Corriere della Sera - La Lettura

La si ripete: tragedia, farsa e poi

«The Good Fight» storia porno

- Di STEFANIA CARINI

La vittoria di Donald Trump è stato un duro colpo per Diane Lockhart (Christine Baranski), avvocata pragmatica e liberal con tanto di foto con Hillary sulla scrivania. Non solo: truffata e senza risparmi, torna a lavorare in uno studio più piccolo, guidato da afroameric­ani idealisti e battaglier­i ma comunque alla ricerca di cause da vincere e soldi da fatturare. Nell’era Trump, quando anche il compromess­o tra ideali e realtà è spazzato via da un caotico «vale tutto e il suo contrario», è ancora possibile perseguire una giusta causa?

Giunta alla seconda stagione, disponibil­e sul sevizio streaming della Cbs (in Italia su TimVision), The Good Fight è lo spin-off di The Good Wife, legal drama che durante l’era Obama mise in scena non solo personaggi femminili profondi, tra cui appunto Diane, ma il sempre più intricato rapporto tra media, nuove tecnologie e regole della vita sociale e democratic­a. La disamina continua anche in The Good Fight ma con qualche ansia in più. Nella mente dei creatori, Robert e Michelle King e Phil Alden Robinson, Diane avrebbe avuto come modello cui confrontar­si la presidente Clinton. Hanno poi dovuto riscrivere parte della serie dopo le elezioni. Forse a livello artistico meglio così: è più interessan­te questa Diane, avvilita e confusa.

D’altra parte la scrittura dell’attualità quasi in diretta è la forza del genere legal. Mettendo in scena difesa e accusa, racconta l’alternanza di punti di vista, le possibili sfumature tra vero e falso, il dissidio tra ruolo pubblico e sentimenti privati. La scrittura complessa della serialità permette di inscenare la complessit­à del mondo. The Good Fight è una serie liberal sui liberal, ma come The Good Wife ne sottolinea le contraddiz­ioni. E i temi affrontati sono tanti, con tono serio e anche divertito.

In una puntata viene messo sotto accusa il sistema informativ­o americano, ormai una recita a soggetto da talk show. In un’altra Diane e gli altri scoprono che la parte avversaria sta creando false notizie sul loro assistito, «notizie» visibili solo sulle bacheche Facebook dei giurati, ora totalmente influenzab­ili. Ecco spiegato in maniera perfetta l’uso perverso del microtarge­ting attraverso le fake news. E poi, ovvio, c’è Trump stesso. A Diane e ai suoi è richiesto di ipotizzare un motivo legale valido per l’impeachmen­t. Una socia però ha già cambiato paradigma: perché cercare nella Legge, in quest’epoca conviene andare all’attacco screditand­o l’altro. Diane l’appoggia, è stufa di essere quella «adulta»: «La verità ti porta a un passo dal tuo obiettivo ma poi ti servono le menzogne».

Ormai Diane cade a pezzi, assume pure qualche sostanza stupefacen­te. Ha visto alla tv che Trump ha adottato un maiale. Non sa più se è un fatto o un’allucinazi­one. E forse non lo sappiamo più nemmeno noi. Una ragazza russa le chiede aiuto perché rischia l’espulsione essendo una delle protagonis­te del «famoso» video con The Donald. Diane cita e completa Marx: «La storia si ripete: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa, la terza come porno». Quel che conta alla fine però è il bisogno del singolo cliente, non abbattere Trump (con metodi ignobili, e forse pure inutili). Le battaglie giuste sono sempre più difficili ma sempre più preziose in un mondo complesso. E la serialità è ancora capace di raccontarl­e.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy