Corriere della Sera - La Lettura
De Chirico sotto de Chirico
Si conclude una lunga campagna di test diagnostici e di analisi su oltre trenta opere del pittore metafisico. Davanti ai nostri occhi appaiono così ripensamenti, correzioni ed «errori»
L’angelo distoglie lo sguardo, il tempio si rovescia. Una strana figura spunta dalla balconata che dovrebbe essere deserta. Cinque gocce corrono in orizzontale. Sagome che compaiono e scompaiono, macchie che si allargano e non sono macchie, colori creati con il piglio dell’alchimista. Nelle tele di Giorgio de Chirico, appena sotto la superficie, c’è un mondo invisibile, sfuggente. Un mondo che ora è stato catturato dalla scienza.
L’autore immaginava i suoi soggetti come istanti rubati a un sogno, cristallizzati e tradotti in pittura. Il percorso creativo resta misterioso ma infrarossi e fluorescenze raccontano una storia nuova. La fisica applicata alla metafisica svela dettagli inediti, come quelli colti ne L’Enigma dell’ora, dove la pittura a olio nasconde disegni non corrispondenti a ciò che si vede a occhio nudo. Nell’opera, datata 1911, de Chirico presenta le primissime distorsioni della prospettiva, accorgimento con cui ricrea la dimensione onirica. L’analisi rivela che l’intuizione è stata folgorazione: se nel quadro che conosciamo la fontana centrale è deformata, nel disegno sottostante è del tutto coerente con il paesaggio. La tesi è dunque che l’artista — in genere, confermano i test, fedele alle proprie idee di partenza— abbia modificato in corsa la composizione, gettando solo con la pittura le basi di ciò che diverrà una sua cifra distintiva.
Ancora. La piazza assolata è animata da una donna e un uomo, lei in bianco e lui in nero, lei in luce e lui in ombra. Dualismo incrinato da un terzo, minuscolo sog-
getto che fa capolino dalla balaustra e su cui la critica si è interrogata a lungo (una triangolazione? Un osservatore?). Eppure questa figura nel disegno di base non esiste. «Non sappiamo cosa abbia voluto dirci l’autore, non lo sapremo mai davvero — spiega Gianluca Poldi, fisico specializzato in archeometria che ha esaminato la tela a New York —. La scienza però non mente: nella traccia preparatoria le persone sono due, la terza non c’è. È stata aggiunta all’ultimo, infatti il suo pigmento si trova in un solo altro punto del quadro: la firma». A caccia dell’invisibile
La campagna scientifica dedicata a Giorgio de Chirico fa capo al Centro di arti visive dell’Università di Bergamo, punto di riferimento internazionale nel campo della diagnostica. Sotto gli occhi e gli strumenti di Poldi — che già si è occupato, fra gli altri, di Botticelli e Mantegna, Lotto e Tiepolo, Morandi e Fontana — sono passate oltre trenta opere prime del maestro della pittura metafisica: analisi condotte in anni e occasioni diverse, con committenze pubbliche e private, dall’Italia agli Stati Uniti. Uno dei punti centrali è stato il lavoro propedeutico a
Metafisica e avanguardie, de Chirico a Ferrara, retrospettiva che nel 2015 riunì una schiera di capolavori, seguito da studi per le conferenze al Cima (Center for italian modern art di New York) e, ancora, per la Casa museo Boschi Di Stefano. Proprio quest’ultima ha in cantiere una pubblicazione finanziata dal Comune di Milano
dove gli esiti dei test — di cui ora si tirano più in generale le somme e che «la Lettura» anticipa qui — saranno un capitolo chiave.
Angeli incerti e trofei sottosopra
Le indagini seguono due filoni: disegno e materia. Nel primo, per scoprire tracce sotto il colore, s’impiegano riflettografie infrarosse, transilluminazione e luce radente. «Gli esami — prosegue Poldi — mostrano un autore sicuro di ciò che sta facendo: i suoi ripensamenti sono pochi, diversamente da quanto osservato nel lavoro del collega Carlo Carrà. Ma le eccezioni sono interessanti: L’Enigma dell’ora, come detto, oppure Perugine
sca (1921) e Facitori di trofei (1925-27)». Gli ultimi due fanno parte del patrimonio di Casa Boschi Di Stefano.
