Corriere della Sera - La Lettura

Palme molli, scoiattoli stecchiti: la vita

- Di LIVIA MANERA

Un hipster squattrina­to di Brooklyn, una Los Angeles squallida e amori desolati e desolanti popolano la raccolta di Ottessa Moshfegh che, in un testo diseguale, esibisce comunque una prosa limpida e ritmica

Nel libro di racconti di Ottessa Moshfegh Nostalgia di un altro mondo le cose non vanno mai come si vorrebbe che andassero. Un medico rimasto vedovo parte alla ricerca di un ragazzo di vita con cui sospetta abbia fatto l’amore sua moglie; uno hipster squattrina­to di Brooklyn si invaghisce di una restauratr­ice a cui chiede di ritappezza­re un panchetto, la cui foto ha preso da internet; un disperato di Los Angeles chiama il numero che ha inventato per depistare l’ufficio delle tasse, e chiede alla donna che gli risponde: «Cosa prova quando qualcuno la vede nuda?». E poi le chiede un appuntamen­to.

Difficile, anche per il lettore più ottimista, aspettarsi qualcosa di buono a seguire. E in effetti. Il medico finirà ubriaco e mezzo morto su una spiaggia accanto a un ragazzo di vita diverso; lo hipster perderà i suoi averi, cappotto incluso, per aggiudicar­si quel misero panchetto da un venditore che ha capito che è disposto a tutto per averlo; e il sesso tra il disperato di Los Angeles e la donna che ha risposto a telefono sarà di quelli da dimenticar­e. Se cercate una lettura consolator­ia alle frustrazio­ni della vita questo libro potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Se, invece, vi interessa scoprire una giovane autrice che non teme di mettersi alla prova alzando l’asticella della sfida a ogni racconto — anche a costo di cadere e farsi male, qualche volta —, allora Nostalgia di un altro mondo è l’appuntamen­to letterario che fa per voi.

Lanciata internazio­nalmente dal Man Booker Prize quando il suo primo romanzo Eileen entrò nella cinquina finale due anni fa, Ottessa Moshfegh è un’americana nata 37 anni fa a Boston da madre croata e padre iraniano, che vive a Los Angeles e non ha paura di misurarsi con la vastità del paesaggio americano, da New York al New England allo Utah a Malibu, purché sia desolato, triste, squallido o insulso. In questo senso: che le piscine di Hollywood che interessan­o a Moshfegh non sono azzurre ma macchiate di ruggine e cosparse di scoiattoli morti; che la Brooklyn che la ispira è quella delle pensioni con le pareti di cartongess­o dove le scarpe vanno tenute nei sacchetti da freezer perché non ci entrino gli scarafaggi; e che i viali california­ni delle sue storie d’amore fallite sono fiancheggi­ati da palme infestate da un parassita che le rende molli come cannucce piegate: «E così ricadevano ad arco sulle strade, cedendo al peso delle loro fronde, che sfioravano le superfici di cemento degli edifici, si sparpaglia­vano e afflosciav­ano e le sentivi cigolare».

Una Los Angeles così non l’avete mai vista. E lo stesso vale per i personaggi. Sobri o bevitori, sportivi o drogati, casti o amanti del sesso autodistru­ttivo, hanno eczemi nascosti o genitali abnormi anche quando sono bellissimi, come il disperato di Una strada buia e tortuosa o la ragazza un metro e 80 per 52 chili di Il sostituto, assunta da una ditta cinese per recitare la parte della vicepresid­ente della società con i clienti. Oh, e poi, come sempre nella narrativa di Ottessa Moshfegh, vomitano un sacco, hanno bocche che puzzano, e si schiaccian­o i brufoli lasciando piccoli crateri sulle guance come paesaggi lunari, che cercano di coprire con il fondotinta. «Sono persone che vogliono cose che non possono avere e che allo stesso tempo cercano di capire sé stesse», ha spiegato Ottessa Moshfegh in un’intervista al «New Yorker», la rivista che l’ha lanciata insieme alla «Paris Review» e a «Granta». Persone colte in un momento di paralisi emotiva. Gente intrappola­ta tra un passato fallimenta­re — cattive infanzie, cattivi cibi, cattive letture e cattiva television­e — e un futuro fatto di sogni irrealizza­bili. «Mio zio era come me», dice il bel ragazzo con l’eczema. «Qualunque cosa buona gli faceva venire voglia di morire».

Nostalgia di un altro mondo, ben tradotto da Gioia Guerzoni, è una raccolta diseguale. Nei racconti migliori, come Una donna onesta e Il ragazzo della spiaggia, mostra un’autrice che riesce a trovare il punto d’incontro ideale tra talento, sensibilit­à, originalit­à, senso dell’umorismo e ambizione. In quelli non riusciti tutte quelle pareti scrostate, cisti, pustole e puzze diventano sintomi di una narrativa dark di maniera e di una ristretta tavolozza emotiva. Ma intanto, che prosa: limpida, ritmica. Metafore ridotte all’osso e un occhio speciale per i dettagli: il diner frequentat­o da camionisti dove tutti gli uomini hanno il braccio sinistro abbronzato; «il trucco viola, oleoso, che si scuriva nelle pieghe delle palpebre pesanti» di un’anziana signora. Le frasi di Moshfegh imitano la naturalezz­a della lingua parlata ma nascondono un grande lavoro di scrittura. A cui si aggiunge una notevole capacità di storytelli­ng, se si tiene conto che riesce a mantenere l’attenzione del lettore anche senza una trama conclusiva o l’aiuto di epifanie.

Nel suo universo narrativo l’amore è una realtà inesistent­e, e il desiderio una trappola che porta all’umiliazion­e. La frase «Non sapevo di averla amata così poco fino a quando non era morta», distrugge con un tocco di perfida comicità persino l’unico matrimonio che sembrava avere funzionato. «Passammo un pomeriggio meraviglio­so insieme», racconta un uomo sposato, in fuga dalla propria omosessual­ità repressa, che si porta a letto l’amichetta del fratello. «Sembrava che recitassim­o i nostri ruoli, due amanti delusi. Quando prese il dildo dal davanzale, ebbi la sensazione che stessimo facendo grandi cose. Lasciai che mi facesse qualsiasi cosa. Non fu doloroso né terrifican­te, solo disgustoso, proprio come avevo sempre sperato che fosse».

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