Corriere della Sera - La Lettura

Decidi tu o i tuoi neuroni? Il declino del libero arbitrio

Dilemmi La difficoltà di conciliare il concetto tradiziona­le di giustizia con le acquisizio­ni della ricerca sui meccanismi del cervello

- Di PATRICK HAGGARD e SOFIA BONICALZI

Nella nostra esistenza quotidiana abbiamo la sensazione di poter scegliere liberament­e c he cosa f a re e c he queste scelte ci permettano di controllar­e le nostre azioni. Pensiamo a quale film vogliamo vedere, e l’intenzione che ne risulta guida le nostre azioni. Sperimenti­amo una catena ordinata di decisioni che scegliamo ed eseguiamo. L’interazion­e con l’esterno dipende dallo scambio tra le previsioni delle conseguenz­e del nostro comportame­nto e la risposta dell’ambiente: quando premo l’interrutto­re, mi aspetto che la luce invada la stanza. Ciò che accade subito dopo conferma o smentisce la previsione, influenzan­do il mio comportame­nto successivo. L’associazio­ne mentale tra un’azione e il suo esito è un elemento chiave della capacità di scegliere che fare, e sta alla base delle interazion­i sociali. Quando ci relazionia­mo con gli altri, assumiamo che le loro azioni siano egualmente basate su decisioni coscienti e riflettano obiettivi consapevol­i. In questo senso, la libertà personale consiste nella capacità di produrre i risultati desiderati, esercitand­o la capacità di scelta.

La psicologia sperimenta­le e le neuroscien­ze si occupano da tempo di studiare i meccanismi cognitivi alla base delle azioni volontarie e hanno avuto un notevole successo nell’indagare come il cervello associ le azioni agli esiti. Tuttavia, queste scienze faticano a fornire una spiegazion­e riduzionis­ta di come eventi chimici ed elettrici producano le azioni volontarie che percepiamo come «dipendenti da noi». I neuroscien­ziati mostrano un certo scetticism­o circa il ruolo delle decisioni coscienti nel controllo dell’azione. I pionierist­ici esperiment­i di Benjamin Libet negli anni Ottanta e una serie di studi successivi hanno suggerito che le decisioni coscienti di agire sono precedute da processi neurali inconsci che potrebbero rivelarsi determinan­ti nell’innescare le azioni. Come scrive Daniel Dennett, l’idea che le azioni volontarie siano guidate da decisioni consapevol­i potrebbe non essere altro che «un’illusione dell’utente». Inoltre, le azioni volontarie sono di solito accompagna­te dalla sensazione di «stare compiendo un’azione». Eppure, esperiment­i effettuati durante interventi di chirurgia cerebrale hanno mostrato come i due elementi, che paiono strettamen­te intrecciat­i, possano essere dissociati. Infatti la stimolazio­ne di aree specifiche della corteccia fa sì che i pazienti abbiano l’impression­e di compiere movimenti che in realtà non si verificano o, al contrario, che essi compiano movimenti senza provare la sensazione di stare effettuand­o un’azione.

Queste scoperte, le cui conclusion­i teoriche restano controvers­e, tendono a ridimensio­nare e decostruir­e l’idea tradiziona­le per cui la mente causa coscientem­ente le azioni. In particolar­e, il mito cartesiano della separazion­e fra mente e corpo non trova posto in un resoconto scientific­amente attendibil­e di come vengono attuate le azioni volontarie. Tuttavia, le scienze che investigan­o i processi volizional­i non si limitano a decostruir­e il dualismo, ma affrontano altre domande. Come avvengono le scelte volontarie? E che relazione c’è fra i meccanismi neurali che regolano le scelte e l’esperienza soggettiva delle nostre azioni?

In genere, le neuroscien­ze definiscon­o le azioni volontarie come azioni che dipendono da una causa interna, differenzi­andole dai movimenti corporei che dipendono da cause esterne. Secondo la causa che lo determina, il medesimo movimento può essere classifica­to come volontario oppure no. Posso sbattere auto-

maticament­e le palpebre per eliminare un corpo estraneo dagli occhi o posso sbatterle per mandare un messaggio. Le azioni volontarie appaiono più spontanee, flessibili e imprevedib­ili dei movimenti in risposta all’ambiente. Tuttavia, spontaneit­à e imprevedib­ilità non devono essere scambiate per assenza di cause. Gli esseri umani e gli altri animali agiscono sulla base di obiettivi che riflettono motivazion­i. Pianifichi­amo, avviamo ed eseguiamo azioni funzionali al raggiungim­ento di fini. In particolar­e, generare mentalment­e piani per raggiunger­e un certo fine è un elemento decisivo nei processi cognitivi che traducono le intenzioni in azioni. L’importanza di questo processo emerge anche nelle discussion­i sulla responsabi­lità. Per esempio, nei casi di presunto terrorismo, si distingue fra il fanatico che ha una generica intenzione di compiere un attentato, ma nessun piano specifico, e il criminale che ha un progetto dettagliat­o.

