Corriere della Sera - La Lettura

Il rito che rende schiavi

- da Castel Volturno (Caserta) EDOARDO DE ANGELIS

A Castel Volturno ci sono quaranta chiese pentecosta­li, ma quello che spaventa è il voodoo dello stregone. Il 25 marzo Teresa Ciabatti ha raccontato l’inferno di migliaia di ragazze africane comprate in Nigeria per duemila euro e costrette a prostituir­si sulla Domiziana (ma anche altrove) per pagare il riscatto, prigionier­e di pratiche magiche che arrivano fino all’omicidio. Abbiamo chiesto al regista Edoardo De Angelis, che qui ha appena finito le riprese del nuovo film, «Il vizio della speranza», di descrivere questa clamorosa enclave religiosa. Oggi però c’è una sorpresa: Ewuare II, massima autorità liturgica di Benin City, ha proclamato la liberazion­e delle prostitute. Vedremo se cambierà qualcosa

Quando non hai i soldi per comprare il pane preghi Dio che ti mandi la manna dal cielo; quando i soldi per il pane ce li hai, preghi per avere da bere, una macchina, una casa e quando hai tutto preghi perché nessuno te lo porti via. Sembra una questione di fede ma è questione di soldi, sembra una preghiera e invece è una bestemmia. Il desiderio è un sentimento semplice che però genera una faccenda complessa come la religione.

Da quel gomitolo soave e al tempo stesso insanguina­to che è l’esperienza del culto, proviamo ad estrarre un filo che percorre una strada particolar­e, periferica e centrale per la comprensio­ne dell’Italia di oggi: la Domiziana. Una statale che comincia dove il Lazio finisce e prosegue verso sud, attraversa­ndo il territorio casertano, fino a Napoli. Un pezzo importante di questa strada lambisce un comune che mi è molto caro: ha generato le storie dei miei ultimi film, oltre ad essere il comune dove mia moglie e io abbiamo deciso di convolare a nozze. Sto parlando di Castel Volturno, una potente calamita a cui è difficile resistere.

In questo comune risiedono 25 mila abitanti censiti ufficialme­nte. Accanto a loro, senza mischiarsi, vivono cinquemila immigrati regolari. Nella cinta più periferica del comune, a ridosso della rive droite del fiume Volturno al confine con il mare, si insedia un numero misteriosa­mente variabile tra i 10 e i 20 mila immigrati irregolari. Occupano gli immobili abbandonat­i dalla borghesia casertana e napoletana, villette sul mare, case di villeggiat­ura sostenute da colonne in stile ionico disertate dai villeggian­ti, lasciate incustodit­e dai legit- timi proprietar­i. Quando non riescono a occuparli perché i proprietar­i privi ormai di ogni afflato vacanziero, hanno deciso di tenersi stretto l’affare e presidiano l’immobile con irremovibi­lità militare, ne affittano le stanze a prezzi degni del centro di Milano: 120 euro per una stanza. Donne e uomini di varia etnia e culto che lavorano onestament­e, passeggian­o sulla spiaggia al tramonto mano nella mano, vanno a scuola, si amano tenerament­e, si accoltella­no senza rimorsi, vendono droga, si prostituis­cono e, soprattutt­o, pregano. La maggioranz­a di loro frequenta regolarmen­te la chiesa pentecosta­le, nel comune ne sorgono circa quaranta.

Per capire il valore di questo numero bisogna tenere presente che, sullo stesso territorio sorgono due moschee, una Kingdom Hall per testimoni di Geova, una Chiesta degli Avventisti del settimo giorno e quattro chiese cattoliche. Inoltre, il numero fluttua perché spesso capita che un individuo dedito al commercio di frutta, per esempio, scontento degli affari nel settore, cambi sempliceme­nte l’insegna del negozio e Tony internatio­nal food and drinks diventi Lord’s new house. E chi si perderebbe mai l’inaugurazi­one della nuova casa del Signore? Allora gli affari possono tornare a funzionare per l’ex commercian­te di frutta divenuto pastore in pochi giorni. Sì, perché per i pentecosta­li l’uomo è in contatto diretto con Dio e chiunque con il Vangelo in mano e un po’ di parlantina può diventare una guida, un pastore. Ma in che modo si può portare a casa il pane?

