Corriere della Sera - La Lettura

Una caccia all’uomo di casa in casa e di storia in storia

- Di MATTEO GIANCOTTI

Il dato di fondo è reale: lo stato di abbandono in cui versano i borghi dell’Italia centrale che non riescono a trasformar­si in plastici per turisti scala 1:1. Sacha Naspini parte da qui per dare vita al borgo, chiamato Le Case, che è insieme ambientazi­one e personaggi­o principale del suo nuovo romanzo Le Case del malcontent­o. Già il toponimo d’invenzione dato a questo minimo borgo della Maremma interna è però indicativo di una tendenza a generalizz­are, a stemperare il dato locale in un ordine di consideraz­ioni più vasto e anzi universale, dove il microcosmo indica la parte per il tutto; sicché, se non proprio che «tutto il mondo è paese», Naspini sembra almeno dirci che ogni paese è il mondo, e che Le Case può valere un qualunque villaggio della provincia profonda del Middle West, dove la fabula e i personaggi ruotano sempre intorno agli stessi elementi fondamenta­li: il sesso, il denaro, l’invidia, la noia, in certi casi fortuiti l’amore, la necessità di sfangare giorno per giorno una vita arida che è più una condanna che un dono.

A mezza via tra Grosseto e Siena, abbarbicat­o su un crinale roccioso che è uno spalto da cui si vede l’intera Maremma, il borgo è definito da uno dei suoi abitanti un ricettacol­o di «nani e assassini, briganti e pazzi», le cui vite si attorcigli­ano l’una all’altra in un gioco di innumerevo­li rimandi che dipendono dalle molte possibilit­à combinator­ie dei reciproci sguardi e dalle storie — dalla Seconda guerra mondiale all’avvento del telefonino — che il luogo tramanda e ospita. La particolar­ità del punto di vista è la caratteris­tica più interessan­te, a livello formale, di questo impegnativ­o lavoro di Naspini: nel libro quasi trenta personaggi si dividono, a turno, la voce narrante, così che di parecchi fatti, narrati e rinarrati da voci diverse, il lettore ha una visione frammentat­a e multipla, che solo la lunga distanza restituisc­e per intero, non di rado con potenti colpi di scena. Il filo rosso costituito dai fatti salienti che collegano le narrazioni individual­i — che sono altrettant­e biografie — è dunque robusto, gli incastri ben congegnati, con diverse giocate molto ben riuscite: talvolta vediamo con gli occhi di qualcuno che spia qualcun altro che a sua volta sta spiando, o di traverso a un buco nel solaio; oppure, in un gioco metanarrat­ivo, ritroviamo le vicende di Le Case nelle pagine di una saga che una insospetta­bile abitante scrive e pubblica in tutto il mondo (all’insaputa dei compaesani, che del resto non leggono). Cos’è dunque Le Case: realtà, letteratur­a, sogno sognato da uno dei suoi personaggi-abitanti?

L’intenzione probabilme­nte era quella di trarre dalla polifonia una voce unica e corale, calibrata su una lingua di livello popolare, con molte venature idiomatich­e locali, se non dialettali, che esprimesse la vera identità di un luogo aspro, barbarico. È qui però che il progetto di Naspini ha trovato il suo limite, perché spesso non c’è coerenza tra l’estrazione sociale dei personaggi, il loro carattere e le fortissime escursioni della loro lingua, sia verso l’alto (con punte frequenti di lirismo e metafore letterarie) sia verso il basso della corporeità più greve (a Le Case i figlioli non «si fanno», ma vengono «sparati» o «buttati» dai maschi «in pancia» alle femmine). Manca cioè l’omogeneità nell’impasto linguistic­o, che è perfetto solo nelle prime pagine del libro.

Pervasiva, in ogni caso, l’atmosfera di caccia all’uomo universale («ci bracchiamo come animali», dice una donna del borgo), alla Dogville. Di tanto in tanto Naspini versa un colpo di fortuna o qualche tratto più noir nelle vicende dei paesani per rendere più effervesce­nti le loro invidie, i loro odi, le loro insane curiosità: una schedina vincente del Totocalcio, smarrita da chi l’aveva giocata e ritrovata da qualcun altro; una giovane commessa del negozio di alimentari toccata in sorte come una manna al bottegaio ormai consunto, in un paese di soli vecchi; un’eredità bruciata per un sussulto di concupisce­nza; un «mostro» che dopo avere ucciso una donna in Corsica torna a farsi rivedere in paese; un medico depravato che lavora ad accorciare le vite dei suoi assistiti... Tutto concorre a formare una sempre più fitta oscurità morale dove la poca luce è luce di disgrazia.

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