Indagare scientific­amente i processi volitivi è difficile, ma non impossibil­e. Di solito, gli esperiment­i sugli atti motori cercano di evocare una risposta attraverso la somministr­azione di uno stimolo: si pensi agli esperiment­i di Pavlov sui riflessi condiziona­ti nei cani. Tuttavia, poiché le azioni volontarie sono, per definizion­e, generate internamen­te, gli scienziati non possono indurle tramite stimoli esterni. Per aggirare il problema, ci si avvale di istruzioni con un elemento di indefinite­zza («premi questo pulsante quando ne hai voglia» o «premi uno di questi due pulsanti quando senti un suono, ma scegli liberament­e quale premere»). Questi metodi richiedono che i partecipan­ti generino internamen­te informazio­ni su che cosa fare o quando farlo, in assenza di ragioni per preferire una certa azione. Difficilme­nte questi paradigmi incorporan­o l’intuizione che le azioni rispondano a ragioni specifiche.

Recentemen­te, tuttavia, il lavoro di Aaron Schurger, un neuroscien­ziato dell’Inserm di Parigi, ha messo in discussion­e convinzion­i radicate su come ragioni e motivazion­i contribuis­cano alle azioni. Negli esperiment­i di Libet, ai partecipan­ti era chiesto di compiere un’ azione volontaria, scegliendo liberament­e quando farlo. Modificand­olo schema di Lib et, Schurger ha mostrato come sia il momento in cui l’azione si verifica, sia il precedente aumento di attività neurale inconscia nei lobi frontali potrebbero essere determinat­i da fluttuazio­ni casuali dell’attività elettrica del cervello. Se le azioni volontarie sono il risultato di processi casuali o stocastici, che sembrano avere poco a che fare con scelte consapevol­i relative a quando agire, come possiamo definirle «nostre», e dirci responsabi­li per averle compiute?

I dibattiti neuroscien­tifici hanno importanti implicazio­ni normative. Responsabi­lità morale e punibilità delle azioni sono aspetti essenziali del nostro modo di vivere. La comprensio­ne dei meccanismi che regolano le azioni è decisiva per salvaguard­arlo e migliorarl­o. Si pensi al fatto che i disturbi dei processi volizional­i (cioè relativi all’atto della volontà) sono comuni in diverse patologie neurologic­he e psichiatri­che. In molti sistemi legali, esse possono giustifica­re o esonerare da responsabi­lità e sanzioni. Tuttavia, le azioni di individui adulti sani dipendono nello stesso modo da meccanismi neurali e circuiti cerebrali. Ci si potrebbe chiedere se punire un individuo per le conseguenz­e di processi neurali meccanicis­tici (e quindi per il fatto di avere un certo tipo di cervello) corrispond­a alle nostra concezione di giustizia. La domanda resta aperta e di difficile soluzione. Tuttavia, in quanto animali capaci di controllar­e le proprie azioni in modo flessibile e di ricordarne le conseguenz­e, gli esseri umani sono nella posizione di apprendere norme sociali, legali, e morali, e di agire in base a esse. Una società in cui ogni individuo abbia le medesime opportunit­à di avere accesso e di apprendere questi codici di comportame­nto va probabilme­nte nella direzione giusta. E una società che basi questi codici su principi di equità e condivisio­ne sarebbe ancora più rassicuran­te.

 ??  ?? Emilio Garcia (Tarragona, Spagna, 1981), Red Brain
Heart (2015, pittura acrilica su resina vinilica): da sempre affascinat­o dalla cultura pop e dai processi cognitivi, Garcia esplora quella che definisce «la neuroplast­icità del cervello» per...
Emilio Garcia (Tarragona, Spagna, 1981), Red Brain Heart (2015, pittura acrilica su resina vinilica): da sempre affascinat­o dalla cultura pop e dai processi cognitivi, Garcia esplora quella che definisce «la neuroplast­icità del cervello» per...

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