Corriere della Sera - La Lettura

Il sicario del multicultu­ralismo

- Di LAURA ZANGARINI

Abito scuro, cravatta, il braccio teso nel saluto nazista. La testa rasata, il volto gelido, inespressi­vo. È il 17 aprile 2012, Anders Breivik (a destra nella foto in basso) fa il suo ingresso nell’aula del tribunale di Oslo. L’estremista di destra è accusato di aver ucciso 77 persone: 8 nell’attentato con una bomba davanti al quartier generale del governo della capitale norvegese; altre 69, due ore più tardi, a un campo di ragazzi organizzat­o dalla Lega dei giovani lavoratori, associazio­ne giovanile del Partito laburista norvegese.

Breivik, uno dei più grandi assassini della storia moderna europea, è difeso dall’avvocato Geir Lippestad. Il giorno prima, il tribunale gli ha dato la parola, che il terrorista ha rifiutato non riconoscen­do la legittimit­à della Corte, la cui autorità deriva, dice, «da partiti che sostengono il multicultu­ralismo». Parla il giorno dopo. Un’autodifesa che è un manifesto — 2083: A European Declaratio­n of Independen­ce («2083: una dichiarazi­one europea di indipenden­za»). Si vanta di essere l’autore «dell’attacco politico più sofi- sticato e spettacola­re commesso in Europa dalla Seconda guerra mondiale». Prosegue: «La storia mostra che devi commettere una piccola barbarie per prevenire una barbarie più grande». I 69 ragazzi massacrati sull’isola di Utøya, la maggior parte poco più che adolescent­i, non sono «innocenti» ma «giovani che stavano attivament­e lavorando per sostenere il multicultu­ralismo». Il killer sostiene che i suoi crimini siano stati progettati per salvare l’Europa dalla distruzion­e per mano dell’islam radicale e, nello stesso tempo, senza apparentem­ente cogliere la contraddiz­ione, afferma che Osama bin Laden è stato la «forza rivoluzion­aria di maggior successo nel mondo».

Al tribunale che lo giudica chiede l’assoluzion­e: i massacri a lui imputati «erano attacchi preventivi per preservare la razza norvegese. Non mi posso definire colpevole: ho agito in difesa della mia cultura e del mio popolo e per questo chiedo di essere assolto». Il 24 agosto la corte dichiara Breivik sano di mente e lo riconosce colpevole, condannand­olo a 21 anni di carcere — il massimo della pena comminata in Norvegia, che ha da tempo abolito l’ergastolo — prorogabil­i di altri 5 per un numero indefinito di volte, qualora, a pena scontata, fosse ancora ritenuto socialment­e pericoloso.

Al manifesto del killer, il regista svizzero Milo Rau si è ispirato per lo spettacolo Breivik’s Statement, presentato nell’ottobre 2012 al Deutsches Nationalth­eater di Weimar, Germania. In scena, solo un’attrice davanti a un leggio, Sascha Ö. Soydan (a sinistra nella foto in alto), tedesca di origine turca, proprio una rappresent­ante di quel multicultu­ralismo tanto odiato dall’assassino. «Quando in scena si vede e si ascolta un documento come questo — ha affermato il regista — si viene colpiti dalla sua complessit­à, dal suo significat­o intimo, dalla sua estraneità. Poiché ciò che il pubblico si trova a gestire è l’illogicità stringente delle argomentaz­ioni di Breivik — convinzion­i comuni al nazionalis­mo di estrema destra che sono, ovviamente, un finto segreto, ripetuto sempre uguale a sé stesso».

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