Corriere della Sera - La Lettura

La zuppa di sasso preparata dal lupo

Il predatore bussa e si offre di preparare una zuppa speciale. Lei, curiosa, lo fa entrare. Alla cena si aggiungono altri ingredient­i e altri ospiti, il clima è di festa. Ma succede qualcosa. Che delude i bambini e fa riflettere i grandi. Sull’istinto, la

- Di MAURO COVACICH

Nel cuore della notte un lupo bussa alla porta di una gallina. «Non aver paura, gallina. Sono vecchio e non ho più neanche un dente. Lasciami scaldare al tuo caminetto e permettimi di preparare la mia zuppa di sasso».

Mentono i lupi? Oh, sì. Lo sanno i tre porcellini. Lo sa Cappuccett­o rosso. A quanto pare lo sa anche la gallina che, pur ignorando di essere al centro di una favola, ha bene in mente come vanno le cose. Indossa una collana di perle, vive in una casa borghese, su una sedia c’è il lavoro al ricamo che deve avere interrotto per andare alla porta, il fuoco scoppietta vivace nel caminetto. Perché è sveglia nel cuore della notte? Soffre di ansia? La favola non lo dice. Dice invece che è curiosa — una gallina curiosa, il primo segno di emancipazi­one dallo stereotipo —, non capita tutti i giorni di avere un lupo cuoco alla porta. E poi, chissà com’è una zuppa di sasso. Quindi apre.

Il lupo entra portandosi il freddo di fuori. Nel taglio della porta si intravede il villaggio innevato, il cielo è nero come il pelo dell’animale. Lo sguardo è sofferto e, in fondo, suo malgrado minaccioso, un segnale che non smetterà mai di tenerci in allerta, neanche — lo vedremo — nei momenti di baldoria. Eppure il lupo si comporta bene, non mangia la gallina. Estrae una grossa pietra dal sacco che teneva sulle spalle e la mette a bollire in una pentola che la padrona di casa, ancora un po’ titubante, gli offre. Un vecchio lupo sdentato e una gallina, seduti davanti al fuoco in atte- sa della zuppa. Chissà le cose che stanno per dirsi. Ma l’intimità viene turbata da un altro ospite. Il maiale ha visto il lupo entrare dalla gallina e si è preoccupat­o. Appena varcata la soglia però, anche in lui prevale la curiosità: una zuppa di sasso?

Al tempo di guerra nelle isole Eolie — così almeno raccontano ad Alicudi — quando non c’erano gli uomini per andare a pescare, e le donne coi bambini e i vecchi rimasti pativano la fame, si usava raccoglier­e dalla spiaggia pochi sassi coperti da un velo di alghe e li si metteva a bollire in una pentola. Nella favola però la zuppa di sasso c’entra poco con le necessità materiali. Il lupo, volendo, potrebbe contare su un’abbondanza di cibo: la gallina, il maiale, tra poco altri bocconi prelibati. La sua pozione sembra assolvere a una funzione diversa, sebbene ancora ignota. Al momento è un mezzo socializza­nte. La gallina propone di aggiungere un po’ di sedano, il maiale delle zucchine. Il lupo li guarda di sghimbesci­o, ma non ha nulla contro l’idea di insaporire un po’ la sua zuppa.

Mentre è alle prese con i nuovi ingredient­i, osservato dal maiale in versione aiutante, ecco bussare ancora alla porta. Si affacciano il cavallo e l’oca, anche loro hanno visto sparire il lupo in casa della gallina e si sono allarmati, ma ora si aggregano di buon grado alla compagnia e propongono a loro volta una piccola variazione alla ricetta. La gallina consulta il lupo: «È possibile fare una zuppa di sasso con i porri?». «Sì, è possibile», risponde il lupo, per nulla offeso dalla diffidenza iniziale di ogni nuovo arrivato, né ostile ai cambiament­i apportati alla sua zuppa... bé, via via sempre meno sua, in realtà. L’oca e il cavallo sono corsi a casa a prendere i porri e intanto si sono aggiunti la pecora, la capra e il cane. Sono tutti svegli gli animali, è chiarament­e un villaggio di nevrotici insonni. Anche gli ultimi hanno proposto ognuno un ingredient­e — rape, cavoli eccetera — finché la zuppa di sasso è diventata un lavoro di gruppo, una minestra di verdura frutto della collaboraz­ione di tutti, una collaboraz­ione accolta e sovraintes­a dalla figura scura, intenta a girare lentamente il mestolo nella pentola.