Peruginesca si colloca nella fase in cui l’artista studia i maestri di Quattrocento e Cinquecento — Fra Angelico, Piero della Francesca, Perugino, Raffaello, Michelangelo — e a volte li copia. «Il volto è quello dell’arcangelo Michele nella pala di Vallombrosa del Perugino. Sotto la superficie c’è una prima versione, molto meno legata all’opera a cui si ispira: la testa non è inclinata, l’angelo è frontale». Nell’invisibile punta lo sguardo sullo spettatore, nel visibile lo distoglie. De Chirico aveva provato a muoversi in autonomia, tornando poi sui suoi passi. «Anche un cappello appare e scompare. Non solo: nel disegno nascosto si vede una finestra». Dettaglio dell’arte antica a cui il pittore dedica trattati, definendolo «elemento lirico e suggestivo. Quel pezzo di mondo che esso ci mostra (…) eccita la mente e il pensiero». Nella tela, però, di nuovo cambia idea. La finestra tanto amata sparisce, sostituita da un paesaggio.
Facitori di trofei nasconde una rivoluzione, in senso letterale. Il soggetto finisce sottosopra. «In infrarosso si vedono il frontone del tempio ribaltato e figure umane rovesciate». Due opere in una.
Cosa è successo? «Forse — ipotizza lo studioso — l’autore non era soddisfatto e ha ricominciato da zero, girando il quadro per non essere disturbato da vecchie sagome. Non si pensi a un soggetto iniziale abbozzato: il dipinto era molto avanti». Ricicla la tela: bizzarro per uno del suo calibro. «Ma è un periodo in cui ha molte committenze, è possibile che non voglia sprecare i supporti…».
Le analisi condotte dagli scienziati raccontano anche molto della tecnica. Nudo sulla spiaggia, dipinto nel 1931, è interessante, ma non per i ripensamenti. Anzi, il contrario. In questo caso il disegno potrebbe «vivere» autonomamente tanto è curato il chiaroscuro invisibile. «Dato eccezionale nella casistica diagnostica finora raccolta — scrive Poldi nel suo saggio per la Casa museo milanese —, la fitta trama del colore ha un corrispettivo a livello grafico, un tratteggio a carboncino o lapis che definisce la tornitura dei volumi nelle ombre». È l’esempio di un nuovo interesse per le ombreggiature e della meditazione sulla pittura di Rubens.
Invettiva contro i tubetti
La tecnologia decritta anche la materia. La tecnica. Il colore. La «polpa» che a lungo ossessiona il maestro. «Ne ha scritto moltissimo: volevamo capire come stesse davvero applicando le sue teorie». Le spettroscopie puntano su pigmenti e pennellate, fotografando senza dubbi un percorso creativo fin qui intuito: l’autore parte con stesure piatte e alterna materia magra (specie nelle prime tele metafisiche) a una più spessa. Negli anni Venti la sua ricerca proseguirà minuziosa: sarà la fase delle velature liquide, delle sperimentazioni.
Emblematico l’esame su Le muse inquietanti, capolavoro del 1917 in cui gli esami colgono strane gocciolature: «Dalla scatola azzurra su cui siede una musa partono cinque tracce verso sinistra, in orizzontale. Evidentemente — spiega il fisico — la tela era stata appoggiata su lato ad asciugare, prima che l’artista dipingesse il cilindro che si sovrappone alle colature. Colature che poi decide di lasciare, probabilmente come segno del caso, o come per dirci: la pittura è viva».
Si scoprono errori che errori non sono. «Nell’opera c’è una macchia. Si è pensato fosse uno sbaglio, un danno causato dal tempo. L’analisi del pigmento ci dice invece che il verdeazzurro è stato modificato dall’autore, caricato ad arte con altri elementi in modo da risultare anomalo».
La scienza coglie anche curiosità, come le formule dei colori. Giorgio de Chirico disprezza i prodotti standard e nel 1919 si lancia in un’invettiva contro i tubetti. «I nostri pittori dovranno stare attenti al perfezionamento dei mezzi — afferma sulla rivista “Valori plastici” —: tele, colori, pennelli, vernici dovranno essere scelti fra quelli di migliore qualità. I colori purtroppo oggi sono pessimi, poiché la cialtroneria e l’amoralità dei fabbricanti, la smania di far presto, hanno incoraggiato a smerciare mercanzie pessime». Così inizia a preparare da sé le tele e a testare miscele. L’olio di papavero «perfetto perché non ingiallisce» sostituisce quello di lino, l’uovo ricompare come legante in barba ai ritrovati sintetici. Vere e proprie ricette che contribuiscono a creare il mito del
Pictor optimus, come lui stesso amava definirsi.