Corriere della Sera - La Lettura
Il rosso cambia come i pomodori Albers visto da chi non vede
Siena propone un originale percorso per consentire di esplorare le opere del maestro tedesco del colore anche a visitatori con disabilità visive. Ci siamo fatti accompagnare da uno di loro
Josef Albers ha avuto un sogno per t ut t a l a v i t a : « a pri re gl i occhi » . Quello che il pittore, designer e teorico del colore (1888-1976) sperava, era che le persone potessero «imparare a vedere» attraverso la conoscenza e l’arte. Insieme alla moglie Anni (1899-1994), tessitrice e pittrice, i due — provenienti dalla scuola del Bauhaus — hanno realizzato opere che questo senso del vedere lo hanno sfidato: con forme, colori, materiali. Ai loro lavori s’ispira la mostra Josef and Anni Albers. Voyage inside a blind experience, che il complesso museale del Santa Maria della Scala, a Siena, ospita fino al 4 luglio.
Sulla scia della loro filosofia, il progetto ripensa l’esperienza artistica con un modello inclusivo di mostra temporanea (è la prima volta in questo campo) fruibile sia da normovedenti che da persone con disabilità visiva, che mette al centro l ’a r te c o n te mporane a ( e mozi o n a l e , «estetica») e non didascalico-figurativa.
L’esposizione curata da Gregorio Battistoni e Samuele Boncompagni, con il supporto della Josef and Anni Albers Foundation, nasce dal progetto Vibe della startup umbra Atlante Servizi Culturali, vincitrice del bando Europa Creativa 2014-2020 dell’Unione Europea e capofila di una collaborazione internazionale con il Glucksman University College di Cork, in Irlanda, e il Museo di arte contemporanea di Zagabria (che ospiteranno l’esposizione dopo luglio), con il supporto dell’Istituto dei Ciechi di Milano.
Per conoscere le sensazioni di un percorso come questo, «la Lettura» ha chiesto a una persona non vedente di farle da guida: Deborah Tramentozzi ha 30 anni, è di Priverno (Latina), studia lettere classiche, collabora con Tooteko (che ha realizzato le audioguide della mostra), è assistente tiflologa ai Musei Vaticani, guida museale e anche cantante. Con lei il nostro viaggio inizia in un corridoio sensoriale buio dov’è possibile esplorare materiali usati dagli Albers: Deborah tocca, muove, costruisce una chiave di violino con un fil di ferro: «Il corridoio è un po’ l’introduzione del percorso. Anni e Josef giocano con i colori — spiega — che il non vedente non può capire. Ma anche con i materiali: qui sta il nostro riscontro, dall’emozione che danno, dall’inaspettato». Nella sezione dei Paper folding (opere di carta), Deborah scatena la fantasia: «Mi piace assimilare le forme: ecco una lampada di carta, qui l’anello di mia madre… ogni piegatura della carta mi dà sensazioni diverse. Ah, qui sento la ciambella di Homer Simpson!». E questo faceva Josef con i suoi allievi: stimolava la creatività con le proprietà del materiale.
Lo stesso vale per i Matières, realizzati per giocare con le qualità di una superficie (struttura, texture, lavorazione). Deborah si sofferma su uno: «È una sensazione bellissima: il liscio e il fresco delle biglie, con il morbido del muschio, mi fanno sentire rassicurata». A indisporla è un Matière di roccia e carta, «la pietra è aspra, mi ricorda qualcosa di insidioso». La stessa sensazione che salta agli occhi.
Nella sala della musica, in cui si trovano sette copertine che Josef disegnò per la Command Records, l’esperienza è completa: le note jazz rimandano alle forme geometriche sui vinili: «La musica è tradotta in forme inaspettate». In mostra ci sono anche cinque lavori originali con cui si può interagire. In due di questi si può percepire lo spessore del colore, l’impasto. Deborah ci spiega il rosso: «Lo associo al pomodoro; il rosso cambia al tatto come cambia il gusto quando è cucinato in modo diverso». Tocca poi il giallo: «È spesso... me lo immaginavo morbido, leggero. Invece è potente». Deborah si lascia stupire dai dettagli, quelli che spesso ci sfuggono perché «la vista è un senso panoramico, mentre il tatto è un senso particolare», spiega. Con le mani, Deborah «osserva» altri mondi e scopre l’emozione di opere che non può catturare con gli occhi ma che riesce a interiorizzare con tutto il resto del suo corpo. E con una fantasia sconfinata.