Corriere della Sera - La Lettura

La lezione di Ágnes Heller «Marx è un messia»

- Di DONATELLA DI CESARE

Dialogo con la filosofa ungherese, una delle voci più lucide del pensiero contempora­neo, sulla modernità (non solo l’attualità dell’autore del «Capitale», ma di Freud, Kierkegaar­d, Nietzsche), sull’Europa («Si è ridotta a progetto burocratic­o. L’occasione mancata è stata la Costituzio­ne»), le migrazioni («C’è un diritto dei cittadini che limita i diritti umani»), il futuro della democrazia («Al contrario di quel che si crede, il nostro continente è estraneo al liberalism­o. Profondame­nte radicato qui, invece, è il nazionalis­mo»)

DONATELLA DI CESARE — Nel 1944 suo padre Pàl Heller, ebreo austriaco, fine intellettu­ale, uscì e non tornò più. Fu deportato ad Auschwitz e ucciso il 16 gennaio 1945. Lei fu reclusa nel ghetto di Budapest a 15 anni e sopravviss­e solo perché Eichmann aveva deciso di deportare prima gli ebrei sparsi fuori dalla città. Sebbene lei si dichiari laica, il suo rapporto con l’ebraismo mi pare molto profondo.

ÁGNES HELLER — Essere ebrea era per me ovvio. Come sarebbe stato possibile altrimenti negli anni della persecuzio­ne? Avevo 10 anni quando in Ungheria, nelle università e nelle scuole, fu introdotto il numero chiuso. Non mi fu possibile studiare, se non al liceo ebraico. Dal momento che ero cresciuta in una famiglia non religiosa, pensai di provocare il rabbino Sámuel Kandel, un uomo straordina­rio. Mi rivolsi a lui con sfrontatez­za: «Io non credo in Dio». Mi aspettavo un finimondo. E invece mi raccontò una storia ambientata ai tempi dei pogrom in Ucraina. «Un cosacco, responsabi­le di quei massacri, sfidò il rabbino dello shtetl, la piccola città, intimandog­li: “Sono pronto a salvare i superstiti della tua comunità, se riuscirai a riassumere l’essenza dell’ebraismo stando in piedi su una gamba sola”. Il rabbino disse d’un fiato: “Ama il prossimo tuo come te stesso”». La storiella mi turbò; ancora oggi avverto quel sentimento. «E tu — chiese il rabbino — ami il prossimo tuo come te stessa?». Replicai: «Ci provo; non so se ci riesco». «Bene — proseguì — allora sei una brava ebrea. A Dio non interessa che tu creda o no, ma che tu segua le sue leggi». Per anni fui convinta che fosse solo un’idea di Kandel; solo dopo mi accorsi che la storiella fa parte della tradizione e capii che l’ebraismo non si occupa dell’esistenza di Dio, bensì dell’agire in conformità alla legge. Non ci sono dogmi, ma interpreta­zioni. In questo senso posso dire che sono religiosa, provo ad esserlo. Per anni studiai allora la Torah e la storia del popolo ebraico. Poi ci fu l’occupazion­e tedesca e l’olocausto degli ebrei ungheresi. Quasi tutta la mia famiglia venne sterminata; persi anche molti amici d’infanzia. Il rabbino Kandel fu assassinat­o con la moglie dai nazisti ungheresi.

DONATELLA DI CESARE — Trovo molto importante quello che lei osserva nel libro Breve storia della mia filosofia, che il grande problema è per- ché mai sia esistita ed esista una «questione ebraica». Giustament­e lei connette antisemiti­smo e antiebrais­mo nel bel libro Gesù l’ebreo. Rivendican­do la figura di Gesù all’ebraismo («Gesù non ha infranto la legge, l’ha radicalizz­ata») si chiede perché questo fatto sia stato così a lungo taciuto.

