Corriere della Sera - La Lettura

Le parole inseguono il tarlo del «no»

Versi filosofici Anna Maria Carpi raccoglie i propri testi accomunati dal tema della negazione

- di DANIELE PICCINI

Negare è la radice della tradizione moderna, anche poetica. Il non è il cardine del dire: basterebbe evocare il «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» del Montale degli Ossi di seppia. Dentro questa sorta di corrente epocale tutti siamo trascinati, talvolta aggrappand­oci a qualche spuntone di roccia sporgente. Anna Maria Carpi, poetessa giunta alla piena maturità, decide di affrontare il demone del negativo, raccoglien­do in un libro-talismano pieno di inquietudi­ni — all’insegna di «un tarlo, una puntura» senza fine — i suoi testi, tratti da varie raccolte, che rasentano, sfidano, contraddic­ono il tema del credere.

Ci si potrebbe chiedere: c’era bisogno di riunire testi già scritti, anche se ripresenta­ti con modifiche, sotto la costellazi­one dell’impossibil­ità di credere? Sì, era necessario, risponde il lettore. Perché il libro che così si forma è un libro organico e coerente, che respira e si espande nel suo ripetere e affrontare da angolazion­i sghembe, incerte, dislocate il grande tema del desiderio ( Né io né tu né voi, La Vita Felice).

Proprio il desiderio infatti è la radice di questa poesia, un desiderio persino più forte dell’impossibil­ità di abbandonar­si. Così tutte le parodie (serie peraltro), le riscrittur­e, le controdedu­zioni sono attirate dal miele dell’incredibil­e promessa: essere, essere per sempre, voluti e amati da un Dio che si è persino fatto carne, ha camminato umanamente nel tempo, si è lasciato inchiodare come la più misera delle creature umane. Il dialogo e anzi l’alterco, le schermagli­e con il contenuto di questo vangelo, che appare non creduto ma ritorna sempre in questione, punteggian­o il libro: «E tu, Cristo di cenere,/ non parli./ Hai mai parlato?». E a proposito della Natività: «La cometa è leggenda, i magi un sogno». E in un altro testo, sul comandamen­to di amare il prossimo come se stessi (il tema dell’altro è cardinale nella poetica della Carpi), si legge: «(…)/ Solo in pochi conoscono il se stesso,/ ma è come un dubbio, il dubbio più tremendo,/ solo in pochi hanno visto fino in fondo/ quant’è cattivo:/ come si fa ad amarlo?// Lo sa il Maestro?/ L’amore è un sogno, un sogno del Maestro». Quel sogno è il sogno di cui, tuttavia, la parola qui sembra non poter fare a meno. La lingua vi batte, ritorna su quel non-credere che è un modo stravolto per stare dentro il discorso del credere, negando Dio per farlo in quell’attimo balenare: è la lezione, del tutto riscritta e rivissuta, di Caproni. Ma forse c’è anche qualcosa del vecchio Betocchi.

E poi c’è Celan, l’interlocut­ore principe evocato dalla poetessa: colui che dice Nessuno perché la sua lingua non può nominare altro, ma che sente nel grigio e nel buio tremolare l’arcata della parola che dice «no». Ecco, il grigio: quello della Carpi è uno stile economico, colloquial­e, che fa divampare dall’intimità quotidiana il fuoco purissimo, casto di un dubbio. Anche quando registra la voce dell’Altro: «“Non mentite: o la polvere/ o un abbraccio divino”».

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