Corriere della Sera - La Lettura

La rivincita di Patroni Griffi 40 anni dopo

- Di FRANCO CORDELLI

«Persone naturali e strafotten­ti» è tornato a Roma Nel ’74 fu stroncato. Ma che lodi da Visconti e Stoppa

le recensioni, le molte stroncatur­e, Patroni Griffi osservò: «In Italia il critico vuole assolutame­nte ogni volta trascinare l’autore sul banco degli accusati, mentre per mestiere dovrebbe essere la sentinella della libertà dell’autore». Erano parole di evidente risentimen­to. Erano parole sbagliate — che tuttavia danno la misura di un mondo diverso, in cui comunque vi era un rapporto tra critica e mercato. Oggi censori come quelli cui pensava Patroni Griffi non ve ne sono davvero più: benché, si direbbe, per disgrazia, non già per fortuna.

Elio Pagliarani aveva scritto: «Qui il fasullo è esibito in modo serioso con risultato noioso, e tutto si potrà perdonare fuorché la noia, fondata sul fasullo»; oppure: «Ecco, scarseggia piuttosto la gran parlata napoletana: che era la faccenda che io per esempio aspettavo con più interesse». Ma entrambe queste osservazio­ni più di quarant’anni dopo appaiono non proprio fondate.

Violante (Marisa Laurito) è colei che presta la casa a ore: e lei senza dubbio esibisce con misura proprio quella «gran parlata napoletana»; di più sarebbe stato stucchevol­e. In quanto al noioso, non se ne parla: di noioso non c’è nulla, non c’è che uno scoppietta­nte e continuo scambio di battute feroci, di giudizi lapidari di ogni personaggi­o verso gli altri e verso il mondo, di fuoriuscit­e d’anima. È vero invece che in Persone naturali e strafotten­ti vi è qualcosa di fasullo.

Prima di vedere lo spettacolo, che poi non vidi, nel 1974 incontrai Patroni Griffi nella sua casa di via Margutta (là dove abitava anche Pagliarani). Aveva appena finito di girare Identikit, un film con Elizabeth Taylor. Con quanto aveva guadagnato, come disse il suo agente Enrico Lucherini, finanziò lo spettacolo. Così il suo autore mi parlò della commedia: «I quattro protagonis­ti sono persone libere e disincanta­te: tutte e quattro accomunate dal fatto di essere in qualche modo dei diversi, degli emarginati che, però, hanno accettato questa loro condizione e che hanno deciso di essere quello che sono. L’incontro assolutame­nte casuale tra questi quattro personaggi si avvale dell’unità di tempo e di luogo. Si svolge infatti nelle ore che vanno dalla fine di un anno al principio di un altro, tra il 1971 e il 1972 o tra il 1972 e il 1973. Violante (Pupella Maggio) è la compiacent­e ospite; Mariacalla­s (Mariano Rigillo) è un altro napoletano, un travestito: per scelta, non per debolezza; il terzo, Byron (Arnold Wilkerson) è un uomo di colore, un poeta, che vuole scrivere poesie sui cimiteri di guerra: il padre è morto proprio a Napoli; Fred, ovvero Alfredo (Ga- briele Lavia) è un giovane di vent’anni che ha qualcosa che gli altri non hanno, è felice, pensa che questa vita valga la pena di essere vissuta».

Il problema di Violante, di Mariacalla­s (oggi uno scatenato, istrionico Filippo Gili), di Fred l’«innocente» (Giovanni Anzaldo) e di Byron (il cupo Federico Lima Roque) è d’essere, oltre ciò che sono, quattro intellettu­ali. O almeno così si disse nel 1974. Ora, è vero che Mariacalla­s nomina il Gran Maestro Viennese, e poi specifica trattarsi di Freud; che in bocca all’uno o all’altro, anche a Violante, troviamo opinioni che non ci si aspettereb­be in un ambiente così degradato, e perfino giudizi politici sulle leggi americane, sui sistemi carcerari degli Stati Uniti, e grida di rivolta in favore dei Black Panthers, ovviamente datate.

Ma Persone naturali e strafotten­ti, come si vede nella leggerezza della regia di Nicoletti, non consiste di queste battute. Consiste della sua struttura, la medesima delle commedie precedenti, del tutto inedita nel dramma borghese: una struttura aperta, senza linee di svolgiment­o verso una o altra direzione, arresa alla sua «naturale» libertà di sviluppo e di linguaggio.

Vi è in Patroni Griffi una spudoratez­za che conserva intatta la sua forza; vi è la strafotten­za del titolo, che si tocca con mano non solo nei dialoghi, ma anche nei fatti (il rapporto tra Byron e Fred provoca a Fred, a causa della «robustezza» di Byron, delle gravi lacerazion­i: ma Fred continua a essere felice — in confronto al suo occasional­e amante, che sostiene di vivere in nome dell’odio per un mondo rivoltante, ingiusto); vi è quel dolore di fondo, buio a sé stesso, riservato, e solo alla fine manifesto: è il palmo della mano che Violante aveva dischiuso per ricevere denaro da Byron e che, dopo averlo rifiutato, mantiene aperto — quello straziante palmo della mano tesa in avanti per ricevere qualcosa che in quella travagliat­a notte di Capodanno non si può ricevere.

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