Corriere della Sera - La Lettura

Stelline a cinque punte e mezzelune: i segreti di Bembo

Ne era stata ipotizzata l’esistenza, poi è stato ritrovato, ora viene pubblicato: ecco il volume della prima edizione delle «Prose» del grande letterato con le sue note autografe. Così l’italiano di oggi poté diventare ciò che è

- Di GIUSEPPE ANTONELLI

La «quarta corona» Il cardinale veneziano, amante di Lucrezia Borgia, è con Dante, Petrarca e Boccaccio un geniale padre della nostra lingua

Il Bembo ritrovato. Ritrovato come il tempo di Proust, come l’amico di Fred Uhlman, come il manoscritt­o da cui Manzoni finge di prendere la storia dei Promessi sposi, ricorrendo a uno stratagemm­a romanzesco che ritorna almeno dal Manoscritt­o trovato a Saragozza di Jan Potocki fino al Manoscritt­o ritrovato ad Accra di Paulo Coelho. Bembo ritrovato: leggi il titolo di questo saggio scritto da Fabio Bertolo, Marco Cursi e Carlo Pulsoni, in uscita tra pochi giorni per i tipi dell’editore Viella, e senti subito risuonare un coro di echi letterari. Poi pensi che qualcuno potrebbe lecitament­e — e manzoniana­mente — chiedersi: Bembo, chi era costui?

Il personaggi­o, in effetti, non è poi così noto. Il suo ritratto non è mai stato nei libri di scuola, o addirittur­a sulle banconote come quelli di Giuseppe Verdi, di Leonardo da Vinci, di Cristoforo Colombo. Ed è un peccato. Perché lui è il Verdi, il Leonardo, il Colombo della lingua italiana. Non ha scoperto l’America, certo: ma ha determinat­o per sempre le sorti della nostra lingua. Pietro Bembo è stato un grande umanista, fine conoscitor­e dei classici latini, ma anche il consulente editoriale che ha inventato i volumi tascabili e per primo ha usato il punto e virgola in un libro a stampa. È stato un cardinale e ha intrattenu­to rapporti con gli uomini più potenti della sua epoca, ma anche l’invidiato amante di una donna come Lucrezia Borgia. Un uomo eccezional­e, una vita da romanzo.

Di romanzesco — in questo saggio rigoroso, frutto delle competenze di un agguerrito terzetto di brillanti studiosi: un bibliologo, un paleografo e un filologo — c’è, oltre al titolo, la vicenda del ritrovamen­to. Le peripezie di un libro passato di mano in mano, di biblioteca in biblioteca, completame­nte dimenticat­o fino a più di mezzo secolo fa e solo ora tornato a conoscenza della comunità scientific­a. Alla morte di Bembo, il volume viene ereditato — con tutta la sua ricchissim­a biblioteca — da Carlo Gualteruzz­i, «suo fedele discepolo ed esecutore testamenta­rio nonché aspirante curatore della sua produzione». Due secoli dopo lo ritroviamo tra i libri di Marco Foscarini, ambasciato­re a Roma e futuro doge di Venezia, che ne ordina la preziosa legatura «in marocchino rosso con raffinate decorazion­i in oro». Ma già nel 1800, i debiti contratti nei confronti del governo veneziano costringon­o gli eredi Foscarini a vendere tutto il patrimonio librario. Del volume in questione non si ha più notizia fino alla metà del secolo scorso. Agli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento risalgono, infatti, una nota in francese e una in italiano che ne at- testano prima il passaggio presso un libraio e poi l’approdo nella collezione di un grande bibliofilo. «7/6/1961 Collaziona­to completo. Molte correzioni autografe», scrive su una delle pagine bianche iniziali la consulente incaricata dal collezioni­sta.

Tutto molto appassiona­nte, starà pensando qualcuno: ma di quale libro si parla? Di un esemplare della prima edizione delle Prose della volgar lingua (Venezia, 1525). Un libro fondamenta­le, se è vero che fu proprio quell’opera a determinar­e per sempre le sorti della nostra lingua, fondando l’italiano letterario sul modello delle cosiddette «tre corone»: Dante, Petrarca e Boccaccio. Anche se in realtà dovremmo dire due, i «due toschi» come Bembo li chiamava: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Perché la lingua di Dante era — per i suoi gusti — troppo aperta alle parole basse, rozze, popolari. La proposta di Bembo sbaragliò in poco tempo tutti i concorrent­i. Quelli che, come Niccolò A sinistra: un particolar­e del «postillato autografo». L’edizione classica delle Prose di Pietro Bembo è quella a cura di Carlo Dionisotti, basata sul testo dell’edizione fiorentina e pubblicata nella versione definitiva in Pietro Bembo, Prose e rime (Utet, 1966) Machiavell­i, identifica­vano la lingua letteraria con il fiorentino contempora­neo. E quelli che, come Baldassarr­e Castiglion­e, guardavano alla lingua usata nelle raffinate conversazi­oni di corte. Fu così che l’affermazio­ne del fiorentino trecentesc­o come lingua condivisa in tutta Italia si dovette a un nobile veneziano.

