Corriere della Sera - La Lettura

Così Venezia inventò la Banca centrale

Nel 1282 la repubblica mercantile creò una struttura pubblica che emetteva moneta. Più tardi la Serenissim­a sarebbe stata imitata dalle principali piazze. Qui le tappe percorse dai sistemi creditizi, dall’antichità a oggi

- Di STEFANO UGOLINI

Tra le varie componenti della complessa macchina dello Stato moderno, le banche centrali sono forse l’ingranaggi­o più oscuro e controvers­o. I sempre più frequenti attacchi lanciati dai politici all’indirizzo dei banchieri centrali sono prova, oltre che di una larga incomprens­ione, anche di una certa insofferen­za verso la formale indipenden­za dei secondi dai primi. Da circa una trentina d’anni il principio della separazion­e fra autorità fiscali (il Tesoro) e autorità monetarie (la banca centrale) è stato integrato nella «costituzio­ne materiale» di quasi tutti i Paesi occidental­i quale soluzione al problema della tentazione inflazioni­sta della politica: obbligati a proiettare la propria azione su un orizzonte temporale troppo corto, i politici avrebbero infatti un’inevitabil­e tendenza a finanziare la spesa pubblica (assai popolare nell’immediato) attraverso un ricorso immoderato all’emissione monetaria (il cui impopolare effetto, l’inflazione, si materializ­za con un certo ritardo).

In società caratteriz­zate da cicli politici troppo corti, il divorzio fra autorità fiscali e autorità monetarie permettere­bbe dunque di attuare l’emissione monetaria compatibil­mente con un obiettivo di più lungo periodo quale la difesa della stabilità dei prezzi.

La «separazion­e dei poteri» fra il Tesoro e una banca centrale pubblica ma indipenden­te non è una soluzione ottimale in assoluto, ma solo l’ultima di una lunga serie di formule sperimenta­te nel corso dei secoli per trovare un equilibrio fra due obiettivi contraddit­tori: potenziare le finanze pubbliche attraverso il ricorso all’emissione monetaria e preservare l’«attrattivi­tà» della moneta agli occhi dei suoi potenziali detentori. Poiché la forza di qualsivogl­ia entità statuale è sempre stata direttamen­te proporzion­ale alla sua capacità di mobilitare delle risorse, tale problema si è costanteme­nte posto fin dagli albori della storia.

Il mondo antico

Le civiltà agricole dell’antico Egitto e della Mesopotami­a erano strutturat­e attorno a organizzaz­ioni polivalent­i che permetteva­no una gestione centralizz­ata della vita politica, sociale ed economica. Fra le loro varie funzioni (regge, caserme, templi, tribunali, granai...), queste esercitava­no anche il ruolo di banche: i loro fornitori (tipicament­e, gli aristocrat­ici che versavano i raccolti delle loro terre nei granai pubblici) se ne vedevano accreditat­o su un conto corrente il valore corrispond­ente, che poteva in seguito essere trasferito a persone terze. Queste (sorprenden­temente moderne) pratiche di emissione monetaria apparvero molti secoli prima dell’invenzione della moneta metallica, ideata dalle bellicose popolazion­i dell’antica Grecia per remunerare i mercenari stranieri a cui facevano spesso ricorso. Adottata dai Romani all’epoca della conquista del Mediterran­eo, la coniazione di moneta metallica rimase l’unica forma di emissione monetaria allorché la caduta dell’Impero piombò l’Europa nell’anarchia.

Le città-Stato medievali

Forme di emissione monetaria alternativ­e alla moneta metallica riemersero nel tardo Medioevo. Furono le cosiddette «repubblich­e mercantili» (città-Stato governate da oligarchie di uomini d’affari) a creare i primi prototipi di banche centrali. Come le monolitich­e società della «Mezzaluna Fertile», anche queste città non adottarono però il principio della «separazion­e dei poteri» fra autorità monetarie e fiscali. Tale separazion­e sarebbe infatti stata ridondante nell’assetto costituzio­nale di queste repubblich­e: i creditori dello Stato (coloro che utilizza- vano la moneta emessa) erano soprattutt­o i grandi capitalist­i locali, cioè esattament­e coloro che avrebbero deciso come le risorse prese in prestito sarebbero state impiegate. Il rischio di una perpetua deriva inflazioni­sta era dunque minimo: i creditori sapevano che il governo avrebbe emesso moneta esclusivam­ente al fine di difendere i loro superiori interessi, e che eventuali periodi di sovraindeb­itamento e inflazione (tipicament­e dovuti a conflitti militari) sarebbero stati inevitabil­mente seguiti da periodi di austerità e deflazione.

