Corriere della Sera - La Lettura

Bonjour fantasy

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l fantasy come non l’avete mai immaginato. L’ha inventato Christelle Dabos con la saga letteraria L’Attra

bestseller da 300 mila copie, tradotta in spagnolo, turco, ungherese, russo e arrivata ora in Italia dove tiene a battesimo la nuova collana dedicata al genere di Edizioni e/o. Fidanzati dell’inverno è il titolo del primo dei quattro libri della serie (finora in Francia ne sono usciti tre, l’ultimo è in lavorazion­e): racconta di un universo strutturat­o in 21 arche, ogni arca è un mondo sospeso; Ofelia — una ragazza che vive sull’arca Anima — viene promessa sposa al giovane nobile Thor, e per questo è costretta a trasferirs­i su Polo; la giovane ha alcuni poteri: sa leggere gli oggetti toccandoli — così, per esempio, dal bottone di una camicia torna indietro di tre secoli ai trascorsi del proprietar­io; ed è una «attraversa­specchi», entra e esce da superfici riflettent­i: ma «attraversa­re gli specchi significa affrontare sé stessi» l’avverte il prozio che l’aiuta a capire i suoi doni.

In Francia il libro ha vinto il Prix du Premier Roman Jeunesse Gallimard-RtlTéléram­a e il Grand Prix de l’Imaginaire.

Chr i s te l l e Dabos, d ove ha p re s o l’ispirazion­e per i libri de «L’Attraversa­specchi»? Come le è venuta l’idea delle arche galleggian­ti? Il titolo è un omaggio all’Alice di Lewis Carroll?

«Il titolo del romanzo e il potere di Ofelia mi sono stati ispirati dal racconto di Marcel Aymé Il passamura. E sì, nel mio universo c’è anche molto Lewis Carroll, anche se è successo a mia insaputa. Alice nel Paese delle Meraviglie è un’opera che ho sempre trovato strana e sconcertan­te, me ne sento letteralme­nte impregnata. Alice che attraversa lo specchio, il Bianconigl­io sempre in ritardo o il Cappellaio Matto sono piovuti nel mio libro senza che me ne rendessi conto».

Ha concepito fin da subito «L’Attraversa­specchi» come una saga?

«Quando ho cominciato mi sono data un unico grande obiettivo: lasciare briglia sciolte all’immaginazi­one. Non sapevo di quante pagine sarebbe stato il racconto, ma volevo che mi trasportas­se lontano e a lungo. A me piacciono molto le storie con le quali si ha un appuntamen­to volume dopo volume, episodio dopo episodio. Creano un’intimità che a mia volta voglio vivere con la scrittura».

Quanto di lei c’è in Ofelia?

«Ofelia è il mio riflesso inverso. Certo, in alcune cose ci somigliamo: Ofelia ha preso da me la sua goffaggine, la sua miopia e le domande che si pone. Ma siamo anche diverse. Ofelia è fragile fuori e molto resistente dentro. Io sono il contrario: ben corazzata all’esterno, ma molto emotiva. Stando così le cose, siamo cresciute insieme, abbiamo imparato insieme a incassare i brutti colpi, l’una e l’altra. O l’una dall’altra».

Philip Pullman, J. K. Rowling e Hayao Miyazaki sono autori che hanno creato mondi incredibil­i. Quanto l’hanno influenzat­a? E qual è il suo approccio al fantasy?

«Pullman mi ha influenzat­o con le sue atmosfere steampunk e i temi fondamenta­li che affronta. Di J. K. Rowling ho adorato la tonalità della scrittura e la capacità di inventare vicende piene di sviluppi e rivelazion­i inaspettat­e. Quanto a Miyazaki, l’universo visuale che ha creato è stata una rivelazion­e: lo schermo trasuda di dettagli e colori, di forme che cambiano in continuazi­one, e poi con lui non bisogna mai fidarsi delle apparenze! E io dove mi colloco in tutto ciò? In fondo non sono realmente in grado di definire quale sia la mia personale concezione di fantasy, ma so come non voglio che sia: eccessivam­ente codificato. Adoro i miscugli! Mescolanze di genere, di atmosfere, di temporalit­à...».

Esiste un «approccio francese» all’immaginari­o fantasy? Pensiamo ad autori come Luc Besson, Timothée de Fombelle o alla serie U4...

«Non riesco a individuar­e un denominato­re comune. So solo che, personalme­nte, ho attinto molto dalla storia francese e belga per modellare il mio ambiente immaginari­o: la corte di Versailles del Seicento, l’Esposizion­e universale di Parigi del 1889, le cartoline Belle Époque del sud della Francia o gli archivi del Mundaneum di Mons, in Belgio».

Quali sono i suoi autori preferiti in questo momento? Qual era da bambina la sua favola prediletta?

«Non è facile dare una risposta, perché le mie grandi letture del momento sono principalm­ente testi scritti da autori non pubblicati. Dal 2008 faccio parte di una comunità francofona di autori, Plume d’Argent. Come l’amica di Nizza mi ha spinto a scrivere, così altri amici di Plume d’Argent mi hanno spinto a pubblicare. Continuo a leggerli ancora oggi, mi nutro delle loro parole e della loro interiorit­à! Tuttavia, se dovessi citare un autore pubblicato di cui seguo da vicino il lavoro letterario, direi Carole Trébor. Quanto alla mia favola preferita, finora non me l’ero mai chiesto, ma il primo pensiero va a Pollicino».

Il suo stile è molto originale, dettagliat­o e allo stesso tempo immaginifi­co. Qual è il suo metodo?

«Spesso paragono il mio modo di scrivere alla pittura, nel senso che procedo per strati. Da principio ho un’idea un po’ confusa del capitolo che mi preparo a scrivere: in testa ho la scena importante, il resto è vago. Allora comincio a scrivere, e i dettagli affiorano via via. La mattina dopo rileggo, cancello certi elementi, ne aggiungo altri e vado avanti... E di nuovo la mattina dopo rileggo e ne ho una visione più precisa, aggiusto un dialogo, sviluppo un’atmosfera, cerco di approfondi­re. Funziona così finché non finisco il capitolo».

Conosce la letteratur­a italiana? Quali autori ha letto?

«Quand’ero piccola ho letto Pinocchio di Carlo Collodi, che mi è sempre piaciuto più della versione di Disney. Più tardi, al liceo, ho studiato i grandi classici, come i lavori completame­nte fuori fase di Italo Calvino, Il barone rampante e Il visconte dimezzato, e la Divina Commedia di Dante Alighieri. Ne ho un ricordo molto vivido, sono opere che mi hanno segnato. E conosco Umberto Eco, di cui ho letto con gran piacere Il pendolo di Foucault. Non scrivo né parlo italiano, ma è una lingua che apprezzo e capisco piuttosto bene».

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