Corriere della Sera - La Lettura
Echi e suoni Il videogame che si può ascoltare
Una stanza. Difficile dire quanto ampia: le pareti non si possono vedere. Si distingue il rumore del mare e, più forte, di passi: sembra arrivino da un corridoio, basta ascoltare. Questo chiede Echoes from Levia: Soulbound: ascoltare. Debutto autofinanziato di Cloverbit, startup fondata da quattro ex studenti di informatica dell’Università di Milano, è un videogame pensato per ipo- o non vedenti. Sembra azzardato chiamarlo videogioco, eppure, come gli altri cosiddetti audiogame, è la testimonianza delle applicazioni dell’interattività digitale. Ambientato in un leggendario medioevo nordico, racconta di Seric, figlio del becchino di un villaggio costiero, che per fuggire ai predoni stringe un patto con un’entità ultraterrena. Invece di inscenare la storia con la grafica, il gioco la fa sentire sfruttando un audio cosiddetto binaurale in un ambiente a tre dimensioni: in parole semplici, sebbene una componente visiva l’abbia (sopra, un’immagine), Echoes from Levia usa echi e riverberi per far percepire la topografia di una stanza, il materiale delle sue pareti, la presenza di un nemico. Una dinamica narrativa inusuale, che esalta la capacità inclusiva del videogioco e che in Italia vanta una piccola tradizione di eccellenza, come dimostra il catalogo della bolognese TiconBlu: dalla fantascienza ai simulatori di guida. «Eppure — dice Marco Donati, portavoce di Cloverbit — c’è un’intera categoria trascurata. È una mancanza per un medium che ha un rilievo crescente». Echoes from Levia, presto disponibile anche per telefoni, vuole colmarla: «L’idea è farne una saga».