le ossessioni e i concetti etici del Rinascimento per diventare, oggi, un protagonista noir sotto la penna di Jo Nesbø. Sì, proprio lui: il creatore del detective Harry Hole a cui di recente ha dato il volto Michael Fassbender.
Mai sembra essere stato tracciato un parallelo più ardito, eppure nelle pagine di Macbeth (Rizzoli) del bestsellerista norvegese, il personaggio shakespeariano risorge nel riflesso di uno specchio oscuro che ha come sfondo una metropoli sferzata dalla pioggia, con ciminiere morte e bande di motociclisti/signori della droga persi in un labirinto d’asfalto.
Siamo in pieni anni Settanta, in un non-luogo che racchiude il coacervo della degradazione umana. Un impero color cenere in cui l’unico re non può essere un nobiluomo, bensì un giustiziere. Macbeth è infatti un poliziotto scelto della Swat, abile con i coltelli e segnato da un passato di dipendenza dallo speed. E se la sua regina, Lady, è una ex prostituta padrona di un casinò, le tre donne che prediranno la sua sorte non sono certo streghe, ma creature in carne e ossa. Perché Nesbø, pur restando fedele alla trama shakespeariana, non si trova a suo agio con l’elemento soprannaturale. MARCELLO SIMONI — Shakespeare vive a cavallo tra il Cinque e il Seicento, mentre la tragedia di Macbeth si ambienta in Scozia nel pieno Medioevo. Come sei riuscito a rapportarti con il passato? JO NESBØ — Una delle ragioni che mi ha spinto ad
ambientare il «mio» Macbeth negli anni Settanta del Novecento è stato proprio il desiderio di agire come Shakespeare, cioè di intercalare la narrazione in un’epoca che non fosse troppo distante dalla mia. Io non sono un profondo conoscitore dell’XI secolo, né tantomeno del Rinascimento, però ritengo che se le trame shakespeariane sono sopravvissute fino a oggi è perché sono senza tempo. Parlano di esseri umani, come noi.
MARCELLO SIMONI — È vero! Anche se la prima cosa che ho imparato, scrivendo romanzi storici, è che l’uomo del Medioevo non è del tutto uguale a quello contemporaneo...
JO NESBØ — Sono d’accordo. L’aspetto più difficile dello «scrivere storia» sta nel comprendere la forma mentis degli uomini delle epoche passate. Prendiamo per esempio un cacciatore di streghe vissuto nel Medioevo. Ai suoi tempi avrà senz’altro creduto di combattere una guerra giusta contro Satana, mentre oggi verrebbe identificato come un persecutore di donne innocenti. Uno scrittore deve sforzarsi di mettere a fuoco il punto di vista di quel personaggio e di capire le sue motivazioni anche se non le condivide. Ma al di là di questo, le emozioni «di base» dell’animo umano non mutano nel corso dei secoli. Ecco perché Macbeth, con la sua ambizione, la sua sete di potere e la sua morale distorta, risulterà sempre simile a noi.
MARCELLO SIMONI — Come pure le intenzioni dei narratori saranno sempre le stesse. Basta guardare Omero e Dante per comprendere quanto i rovelli interiori ci abbiano sempre affascinato. A proposito, hai trovato qualche traccia di thriller o di crime nella trama originale del Macbeth?
JO NESBØ — Il Macbeth di Shakespeare possiede senz’altro una forte componente crime anche se non può certo definirsi un giallo. Non è una storia di mistero, né un caso da risolvere. Tra le sue righe, tuttavia, emerge una domanda: «Perché ti sei comportato così?», «perché lo hai fatto?». Questa sorta di indagine sulla mentalità criminale si delinea attraverso il
conflitto tra la ricerca del tornaconto personale e le scelte eticamente giuste. MARCELLO SIMONI — In altre parole, siamo ai
confini con il noir...
JO NESBØ — Sì, Macbeth potrebbe senz’altro definirsi un noir (come pure Re Lear e Amleto, che indagano su lati ancora più oscuri della psiche umana). Il suo aspetto più spaventoso poggia, come in L’assassino che è in me di Jim Tohmpson o in American Psycho di Bret Easton Ellis, nel sentimento di feeling che ci lega al protagonista e alle sue scelte. In altre parole, Shakespeare ci costringe a prendere per mano uno psicopatico, a identificarci con lui e a seguirlo passo passo nella vicenda.
MARCELLO SIMONI — Questa complessità psicologica viene enfatizzata da ciò che ritengo la cifra più originale del «tuo» Macbeth, cioè un’impronta fumettistica delle ambientazioni che ricordano Sin City di Frank Miller e Gotham City di Batman. Ho colto nel segno?
JO NESBØ — Sì, sia riguardo a Batman che a Frank Miller. Sono sempre stati grandi fonti di ispirazione, per me. Non a caso il mio primo romanzo s’intitola Il pipistrello (Einaudi Stile libero, 2014), anche se non si riferisce all’eroe mascherato di Gotham City ma a una leggenda aborigena. Nell’introduzione però menziono anche l’altro pipistrello, quello del fumetto. Perché rappresenta quel genere di problematic hero che tanto mi affascina.
MARCELLO SIMONI — In Macbeth hai trasformato un castello in un casinò, una foresta in una locomotiva abbandonata, un campo di battaglia in una città...
JO NESBØ — Ho cercato degli sfondi che mi consentissero di caratterizzare al meglio le azioni che di volta in volta attribuivo ai miei personaggi, a partire dalla stazione di polizia collocata nel cuore della città: il centro nevralgico della corruzione e della lotta per il potere, proprio come la sede dell’antica corte scozzese descritta da Shakespeare. Ho poi proseguito tratteggiando una serie di scenari «drammatici» ispirati alle