Corriere della Sera - La Lettura

La regina della pornocrazi­a romana

- Di AMEDEO FENIELLO

Fu lo storico Liutprando di Cremona il creatore dell’immagine, affascinan­te ma perversa, di Marozia, «bella come una dea, focosa come una cagna». Che visse da protagonis­ta la fase più oscura della Roma altomediev­ale, nella prima metà del X secolo. Anni di ferro, segnati per l’antica capitale del mondo da un decadiment­o crescente: tempo in cui lei campeggia, vera eroina di una saga dark fantasy, amante e bugiarda, scaltra e assassina, adultera e ambiziosa, pronta a vendersi al potente di turno, signora dell’imperium meretricum, della pornocrazi­a romana.

Un giudizio che pesa, quello di Liutprando. Che ha condiziona­to la lettura dei poco più di quarant’anni di vita di Marozia, trascorsi tra l’892 e il 936. Un giudizio misogino e impietoso. Ma forse troppo duro. Disse bene la storica Gina Fasoli: Marozia non fu un esempio di cristiana modestia, ma la sua autorità si basò su qualcosa di più solido della lussuria e del vizio. Su una tempra eccezional­e. Ebbe infatti ingegno, abilità e pochi scrupoli. Di altissima famiglia aristocrat­ica, era figlia del vestarariu­s del sacro palazzo lateranens­e nonché senatore di Roma Teofilatto: capostipit­e di un clan che dominò la politica romana lungo il X secolo per continuare nella dinastia dei conti di Tuscolo. Giovane, Marozia ebbe da un Papa, Sergio III, un figlio a sua volta incoronato Pontefice, poco più che ventenne, col nome di Giovanni XI. Nelle mani di Marozia fu il controllo completo della curia e della città, con ogni mezzo: pare usasse il veleno con una certa efficacia, per sbarazzars­i dei nemici.

Si sposò più volte, con gente del massimo calibro nel potere italiano del tempo. Con un’ascesa verso l’empireo: prima il duca Alberico I di Spoleto; dopo, il fratellast­ro dell’emergente re d’Italia Ugo di Provenza, il duca di Toscana Guido; poi, alla sua morte, lo stesso re d’Italia. Incappò alla fine nel suo peggior nemico, non un estraneo ma il figlio, il duca Alberico II, che le sbarrò la strada a Roma e la ridusse al silenzio e all’impotenza.

Oggi, si riparla del ruolo di Marozia. Che appare tutt’altro che eccezional­e e in linea con le vicende di altre donne, al tempo particolar­mente autorevoli: Ageltrude, Berta di Toscana, Ermengarda d’Ivrea fino alle imperatric­i Adelaide e Teofane. Influenza femminile che fu fortissima a Roma — con le senatrices delle famiglie emergenti dell’aristocraz­ia cittadina, tra cui non solo i Teofilatti, ma anche i Crescenzi — ma che si riscontra pure in altre parti d’Italia, ad esempio nelle città ducali tirreniche di Napoli e Amalfi, dove spesso la succession­e nelle famiglie aristocrat­iche passò attraverso i rami femminili delle «contesse», le comitisse.

Donne che godettero di un’autonomia pressoché impensabil­e nei secoli successivi: un aspetto che, come ha notato di recente Tommaso di Carpegna, attende ancora uno studio sistematic­o di gender history. Con vicende tutte da riscoprire. Come da riscoprire è, per molti versi, ancora Marozia.

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