Le cerimonie si svolgono due, tre volte a settimana e durano ore. I luoghi di culto sono i più disparati: un capannone abbandonat­o, un garage, una casa, una vecchia scuola, una tensostrut­tura sportiva. Alcuni vi si recano indossando abiti tradiziona­li, altri un saio bianco, altri ancora hanno realizzato vestiti variopinti con le proprie mani, oppure seguono a modo loro le tendenze del momento. Per accedere ad alcuni di questi luoghi è necessario togliersi le scarpe. Il pastore tiene il suo sermone usando periodi brevi cadenzati dagli amèn che riecheggia­no nelle gole di tutti i presenti. La lingua usata per i sermoni è un inglese masticato, detto broken English ma non è raro che accanto al pastore ci sia qualcuno che traduce simultanea­mente nel dialetto africano meglio compreso dai presenti. I bianchi sono ammessi anche se guardati con un certo sospetto, di solito sono giornalist­i o curiosi in cerca di fenomeni da baraccone. Io vengo introdotto da un narratore del posto, Vincenzo Ammaliato, e sono in compagnia del grande sceneggiat­ore Umberto Contarello che

con la sua chioma e giacca bianca spiegazzat­a ispira immediata simpatia; con noi c’è anche il poeta fotografo della Domiziana Gianni Izzo che finge di non fotografar­e i fedeli e il pastore che fingono di non mettersi in posa; la mia descrizion­e è un onere che lascio volentieri ad altri.

Visti insieme suscitiamo un misto di ilarità e fastidio ma credo di sapere come farmi accettare, al momento giusto farò la mia mossa. Intanto, stringo mani. Si balla, si canta, c’è sempre una piccola banda musicale di quattro-cinque elementi, ci si abbandona a momenti di trance mistica ma il clou è l’offertorio. Tre, quattro volte nel corso della celebrazio­ne, larghi piatti e zuppiere di varie dimensioni vengono posti al centro della sala, sotto l’altare, ai piedi del pastore. Devoti, i fedeli, cantano e si agitano in preda a quelle che si possono immaginare come visioni ultraterre­ne, poi depositano parte degli esigui guadagni della settimana nei piatti. Attenzione ad essere parsimonio­si — il pastore controlla attentamen­te in che modo ogni fedele contribuis­ce alle spese della chiesa. Una signora di cinquant’anni, incidentat­a ma priva di stampelle, trascina la sua gamba ingessata verso l’altare appoggiand­osi a una mazza di scopa. Give abundance, have abundan

ce! — tuona il pastore, forse ripescando nella memoria breve e nelle corde vocali robuste le sue doti di frutti- vendolo. Il dito alzato e la voce profonda non lasciano spazio a fraintendi­menti. Meglio abbondare, si ripetono i fedeli nel segreto delle loro coscienze, non sia mai che poi Dio si mostri parsimonio­so con noi come noi lo siamo stati con lui. È a questo punto che i piatti cominciano a traboccare di banconote, la mia carta da 20 euro affoga in tanta abbondanza di cellulosa (era quella la mia fantomatic­a mossa segreta, credevo) e qualche dubbio comincia a venire anche a me ma resisto, 20 euro mi sembra una cifra adeguata. Tutto sommato.

Due uomini coperti d’oro, pantaloni a vita bassa e occhiali da sole, ma scalzi come me, lanciano platealmen­te nel piatto alcune carte da 50 euro. I loro guadagni settimanal­i sembrano sostanzios­i, ma chi sono?

Non importa. Tutti sono benvenuti alla mensa del Signore, soprattutt­o i grandi peccatori perché più grosso è il peccato, più grossa l’offerta. Ogni obolo nella cassetta ti avvicina a Dio e alla sua grazia. Il benessere economico è un dono ed è proporzion­ato alla grazia che Dio ti concede. Dopotutto, come scrive Hanif Kureishi, «Dio è un tipo che perdona».

Mentre fantastico sulle attività degli uomini con gli occhiali da sole, alcune signore ingioiella­te sopra e sotto gli abiti tradiziona­li li imitano. Dio è grande. Lo pensano anche i pentecosta­li ma lo dicono in inglese e sembra un’altra cosa.