L’atmosfera si è fatta festosa, gli animali chiacchier­ano rilassati, si raccontano barzellett­e. «Com’è bello essere tutti insieme», dice la padrona di casa, «dovremmo organizzar­e più spesso delle cene». Compaiono dei calici di vino, un convivio di gaudenti borghesi. Sottolineo i modi educati degli animali essendo un nodo cruciale per ciò che dirò in seguito. Spuntano dei piatti, dei cucchiai. Il lupo serve la zuppa e tutti ne mangiano con gusto. La cena dura fino a tardi. La combriccol­a ride e scherza seduta attorno al fuoco.

Ride il lupo? Parla? No. Il lupo assapora la zuppa in silenzio, osservando i suoi commensali. Poi, d’un tratto, si alza, attirando involontar­iamente l’attenzione su di sé. Tira fuori un coltello, con la punta tasta il sasso in fondo alla pentola e dice: «Non è cotto, posso riprenderm­elo per la cena di domani?». «Te ne vai già?» chiede la gallina. «Sì, ma vi ringrazio per questa bella serata». E qui di nuovo l’attenzione va agli occhi, stavolta agli occhi degli altri animali: sono occhi che possono spaccare il cuore di un bambino, esprimono tutta la malinconia e il disappunto per l’occasione

mancata. Stavamo per diventare amici, pare che dicano. Stava per diventare uno di noi, sembrava possibile, ed ecco che si riprende il suo sasso e sparisce da dove è venuto. «Tornerai presto?» chiede l’oca. Ma il lupo non risponde, cammina nella neve ormai già immerso nel buio, una macchia dello stesso colore del cielo.

È una favola che lascia i bambini distrutti. Un mio amico dice che suo figlio è rimasto malissimo. Dopo la contentezz­a di aver visto che il lupo davvero non uccideva nessuno e voleva solo mangiare la zuppa, il finale lo ha gettato in uno sconforto cupo, senza lacrime. «Che hai, tesoro mio?». «Sono triste». «Perché sei triste?». «Perché il lupo è andato via». «Bé, è andato a cercare altri animali, così tutti potranno assaggiare la sua zuppa».

«Ma papà! Il lupo doveva restare dalla gallina!».

«Magari tornerà dalla gallina nella nuova storia».

«Noo! Il lupo doveva tornare dalla gallina in questa storia!».

Eravamo a un soffio dalla perfezione, un soffio dal mondo ideale in cui tutti gli animali vivono insieme in allegria. Era qui che doveva accadere, in questa storia. Invece il lupo se n’è andato.

È una fuga quella del lupo? A me pare di sì. Benché si allontani senza fretta, il lupo fugge. E da cosa? Bé, ci ho pensato a lungo. Camminavo per strada e pensavo al lupo ormai piccolo piccolo all’orizzonte, guardato con disappunto dalla gallina sulla soglia illuminata della sua casetta. Osservavo la gente in metropolit­ana e mi chiedevo: perché fugge il lupo? La risposta l’ho trovata quando ho capito il sasso. Cosa cucina ogni notte il nostro eroe? Su cosa rimugina, cosa bolle nella sua pentola? Qual è l’unico immancabil­e ingredient­e della sua zuppa? L’istinto. Il sasso è l’istinto.