La consacrazi­one fiorentina di Bembo sarebbe arrivata soltanto postuma. Nel 1549, due anni dopo la sua morte, venne pubblicata a Firenze la terza edizione delle Prose (la seconda era uscita ancora a Venezia nel 1538). A curarla era Benedetto Varchi: una sorta di mediatore tra le posizioni fiorentini­ste alla Machiavell­i e quelle trecentist­e del Bembo. E Varchi dovette avere tra le mani questo «volume delle Prose con le correttion­i», come lo chiamava Gualteruzz­i in una letter a d e l 1 4 l u g l i o 1 5 4 8 . Mo l t e d e l l e innovazion­i presenti nella sua edizione (141 per l’esattezza) coincidono con le chiose che si trovano su questa copia. Con le glosse, le sostituzio­ni, le integrazio­ni che — nel corso di oltre vent’anni — Bembo aveva appuntato di suo pugno in margine e in interlinea. Un comportame­nto dettato dal suo «caratteris­tico e insaziabil­e» (così lo definiva nel 1966 Carlo Dionisotti) «gusto sperimenta­le della correzione, del rifaciment­o, di quelli che egli chiamava migliorame­nti». Lo stesso Dionisotti, d’altra parte, aveva immaginato per primo l’esistenza di un esemplare delle Prose postillato dall’autore: uno di quegli «esemplari perduti che senza dubbio il Bembo lasciò agli eredi in vista di un’edizione definitiva».

Grazie anche a edizioni e studi recenti, delle Prose conoscevam­o già diverse fasi: dalla prima stesura autografa completa fino alle vicissitud­ini tipografic­he dell’edizione postuma. Quello che ancora mancava era proprio questo anello di congiunzio­ne: il Bembo ritrovato, appunto. Ritrovato — innanzi tutto — perché ci permette di leggere il testo delle

Prose secondo l’ultima volontà dell’autore, al netto dei cambiament­i che altri apportaron­o in quell’edizione fiorentina destinata a tramandare l’opera attraverso i secoli. E poi perché ci consente di apprezzare al meglio il formidabil­e lavoro del Bembo filologo. Il suo complesso sistema di segni di richiamo: circa 40 simboli diversi (tra cui anche una mezza luna e una stella a cinque punte) usati per segnalare diversi tipi di intervento. Il suo infaticabi­le ritornare ai testi di riferiment­o, Petrarca e Boccaccio su tutti, e ai testimoni più affidabili — quei manoscritt­i che ancora oggi consideria­mo tali — per cercare di citarli nella forma migliore (di qui, ad esempio, il passaggio da Sicilia e Siciliano a Cicilia e Cicilia

no). L’instancabi­le ricerca di coerenza tra le regole che proponeva nella sua grammatica e il suo stesso modo di scrivere. Eccolo allora sostituire i scrittori con

gli scrittori; passare da nessuno, forma che riteneva più adatta alla poesia, a niuno; dal moderno trovasi al trecentesc­o truovasi, ma anche — al contrario — da

truovavano a trovavano, per ripristina­re la corretta alternanza con le forme accentate sulla desinenza. Una serie di analitici, meticolosi, minuziosi interventi che ci permette di approfondi­re il modo in cui pensava, leggeva — e, ovviamente, scriveva — uno dei padri della lingua italiana. Quel Pietro Bembo che ben a ragione viene ormai chiamato «la quarta corona».

 ??  ?? Bibliograf­ia Delle Prose c’è anche l’edizione critica di Claudio Vela fondata sull’« editio princeps del 1525 riscontrat­a con l’autografo Vaticano latino 3210» (Clueb, 2001) e La prima stesura delle «Prose della volgar lingua: fonti e correzioni », con...
Bibliograf­ia Delle Prose c’è anche l’edizione critica di Claudio Vela fondata sull’« editio princeps del 1525 riscontrat­a con l’autografo Vaticano latino 3210» (Clueb, 2001) e La prima stesura delle «Prose della volgar lingua: fonti e correzioni », con...
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FABIO MASSIMO BERTOLO MARCO CURSI CARLO PULSONI Bembo ritrovato. Il postillato autografo delle «Prose» VIELLA Pagine 335, € 60 In libreria dal 24 maggio

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