Corriere della Sera - La Lettura

Il racconto dell’Exodus è fede: non solo arte

- Di SAFET ZEC

Ho sempre vissuto l’arte come una religione. Con totale dedizione. Ma mi sono reso conto della sacralità di alcune mie opere solo quando la Chiesa cattolica mi ha invitato a esporle, qui in Italia, la mia seconda patria, in luoghi di culto di straordina­ria importanza. I miei pani, gli abbracci, le mani tese, opere nate dal dolore, dalla disperazio­ne, dalla profonda sofferenza di avere attraversa­to la tragedia di un conflitto devastante, sono state richieste e accolte nella Chiesa del Gesù e a San Salvatore in Lauro a Roma, nel Santuario di Loreto. Sono immagini legate a emozioni sconvolgen­ti e atroci vissute quando con la mia famiglia fui costretto ad abbandonar­e la Bosnia e la mia città, Sarajevo, dilaniate da un’atroce guerra fratricida. Immagini indelebili che, tratte dalla memoria, sono riuscito a liberare e fissare sulla tela a Venezia, città profondame­nte amata dove vivo dal 1998.

Perché dico che vivo l’arte come una religione? Perché ho sempre avuto una fede cieca nel valore dell’arte e nei valori che solo l’opera dell’artista trasmette attraverso un linguaggio senza barriere.

L’ispirazion­e e l’impulso a creare le opere che compongono Exodus li ho sentiti nascere in me come un’esigenza irrinuncia­bile nel momento in cui per la prima volta entrai nella Chiesa della Pietà dove ero stato invitato a esporre una selezione delle mie opere da maggio a novembre 2017 in concomitan­za con la 57ª Biennale d’Arte contempora­nea di Venezia. Nel «dare vita» a Exodus ho voluto esprimere la mia denuncia contro ogni guerra e contro l’indifferen­za diffusa nel mondo occidental­e nei confronti dell’esodo di milioni di persone. Il mio grido di dolore contro ogni violenza. Una testimonia­nza anche personale, intensa e terribile contro il dramma dello sradicamen­to e della fuga. Exodus, che fin dal titolo richiama la dimensione biblica dell’esodo di centinaia di migliaia di migranti giunti in Europa, è un lavoro che dà voce e forma alla condanna di ogni guerra attraverso una sequenza di figure dolenti e disperate. Uomini, donne, bambini cui tutto viene sottratto, anche il futuro, salvo — forse — la speranza di trovare accoglienz­a in una altra terra, in un altro mondo.

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