Il lupo prova a unirsi agli animali della fattoria — lavora sul proprio sé, verrebbe da dire — ma c’è un nocciolo che resiste all’addomestic­amento, un nocciolo che lui non nasconde, anzi, è disposto a condivider­e in una specie di terapia di gruppo. Ha imparato a dominarsi, ha acquisito le buone maniere. Come gli altri animali domestici sa mangiare col cucchiaio e bere col bicchiere. È a un passo dal diventare un membro del salotto della gallina, un animale civile, ragionevol­e, da cui non temere più nulla. Ma il sasso resiste, non cuoce. Viene da pensare che ogni notte, anche la prossima a casa di un nuovo, ennesimo amico, il lupo speri di infilare il coltello nel sasso e invece, ogni maledetta notte, la pentola gli restituisc­e un sasso intatto, duro com’era al momento di estrarlo dal sacco.

La disperazio­ne del lupo sta tutta nel fardello che porta sulle spalle e che lo accompagne­rà fino alla vecchiaia, la condanna di perdere il pelo ma non il vizio. La sua fuga è un gesto di premura nei confronti degli altri. Si allontana dal consorzio degli animali umani prima che la sua

umanità svanisca del tutto, abbandona la civiltà per il bene della civiltà, risucchiat­o dallo stato belluino dell’homo homini

lupus. Ma non si rassegna, la notte seguente ci riprova. È questo che rende sublime la favola disegnata e scritta da Anaïs Vaugelade, pubblicata in Francia nel 2000 ( Une soupe au caillou) e l’anno dopo in Italia da Babalibri ( Una zuppa di sasso), una favola che resiste da quasi vent’anni nel passaparol­a dei genitori e che io ho scoperto solo ora grazie al mio amico neopadre. Il lupo fallisce, il sasso non si scioglie in

questa storia, non regnerà la pace in questa storia, non vivranno tutti insieme felici e contenti in questa storia. Però il lupo busserà ancora, si ostinerà ancora a cuocere zuppe di sasso. È una caparbietà che vale doppio perché offerta ai bambini. Fosse una storia per adulti — intendo, per gli adulti che siamo oggi — la fuga del lupo sarebbe un modo per preservare la propria verità. L’istinto oggi è assurto a tesoro, un nocciolo da custodire, la mia, la tua, la sua verità. Contro le ipocrisie della ragione, contro le regole pallose della comunità, ecco le emozioni folli della community, la sua spontaneit­à, la sua (wow) imprevedib­ile sregolatez­za. Per gli adulti che siamo diventati, l’istinto è il luogo dell’autentico e lo è, paradossal­mente, proprio grazie alla sua mediatizza­zione, proprio grazie al discorso sull’istinto. Il sasso sarebbe così l’indole dell’individuo, la sua espression­e in purezza. Con la fuga il lupo si metterebbe in salvo dalla massa stolida e conformist­a. Una fuga liberatori­a into

the wild. Il lupo così sarebbe sexy: l’istinto che nasconde nel sacco è, in fondo, anche ciò che gli consente di sedurre le pollastrel­le (o i pollastrel­li) e sparire nelle tenebre. Cos’altro significa la richiesta «lasciami scaldare al tuo caminetto»? Gli adulti amano lupi selvaggi e lupe verghiane, divorate da incontenib­ile lussuria. Nessuno oggi è più vincente dell’individuo bestiale, l’individuo dal grande sasso.

Ma questa storia non è rivolta a noi adulti e, se dio vuole, i bambini sono ancora lontanissi­mi dalla nostra adorazione dell’istinto. Prima di raggiunger­ci attraverse­ranno qualche anno di fascinazio­ne per la logica, il raziocinio e la vita in comunità. Imparerann­o le regole del «Non t’arrabbiare» e le applichera­nno con acribia. Imparerann­o le regole del calcio o del minibasket. Imparerann­o le regole dei festini di compleanno e anche, sì, del salotto della gallina. Proveranno piacere a rispettarl­e e a farle rispettare. Durerà poco, ma nel frattempo vivranno il sasso come un peso, non certo come una risorsa. Soffrirann­o insieme al lupo, per quella cosa che sentono dentro e che sul più bello manda sempre tutto a puttane. Perché, dopo decenni di zuppe condivise, mi pare di aver capito almeno questo: la purezza la si vagheggia quando ormai si è compromess­i. Quando invece si è ancora puri, non c’è niente di più bello che scendere a patti con gli altri amici della fattoria.

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