Corriere della Sera - La Lettura

«Lui», l’indicibile, s’inginocchi­a

- Di VINCENZO TRIONE

Varsavia, dicembre 2012. Visibile solo da lontano, appoggiata a un cancello di via Prozna, ecco la sagoma di un Hitler «impossibil­e», colto nell’atto della preghiera. Il giorno in cui Maurizio Cattelan scelse di portare Him all’ingresso del ghetto della capitale polacca fu uno choc. Un’offesa. La comunità ebraica locale gridò allo scandalo. In tanti giudicaron­o inaccettab­ile quel gesto.

L’artista aveva voluto ri-collocare e, insieme, attribuire un nuovo significat­o a una tra le sue più audaci sculture (realizzata nel 2001). Una statua in cera che riproduce il corpo di un Hitler inginocchi­ato, con le mani raccolte e gli occhi rivolti verso il cielo. Un’opera che riesce a saldare testimonia­nza, ironia e stupore. Cattelan muove da alcune impossibil­ità: la Shoah non può essere descritta; la tragedia del nazismo è tanto grande da sottrarsi a ogni tentativo di rappresent­azione. Per questo, egli decide di intitolare la sua scultura Him, con il semplice pronome («lui») al posto del nome del personaggi­o presentato (troppo orribile per essere pronunciat­o). «Hitler — ha detto — è paura allo stato puro; è un’immagine di dolore terribile, è lo spettro che infesta la storia e tuttavia è innominabi­le, irriproduc­ibile».

Per misurarsi con quella che considera la più alta e drammatica «incarnazio­ne del male», Cattelan evoca la violenza del Terzo Reich, l’aberrazion­e dell’antisemiti­smo ricorrendo all’ironia. Com’è sua consuetudi­ne, dà vita a una «situazione» paradossal­e. Pur attento a salvaguard­are la leggibilit­à del suo linguaggio, immette nella dimensione realistica la componente dell’incanto. Con sottigliez­za manierista, ci consegna un motto di spirito. E, recuperand­o la tradizione delle pratiche fondate sull’utilizzo della cera, modella un «doppio» di Hitler, altamente verosimile, inquietant­e. Sperimenta, perciò, un mutamento di scala. Miniaturiz­za il Führer. Che viene trasformat­o in un uno scolaro vestito con una divisa del 1935. Il viso è quello di un uomo di mezz’età, mentre il corpo è quello di un bam- bino. In filigrana, una memoria: «Ho pensato al gesto di Willy Brandt che, arrivando a Varsavia 25 anni dopo la guerra, andò a inginocchi­arsi davanti al monumento dedicato agli ebrei vittime della Shoah», ha affermato Cattelan. Il quale, infine, sceglie di umanizzare il dittatore. Che ci mostra addolorato, turbato. Pentito. Il suo è un Hitler inatteso. Che chiede perdono per le atrocità commesse. La posizione in ginocchio e lo sguardo verso l’alto rendono incongruen­te la scena.

È il lato assurdo del Male. Di fronte a questa scultura, lo spettatore si sente superiore. Può dominarla dall’alto o da lontano. È messo nella posizione di chi può giudicare e può addirittur­a assolvere gli atti feroci di quell’eroe negativo. Questo effetto straniante è stato amplificat­o nel momento in cui Him è stato spostato all’ingresso del ghetto di Varsavia. Non un atto blasfemo né una provocazio­ne sterile. Ma un modo impertinen­te per confrontar­si con il volto più maledetto e perturbant­e della Storia.

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