Corriere della Sera - La Lettura
Le parole inseguono il tarlo del «no»
Versi filosofici Anna Maria Carpi raccoglie i propri testi accomunati dal tema della negazione
Negare è la radice della tradizione moderna, anche poetica. Il non è il cardine del dire: basterebbe evocare il «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» del Montale degli Ossi di seppia. Dentro questa sorta di corrente epocale tutti siamo trascinati, talvolta aggrappandoci a qualche spuntone di roccia sporgente. Anna Maria Carpi, poetessa giunta alla piena maturità, decide di affrontare il demone del negativo, raccogliendo in un libro-talismano pieno di inquietudini — all’insegna di «un tarlo, una puntura» senza fine — i suoi testi, tratti da varie raccolte, che rasentano, sfidano, contraddicono il tema del credere.
Ci si potrebbe chiedere: c’era bisogno di riunire testi già scritti, anche se ripresentati con modifiche, sotto la costellazione dell’impossibilità di credere? Sì, era necessario, risponde il lettore. Perché il libro che così si forma è un libro organico e coerente, che respira e si espande nel suo ripetere e affrontare da angolazioni sghembe, incerte, dislocate il grande tema del desiderio ( Né io né tu né voi, La Vita Felice).
Proprio il desiderio infatti è la radice di questa poesia, un desiderio persino più forte dell’impossibilità di abbandonarsi. Così tutte le parodie (serie peraltro), le riscritture, le controdeduzioni sono attirate dal miele dell’incredibile promessa: essere, essere per sempre, voluti e amati da un Dio che si è persino fatto carne, ha camminato umanamente nel tempo, si è lasciato inchiodare come la più misera delle creature umane. Il dialogo e anzi l’alterco, le schermaglie con il contenuto di questo vangelo, che appare non creduto ma ritorna sempre in questione, punteggiano il libro: «E tu, Cristo di cenere,/ non parli./ Hai mai parlato?». E a proposito della Natività: «La cometa è leggenda, i magi un sogno». E in un altro testo, sul comandamento di amare il prossimo come se stessi (il tema dell’altro è cardinale nella poetica della Carpi), si legge: «(…)/ Solo in pochi conoscono il se stesso,/ ma è come un dubbio, il dubbio più tremendo,/ solo in pochi hanno visto fino in fondo/ quant’è cattivo:/ come si fa ad amarlo?// Lo sa il Maestro?/ L’amore è un sogno, un sogno del Maestro». Quel sogno è il sogno di cui, tuttavia, la parola qui sembra non poter fare a meno. La lingua vi batte, ritorna su quel non-credere che è un modo stravolto per stare dentro il discorso del credere, negando Dio per farlo in quell’attimo balenare: è la lezione, del tutto riscritta e rivissuta, di Caproni. Ma forse c’è anche qualcosa del vecchio Betocchi.
E poi c’è Celan, l’interlocutore principe evocato dalla poetessa: colui che dice Nessuno perché la sua lingua non può nominare altro, ma che sente nel grigio e nel buio tremolare l’arcata della parola che dice «no». Ecco, il grigio: quello della Carpi è uno stile economico, colloquiale, che fa divampare dall’intimità quotidiana il fuoco purissimo, casto di un dubbio. Anche quando registra la voce dell’Altro: «“Non mentite: o la polvere/ o un abbraccio divino”».