Terminato il rito del culto, davanti alla chiesa (qualunque cosa sia stato l’edificio che ospita la chiesa) ha inizio quello del convivio. I cofani delle macchine si aprono e compaiono polli arrostiti ed altri pezzi di carne cotti in spezie colorate. Le casse di Guinness calda vengono velocement­e vuotate e le casse degli stereo propagano musica senza svuotarsi mai. La domenica è una festa e gli africani, come ogni altro essere umano, hanno bisogno di stare insieme. C’è qualcosa nel loro stare insieme che è peculiare però; il comboniano Antonio Guarino, missionari­o in Africa per molti anni e da quattro anni a Castel Volturno mi spiega: «Per l’africano la comunità è più importante dell’individuo». Eppure, c’è altro nei loro occhi che non riesco a cogliere bene, all’inizio mi sembra comprensib­ile nostalgia di casa, forse è disperazio­ne, dolore... poi capisco: è paura.

Ogni domenica, sulla Domiziana, donne e uomini africani si battono il petto chiedendo perdono per i propri peccati, ottengono il perdono, ballano, cantano, si ubriacano e vanno in trance. A parte stare insieme, pregare, mangiare e divertirsi, cosa stanno facendo? Stanno scacciando la paura. Per loro il pastore è un brav’uomo che dispensa belle parole ma c’è una figura che rispettano e temono al di sopra di ogni altra, lo chiamano witch doctor, lo stregone. Si vede poco in giro, cammina a piedi nudi e officia i rituali voodoo. Mary, al nono mese di gravidanza, con un figlio e un mioma nella pancia, sentenzia: «Io credo al prete, don Antonio, rispetto il pastore, ma il voodoo è forte, molto più forte di tutto». Il marito di sua sorella, a Benin City, in Nigeria, non riusciva ad avere successo negli affari e si è rivolto a uno stregone che, durante il rito, gli ha chiesto la vita di sua moglie come atto dovuto per ottenere ciò che desiderava. Ebbene quest’uomo, nottetempo, ha davvero ucciso la moglie. In seguito, ha aperto cliniche private ed è diventato ricco. Dice Mary. Il voodoo, o juju, può indurre gli esseri umani che ci credono a compiere qualunque gesto.

Questa pratica strategica­mente pianificat­a costruisce con sistematic­ità la perversa suggestion­e che riduce le donne in schiavitù mentale e sta alla base del grande affare mondiale della prostituzi­one.

Gli stessi stregoni che hanno indotto il cognato di Mary a uccidere la moglie, governano la mente delle ragazze che da Benin City migrano per il mondo. La concentraz­ione di stregoni nella capitale dell’Edo State in Nigeria è così alta e il governo che tali individui esercitano sulle menti delle loro donne è così forte che la

maggioranz­a delle nigeriane che si prostituis­cono sulle strade di tutto i mondo provengono da Benin City.

Un rito voodoo in patria le lega a un giuramento segreto di cui sono responsabi­li in prima persona e attraverso ogni singolo membro della famiglia d’origine. Sono donne che prestano giuramento in condizioni di evidente coercizion­e della volontà e sono macchiate da un’unica colpa, originale e non espiabile: la speranza. Arrivano fin qui per questo, la speranza ha dato loro la forza di attraversa­re la Nigeria, resistere alla Libia, accettare condizioni di vita da schiave che le ammazzano in vita, in attesa di poter risorgere, un giorno; il padre comboniano Antonio Guarino del Centro Fernandez afferma che «l’Africa è un grembo che ti pasce, quando te ne allontani ti senti disorienta­to»; la speranza, infatti, le rende anche deboli, fiaccate dalla paura ancestrale degli antenati, paura di qualcosa che non si celebra in chiesa, paura di quei terribili riti che le obbligano a sottostare al volere delle loro madame e dei loro capi, a prostituir­si fino all’estinzione di un fantomatic­o debito — lo ha raccontato su queste pagine Teresa Ciabatti — pena l’avverarsi di maledizion­i efferate e perverse. La speranza è così: sta in bilico tra la debolezza e la forza.

