Corriere della Sera - La Lettura
«La Quadriennale accenderà l’arte italiana contemporanea»
Franco Bernabè è il presidente della Fondazione che sta lavorando per ripristinare a Roma l’appuntamento istituito nel 1927. Qui fa il punto su obiettivi e strategie. «Immagino un sistema unico con la Biennale di Venezia e la Triennale di Milano». Appunta
«La Quadriennale di Roma? Può completare un Sistema Italia dell’arte c o n t e mpo r a n e a c h e oggi ha uno storico e forte asset nella Biennale di Venezia con una sua straordinaria visibilità internazionale. E che può già contare anche sulla Triennale di Milano, per il design», spiega a «la Lettura» Franco Bernabè, presidente della Fondazione Quadriennale che sta lavorando per ripristinare, a Roma, il grande appuntamento con l’arte contemporanea italiana istituito nel 1927.
La Quadriennale, nata con l’intento di selezionare ogni quattro anni il meglio dell’arte prodotta in Italia, dunque come terzo asse portante di un sistema del contemporaneo?
«Esattamente. Se Venezia con la Biennale che traccia le sue origini sin dal 1895 da sempre ha avuto un ruolo di vetrina della grande arte internazionale, forte dell’unicità di una città sull’atlante globale degli appassionati d’arte, Roma con la Quadriennale può colmare la grande lacuna dell’arte contemporanea, italiana però. Può, in altri termini, avere un focus molto più locale e aiutare il Paese a promuovere e valorizzare quei nuovi talenti che troppo a lungo sono stati trascurati».
Non a caso da quest’anno la Quadriennale ha un vero direttore artistico, Sarah Cosulich (che ha iniziato con Francesco Bonami alla Biennale di Venezia e dal 2012 al 2017 ha diretto Artissima a Torino), come la Biennale di Venezia.
«Il lavoro di scelta del direttore artistico Cosulich, selezionata con una grande call, un grande bando, ha impegnato molto la Quadriennale. Alla fine l’abbiamo scelta perché il suo progetto internazionale per la Quadriennale andava nella stessa direzione dei piani della Fondazione. Il Paese ha pochi forti asset competitivi da spendere, cultura e arte sono tra questi. E abbiamo aspettato troppo a lungo prima di comprendere l’importanza di credere e valorizzare il nostro patrimonio d’arte. Non soltanto l’arte antica ma il contemporaneo. Risultato? All’estero la conoscenza della nostra produzione di arte contemporanea si ferma agli anni Sessanta e Settanta, all’arte Povera e alla Transavanguardia».
E quale sarà allora il piano della Quadriennale diretta da Cosulich che ha chiamato come co-responsabile della curatela Stefano Collicelli Cagol, per accendere la luce sulla nuova produzione italiana d’arte? Sui nuovi talenti?
«Abbiamo pensato a un fondo, Q-International, creato per sostenere le spese per far arrivare all’estero i progetti e i talenti italiani: in concreto, musei e istituzioni internazionali non-profit possono fare richiesta per ottenere aiuto economico rispetto a progetti che coinvolgono artisti del nostro Paese».
Lavorerete un po’ con la logica dei progetti di incoming dell’Ice (l’Istituto per il commercio estero), per arredo, food o moda made in Italy? Con altri budget, ovviamente?
«L’idea è un po’ quella. Sul modello di istituzioni internazionali come il Mondriaan Fund in Olanda, Iaspis in Svezia o Pro Helvetia in Svizzera. Il fatto è che i musei e gli spazi espositivi internazionali tendono a favorire l’invito ad artisti provenienti da Paesi dove le istituzioni sono in grado di fornire loro un aiuto economico. Il sistema italiano dell’arte sin qui ha pagato questa debolezza con una minore visibilità e una ridotta circolazione dei suoi protagonisti».
Quali spese saranno coperte dalla Quadriennale, una coproduzione della
Fondazione La Quadriennale di Roma e dell’Azienda Speciale Palaexpo, per aiutare l’«export» dei giovani talenti italiani dell’arte?