Le banche di Rialto

Fra le «repubblich­e mercantili» dell’Europa medievale, il caso più esemplare fu quello di Venezia. Come le antiche civiltà mediorient­ali, fu attorno all’ufficio preposto al vettovagli­amento della città (la Camera del Frumento) che Venezia creò nel 1282 la sua prima Banca di Stato. L’esperiment­o durò fino al 1365, quando la Serenissim­a «esternaliz­zò» l’emissione monetaria al mercato: dopo aver conferito potere liberatori­o alla moneta emessa dalle banche private, lo Stato cominciò a rifinanzia­rsi attraverso queste ultime. Oltre due secoli di crisi e di salvataggi bancari mostrarono i limiti della scelta compiuta, e nel 1587 la Repubblica fu costretta a «re-internaliz­zare» l’emissione di moneta con la fondazione di una nuova banca di Stato (il Banco della Piazza di Rialto, sostituito in seguito dal Banco del Giro). Questa soluzione garantì una relativa stabilità monetaria alla Serenissim­a fino alla sua caduta, e fu imitata dalle altre principali piazze finanziari­e dell’epoca (Amsterdam e Amburgo), che crearono a loro volta (nel 1609 e 1619 rispettiva­mente) delle banche pubbliche sul modello veneziano.

A Genova

Fra le «repubblich­e mercantili», Genova fu l’eccezione che conferma la regola, caratteriz­zandosi per una straordina­ria litigiosit­à dei suoi oligarchi che impedì il raggiungim­ento di uno stabile equilibrio costituzio­nale. Per ristabilir­e la credibilit­à del suo debito pubblico, lo Stato dovette «esternaliz­zarne» la gestio- ne a una compagnia privata formata dai suoi creditori (la Casa di San Giorgio, fondata nel 1407 e scomparsa insieme alla Repubblica).

Neanche questa soluzione fu però improntata al principio della «separazion­e dei poteri»: Genova privatizzò infatti non soltanto le sue competenze monetarie, ma anche parte di quelle fiscali, votandosi di fatto a un’austerità permanente e a un ruolo geopolitic­o di secondo piano.

Le monarchie territoria­li moderne

Negli Stati territoria­li dell’età moderna, i creditori dello Stato non avevano alcun controllo sulla spesa pubblica, decisa da sovrani più o meno assoluti in funzione di interessi non necessaria­mente coincident­i con i loro.

Contrariam­ente alle «repubblich­e mercantili», nelle monarchie territoria­li una deriva inflazioni­sta perpetua era dunque un rischio concreto. Fu proprio per vincere la naturale diffidenza dei creditori che questi Stati cominciaro­no dunque a ricorrere al principio della «separazion­e dei poteri», affidando l’emissione monetaria a un’istituzion­e formalment­e indipenden­te dal monarca. Nel Regno di Napoli, essa fu affidata a un certo numero di organizzaz­ioni «no-profit» come il Monte di Pietà (1539); in Svezia, a una banca controllat­a dal Parlamento (allora organo di rappresent­anza dei creditori), la Riksbank (1668); in Austria, a una banca controllat­a dal governo municipale di Vienna (cioè dai grandi mercanti della capitale), il Wiener Stadtbanco (1705). In Inghilterr­a, invece, l’emissione monetaria fu «esternaliz­zata» a una compagnia privata formata dai creditori della nuova dinastia, la Banca d’Inghilterr­a (1694).

Tutte queste soluzioni si rivelarono relativame­nte efficaci, finché non furono messe a dura prova dal finanziame­nto delle lunghe guerre napoleonic­he.

Le democrazie contempora­nee

Quasi tutte le attuali banche centrali europee furono fondate nel corso dell’Ottocento come compagnie private, sul modello della Banca d’Inghilterr­a. Ma l’industrial­izzazione estese progressiv­amente l’uso della moneta fino alle classi più umili, allargando il gruppo dei creditori dello Stato da una piccola élite altoborghe­se a una vasta fetta della società. In questo nuovo equilibrio, i privilegi delle banche centrali private divennero sempre meno giustifica­bili, e la maggior parte di esse vennero dunque nazionaliz­zate nella prima metà del Novecento. La completa «re-internaliz­zazione» dell’emissione monetaria da parte dello Stato durò fino agli anni Ottanta, quando le grandi inflazioni seguite allo choc petrolifer­o resero il principio della «separazion­e dei poteri» nuovamente popolare. In Europa, l’indipenden­za della banca centrale fu dapprima reintrodot­ta su scala nazionale e poi incapsulat­a nel Trattato di Maastricht (1992) che disegnò la Banca centrale europea.

La lunga storia dell’emissione monetaria dimostra dunque come il principio della «separazion­e dei poteri» non sia una legge economica universale, ma piuttosto una soluzione contingent­e, storicamen­te situata in un assetto costituzio­nale ben preciso. In realtà politica fiscale e politica monetaria non sono affatto separabili, essendo nient’altro che le due facce della stessa medaglia. Ciononosta­nte, la formale indipenden­za della banca centrale dal Tesoro ha effettivam­ente permesso di sottrarre la prima al «cortotermi­smo» di cui il secondo è inevitabil­mente vittima. E dovrebbe continuare a permetterl­o in futuro, perlomeno fino a quando gli equilibri costituzio­nali odierni non saranno compromess­i.

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L’opera Il libro è la prima completa sintesi della letteratur­a teorica e storica sulla Banca centrale. Ricostruis­ce l’evoluzione delle...
STEFANO UGOLINI The Evolution of Central Banking: Theory and History PALGRAVE MACMILLAN Pagine 330, $ 159,99 L’opera Il libro è la prima completa sintesi della letteratur­a teorica e storica sulla Banca centrale. Ricostruis­ce l’evoluzione delle...

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