Corriere della Sera - La Lettura
I virtuosismi di due salmerini consenzienti
La trama si mette al servizio della prosa lussureggiante di Maria Rosaria Valentini
«Ementre i medici si interrogavano sul suo caso, lui si interrogava sui medici. (…) Soprattutto, com’è possibile che nessuno abbia potuto risalire alla sua identità?». Il protagonista di questo caso molto strano è un uomo che vive da tanto tempo nell’ospedale dei malati a lungo termine: l’ictus gli ha tolto la parola, adesso sta meglio, si muove, può mangiare con i meno gravi. Davanti a lui c’è una donna senza età chiamata Ametista: dopo una diagnosi sbagliata le hanno finalmente scoperto un tumore «piantato nella testa. Piuttosto grande. Come una patata novella di me- die dimensioni. Nessuna dimestichezza con le patate novelle? Beh, allora diciamo come una pallina da ping-pong. Ma non così liscia. Non così vuota. Un’invenzione di Dalì... Se avesse potuto, è a lei che Andrea avrebbe parlato. Per dirle poca cosa. Magari soltanto: “Sono belle le tue dita”. Ma le parole — anche a volerle spingere, strattonare, prenderle a schioppettate — no, non uscivano. Allora non rimaneva che pensare a se stesso... Con la voglia di ritornare indietro». Alla casa in cui invano lo aspettano la madre Magnifica col papà Leandro e la nonna Ada Maria. E soprattutto alla sua grande amica, la portinaia che allevava di nascosto i pulcini nello stanzino delle scope... I ricordi ci sono tutti, nitidi, spesso felici, tuttavia lui, Andrea lì all’ospedale si vede e si sente «come un geranio d’inverno».
Il romanzo di Maria Rosaria Valentini, scrittrice che abita in Svizzera e pubblica a Palermo da Sellerio, ci presenta un curioso personaggio che pensa e ripensa in continuazione e consuma di nascosto una quantità imbarazzante di carta igienica per scrivervi tutto quello che gli passa per la testa. Ma nessuno, né medico né infermiere, si accorge di questa sua segreta e frenetica attività. Anche perché lui quegli scritti, per non farli trovare, a volte se li mangia e così «si ingozza di ieri».
Il tempo di Andrea è un romanzo singolare (tra l’altro nei ringraziamenti a fine libro si legge anche: «Grazie ad Andrea e a coloro che di lui tanto spesso hanno chiesto»). Ma soprattutto singolare è la scrittura di Valentini, per la scelta degli aggettivi meno comuni, per le descrizioni inusuali e poi per quei paragoni inaspettati, bizzarri anche. Quando ripensa alla moglie Ernestina che lo ha lasciato, Andrea ricorda, per esempio che rideva forte «con i denti che inciampano fuori dalle labbra». E ricorda la vicinanza tra loro nell’abitacolo della 127 azzurra che li faceva sentire «come due salmerini consenzienti, pronti a soccombere stretti in un unico foglio di carta stagnola». Ma gli viene anche in mente che almeno una ragione per andarsene via da lui Ernestina glielo aveva detta: «Io non reggo più neppure il tuo modo di parlare. Mi soffochi con le tue descrizioni. Troppe similitudini. Ogni cosa è un come se. Come se, niente: mi sono stufata». E così, in un certo senso il cerchio si chiude, il geniale gioco di prestigio che ha coinvolto il lettore nella sua magia svela il trucco. E la scrittrice a modo suo ci chiede scusa per la sua vittoria.