«Dal sostegno per l’assicurazione o per il trasporto delle opere, fino ai costi di viaggio e di ospitalità degli artisti o all’aiuto, ancora, nella realizzazione di pubblicazioni». E dove saranno reperiti i fondi necessari per attivare questo processo?
«In parte attingiamo a risorse provenienti dalla Quadriennale, risparmiate dalla 16ª edizione nel 2016 al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Ma serve anche un’azione di fundraising con aziende, privati, istituzioni pubbliche e anche sostenitori individuali. Il concetto non è più quello della sponsorizzazione ma della condivisione da parte dei privati dello spirito, del progetto e della sensibilità della Quadriennale». Quanto servirà?
«Mezzo milione di euro sino al 2020 solo per il progetto di internazionalizzazione che ha in mente la Quadriennale, e per un progetto parallelo che abbiamo battezzato Q-Rated che si articolerà in tre workshop e in un simposio ogni anno con protagonisti del mondo dell’arte italiana e internazionale. Perché la Quadriennale deve anche alimentare un dibattito costruttivo sul contemporaneo. Un’iniziativa che costituirà anche un’opportunità di ulteriore espansione per l’archivio della Fondazione».
Lei ha guidato Eni e Telecom, oltreché la Biennale di Venezia: è abituato ai budget dei campioni dell’economia italiana. Quanto costerà invece il progetto Quadriennale, diciassettesima edizione, nel 2020?
«Intorno ai due milioni di euro; 1,5 milioni era stato invece il budget dell’edizione della ri-partenza dopo lo stop di otto anni per mancanza di fondi. Ma adesso abbiamo riattivato un circuito virtuoso, grazie anche al grande lavoro di valorizzazione del contemporaneo e penso anche al varo dell’Italian Council (il fondo per giovani artisti italiani all’estero, ndr) fatto dal ministero di Beni culturali a guida Franceschini. Ma il progetto della Quadriennale non si esaurirà nell’esposizione del 2020, si completerà con un sistema diffuso di eventi nella capitale. Obiettivo: fare sistema nell’arte come nel mondo delle imprese, con un’agenda di appuntamenti, alla quale come per la sedicesima edizione, contiamo aderiscano oltre 25 musei, fondazioni e gallerie private di Roma: dalla Galleria nazionale d’arte moderna al Maxxi, ma anche il Macro, l’American Academy e gallerie come Gagosian. Di più, l’ambizione della nuova Quadriennale sarà di attivare una sinergia su scala nazionale tra gallerie, musei e fondazioni legate al contemporaneo». A proposito di fondazioni, i privati hanno fatto molto in questi anni.
«Indubbiamente, a Milano come a Roma il lavoro di fondazioni private, dalla Fondazione Prada alla Fondazione Nicola Trussardi, ha riattivato tutto un circuito artistico prima sopito. E i privati lavoreranno assieme al pubblico per consentirci di realizzare il piano della Quadriennale 2020». Nel 2020 la Quadriennale avrà anche una sede?
«Abbiamo finalmente trovato un luogo fisico: il ministero ha assegnato alla Fondazione una straordinaria location come l’Arsenale Pontificio vicino a Porta Portese».
Si rafforza il parallelismo con la Biennale di Venezia che ha trovato, negli anni Ottanta, una sede espositiva all’Arsenale di Venezia…
«L’Arsenale di Venezia è il più vasto centro produttivo d’epoca preindustriale dove lavoravano fino a 2 mila persone al giorno, enorme complesso di cantieri dove si costruivano le flotte della Serenissima e dove s’armavano le navi crociate fino al Cinquecento quando dovette cedere il passo al primato degli olandesi. Simbolo della potenza economica, politica e militare di Venezia. Certo, l’Arsenale Pontificio di Roma ha altre dimensioni. E intanto è stato necessario consolidarlo».
Quanto ci vorrà perché la Quadriennale prenda finalmente possesso dell’Arsenale? «Almeno tre anni, a breve partiranno le opere di riqualificazione del sito».