Corriere della Sera - La Lettura
Si sta come d’autunno sugli alberi la Brexit
Due personaggi stanno facendo una passeggiata su un sentiero dietro le loro case, in un angolo dell’Inghilterra contemporanea. Giocano con le parole: è il loro modo di fare amicizia. «Ma che senso ha inventarsi un mondo quando esiste già il mondo reale», dice lei. «Esiste il mondo e basta, e la verità sul mondo è questa».
«Vuoi dire che esiste la verità, e poi c’è una versione inventata della verità che ci raccontiamo sul mondo?», dice lui.
«No. Il mondo esiste. Sono le storie che sono inventate» insiste lei.
«Ma non per questo sono meno vere», dice lui. «E chiunque s’inventi la storia s’inventa anche il mondo. Quindi bisogna cercare di accogliere gli altri nella casa della propria storia».
Il tono ludico e poetico della scrittrice scozzese Ali Smith, maschera appena il riferimento alla Brexit che verrà: quando, invece di «accogliere gli altri nella casa della propria storia», metà della Gran Bretagna voterà per cacciarli. Ma questo accadrà molti anni dopo. Per il momento la voce femminile del suo dialogo è quella di una bambina di 8 anni che si è trasferita in un posto dove una rete separa il suo cortile da quello del vicino. E lui, il vicino, la voce maschile, che ne ha 77 e si chiama Daniel, è un uomo solitario, fuori dalle regole, allegro, un omosessuale ebreo che scrive canzoni e colleziona arty art . «Mi ha fatto piacere conoscerti... finalmente», dice a Elisabeth la prima volta che s’incontrano. «Gli amici di una vita, a volte li aspettiamo tutta la vita». Lei lo guarda un po’ sospettosa, ma anche incuriosita. Sarà l’inizio di molte passeggiate.
C’è una grande leggerezza, un grande sentimento, e una grande intelligenza nel rapporto tra Elisabeth e Daniel, intorno al quale ruota Autunno, la nuova opera di Ali Smith tradotta da Federica Aceto che è stata salutata nel mondo anglosassone come il primo romanzo post-Brexit e, diciamolo subito, come un capolavoro. Primo di quattro romanzi sulle stagioni, è un libro che esplora il tema del tempo e il modo in cui lo viviamo; gioca con la sua flessibilità nella sua stessa struttura narrativa; e raccontando una storia in modo non lineare, tocca una quantità di sogget- ti — l’amicizia, il sesso, la musica, l’arte, la povertà, la burocrazia, la letteratura, le menzogne dei politici, i notiziari che sembrano «Thomas Hardy in acido» — con la leggerezza di un sasso che rimbalza sulla superficie dell’acqua.
Il tempo, dunque: quello sospeso del capitolo iniziale è il sogno luminoso e pieno di sorprese in cui Daniel, che nella verità giace in coma in una casa di cura a 101 anni, approda come un naufrago su una spiaggia e si chiede se sia morto, riflettendo che la morte, se fosse così, non sarebbe niente male. Intanto, fuori, nel tempo della bieca realtà, Elisabeth, 32 anni, docente con contratto a tempo determinato presso un’università londinese — «una che sta realizzando il suo sogno, come dice la madre, e sarebbe vero, se il suo sogno consistesse nel non avere una sicurezza lavorativa e non potersi permettere praticamente nulla» — presenta i documenti per il rinnovo del passaporto allo sportello di un ufficio postale, dove un impiegato che sembra uscito da una pagina dei Monty Python le fa continue difficoltà. Esasperata, Elisabeth se ne va a leggere Mondo nuovo di Huxley accanto al letto dove il centenario Daniel sta sognando di essere un pino, con la resina che gli cola sugli occhi. I due amici non possono parlarsi. Per anni si erano persi di vista. E ora si sono ritrovati. Il loro, ovviamente, non è mai stato un rapporto fisico. Ma non per questo non è stato amore.
Intanto, gli inglesi hanno votato l’uscita dall’Unione Europea. In tutto il Paese il potere delle bugie ha fatto colpo su chi non ha potere; gli studenti si laureano con un sacco di debiti e «un futuro nel passato»; e uno Stato non compassionevole tratta le persone come pedine. «In tutto il Paese la gente pensava di avere perso. In tutto il Paese la gente pensava di avere vinto». Persino su BBC 4, il faro delle radio intelligenti, i toni sono quelli della rabbia. «Rassegnatevi», dice agli avversari un portavoce durante un dibattito. «Crescete. Il vostro tempo è scaduto. Avete perso». Ragiona Ali Smith: «Come se la democrazia fosse una bottiglia che uno brandisce minacciando di spaccarla e fare un macello. Questa è un’epoca in cui la gente non dialoga, ma si dice delle cose e basta».
Mentre tutto questo accade sullo sfondo, in uno dei tanti flashback, Daniel porta con l’immaginazione Elisabeth nel mondo arcobaleno di una pittrice di cui è stato innamorato da giovane. Quella pittrice si chiama Pauline Boty, ed è personaggio reale su cui da grande Elisabeth scriverà la sua tesi di laurea: l’unica donna della Pop Art inglese, una specie di Bardot piena di sense of humor, troppo bella per essere presa sul serio, e troppo sfortunata per non morire giovane. Come tante altre artiste di talento sarebbe stata «ignorata. Perduta. Riscoperta anni dopo. Poi ignorata. Perduta. Riscoperta anni dopo... ad infinitum ».
È chiaro che dietro la sua calibrata leggerezza Ali Smith è una scrittrice intensamente politica. Cinquantacinque anni, gay, è cresciuta a Inverness in una famiglia della classe operaia. E anche se ha ereditato il tocco satirico di Muriel Spark e il gusto per il monologo interiore di Virginia Woolf, ha una voce sua che non somiglia a nessuno. Come Daniel, che è un po’ mago, ha un rapporto di immediata affinità con l’arte visiva. E come Shakespeare sa che il mondo è commedia perpetua, in cui tutto è mutevole, e la realtà si dissolve nella magia.
In questa sua elegia dell’autunno che prende spesso la forma di poesia in prosa, Ali Smith sa di potersi permettere qualsiasi cosa. Compreso far dialogare un personaggio con una foglia immaginaria, prima di consegnarlo alla morte.
«C’è sempre una storia da raccontare. Cos’altro esistono a fare le storie sennò», dice Daniel alla foglia, sempre immerso nel sogno. «(Silenzio) «È l’infinito cadere delle foglie. «(Silenzio) «Non è così? Non sei questo? «(Silenzio)».
Stato «Come se la democrazia fosse una bottiglia che uno brandisce. Questa è un’epoca in cui la gente non dialoga ma si dice delle cose e basta»