È un bilico fatto di lotta strenua tra azioni contrastan­ti. Le donne colpevoli di sperare rischiano in ogni istante la lacerazion­e irreversib­ile di anima e corpo. Il solco più profondo che si crea dà origine a un buco che una volta imboccato è impossibil­e farne ritorno. È un buco nero, senza sfumature perché i bianchi non vi hanno accesso. Questo buco è fatto di elementi ineffabili come il dolore e la paura quando sono troppo forti per poterli raccontare. A ogni buco corrispond­e un sacrificio e un giuramento. Ogni giuramento è vincolato indissolub­ilmente; chi lo rompe, muore. Assieme a tutti i suoi parenti, ovunque si trovino nel mondo. Ma più della morte, spaventa la maledizion­e perché può raggiunger­ti oltre la morte e perseguita­rti in eterno.

Tutte le prostitute nigeriane e loro madame hanno prestato giuramento in un rito voodoo. Sono tutte schiave del potere ancestrale del plagio della mente. Prima ancora che della forza deterrente della violenza.

Qualcosa di nuovo però è successo: in questo quadro insopporta­bile, un colore si è mosso, qualcosa di molto importante. Nella lotta tra forza e debolezza, il mese scorso, un punto importante lo ha segnato la forza.

Oggi, mentre scrivo, sta vincendo la forza. Dal telefono senza fili che collega Benin City a Castel Volturno è giunta la voce dell’Oba Ewuare II, la massima autorità religiosa, quindi la massima autorità e basta da quelle parti. Ewuare II è un leader illuminato, succeduto a suo padre Ewuare I solo due anni fa: ha prestato ascolto alle associazio­ni non governativ­e che da anni cercano di fare chiarezza sulla natura insanguina­ta delle ricchezze di madame e sfruttator­i. La sua viva voce ha scandito forte e chiaro una controbest­emmia che è più potente della bestemmia stessa: «Tutti i nostri medici nativi (stregoni), la cui attività è sottoporre le persone a giuramento di segretezza e incoraggia­re azioni malvagie nella terra, devono pentirsi e smettere di farlo. Chi non si adeguerà ne subirà le conseguenz­e. Vogliamo dire a chiunque vive in condizione di schiavitù, soggiogato da un giuramento, che da questo momento è libero».

Può una forma di esaltazion­e annullare un’altra forma di esaltazion­e? Probabilme­nte, in assenza di una reale prospettiv­a di rinsavimen­to collettivo, è l’unica opzione.

Hope, una ventitreen­ne di Benin City dal nome emblematic­o, è arrivata oggi al centro d’accoglienz­a Fernandez di Castel Volturno. Aveva prestato giuramento a Prato, dove viveva assieme ad altre due ragazze, in una casa gestita da una madame poco più adulta di loro, una cugina che l’aveva invitata a raggiunger­la in Italia per aiutarla con il suo bambino piccolo. Poi ha scoperto di aver contratto un debito di 30 mila euro. Per estinguerl­o si è prostituit­a sulle strade di Arezzo dall’agosto del 2015, ogni giorno, sette giorni su sette. Fino a ieri.

In seguito alle parole dell’Oba, la sua madame ha stabilito di non poter più accettare soldi da lei. Il suo giuramento è stato annullato, il debito estinto. È libera. Antonio Guarino, Antonio Casale e i volontari del centro d’accoglienz­a le offriranno un pasto caldo e un programma di reinserime­nto. Potrà, se vuole, anche tornare a casa, nel grembo. Dopo Hope, mi auguro che tutte le altre donne soggette a schiavitù si sentano libere. Dopo essere entrate in case che non somigliano per niente al grembo, animate da un sentimento di insensata speranza, dopo esserne uscite in abiti fosforesce­nti e aver venduto il corpo per poco a chiunque, dopo essere rientrate in quelle case dalle quali non potevano scappare per non venire meno al sordido legame, oggi, sappiano almeno questo: quel giuramento, oggi, almeno oggi, non è più valido, l’incantesim­o è rotto. Dio, a volte, è uno sconosciut­o che ti rimbocca le coperte mentre dormi, mentre non lo vedi.

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Le immagini Nella pagina precedente e in queste pagine alcune immagini dell’immigrazio­ne a Castel Volturno e delle «chiese» pentecosta­li (servizio fotografic­o di Giovanni Izzo). Castel Volturno è un Comune del Casertano di circa 25 mila residenti con...
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