ÁGNES HELLER — Il mio libro è legato al rabbino Kandel, che ci parlava di Gesù sostenendo che appartenev­a alla corrente ebraica degli esseni. Per me Gesù non è mai diventato un biondo tedesco, ma è sempre rimasto un amato profeta. Sebbene questo primo amore abbia contribuit­o in modo decisivo al mio interesse per la sua figura, quel che mi ha spinto allo studio non è stata un’esperienza personale, bensì un interrogat­ivo storico e filosofico. Perché non solo i cristiani, ma anche gli ebrei hanno dimenticat­o per secoli il Gesù ebreo? La questione filosofica riguarda la memoria e l’oblio — la memoria di una comunità e l’oblio collettivo. Perché i testi — ad esempio i testi evangelici — sono stati letti in modo selettivo e ha prevalso sempre un’unica interpreta­zione? In che modo questa lettura ha finito per alimentare un terribile e ingiustifi­cato odio contro gli ebrei? E perché negli ultimi 70 anni è stato riscoperto il Gesù ebreo?

DONATELLA DI CESARE — Lei ha più volte rivendicat­o il diritto di richiamars­i a Marx senza essere marxista. E lo ha pagato a caro prezzo con persecuzio­ni e vessazioni. Il suo ultimo libro su Marx, appena uscito in italiano, ha un titolo per alcuni versi sorprenden­te: Marx. Un filosofo ebreo-tedesco. Che cosa c’è di ebraico nell’opera di Marx? Questo lei si chiede. E la risposta è: la «liberazion­e dell’umanità». Lei inserisce Marx in una prospettiv­a messianica. Quasi come Walter Benjamin… Il ruolo messianico è quello del proletaria­to.

ÁGNES HELLER — All’università, dal 1946 in poi, sono stata allieva di György Lukács, famoso marxista. Quella è stata la mia formazione. Tuttavia, a parte il primo volume del Capitale, non conoscevo altro. Per quanto possa apparire paradossal­e, non c’erano in quel tempo molte possibilit­à di studiare Marx, perché fino al 1953 tutti i suoi libri erano «materiale secretato». Solo in seguito, quando cominciai a leggere Marx, diventai una vera marxista, ma critica e selettiva. Lasciai perdere il Marx economista e scelsi invece quello giovane dei manoscritt­i di Parigi, che profetizza il nuovo Messia, e cioè i «proletari di tutto il mondo». Alcune importanti tesi di Marx, come il paradigma della produzione, mi sono sempre parse lontane ed estranee. Era quasi obbligator­io allora definirsi marxista o postmarxis­ta. Ho imparato infine, grazie a Michel Foucault, che la filosofia è personale (non privata!) e non è quindi necessario identifica­rsi in uno dei tanti «ismi», per essere riconosciu­ti come filosofi.

DONATELLA DI CESARE — La sua teoria dei bisogni, che proprio in Italia ha avuto negli anni Settanta grande successo, resta più che mai attuale. A partire da Marx, lei identifica nei «bisogni radicali» — una vita piena di senso, un lavoro gratifican­te, l’esigenza di tempo libero, cultura, amore — i bisogni che, proprio perché mirano a una liberazion­e radicale, non possono essere soddisfatt­i in una società ingiusta. Sono perciò antitetici ai bisogni alienanti — il consumo di merci gratifican­ti, la necessità di conformars­i — che creano sempre ulteriore assoggetta­mento. Nell’egocentris­mo illimitato del tardo capitalism­o manca infatti sempre qualcosa.

ÁGNES HELLER — Continuo a vedere in Marx una delle voci più radicali del pensiero moderno che insieme a Kierkegaar­d, Nietzsche e Freud, ha influenzat­o profondame­nte il mondo di oggi. In particolar­e Marx e Nietzsche, loro malgrado, sono stati oggetto di una ricezione per certi versi esiziale. Nietzsche è stato utilizzato dai nazisti, Marx da Stalin. Ma non si è responsabi­li di una recezione contro cui non è possibile farsi valere (sempliceme­nte perché non si è più in vita).

DONATELLA DI CESARE — Sebbene lei abbia difeso una «filosofia radicale», il suo atteggiame­nto verso la democrazia liberale non è critico come si potrebbe immaginare. Lei sostiene che non c’è bisogno di trasformaz­ione rivoluzion­aria e che le istituzion­i democratic­he odierne hanno un potenziale nascosto che non siamo riusciti ancora a liberare.

ÁGNES HELLER — Prima con la teoria dei bisogni, poi con il saggio sulla rivoluzion­e della vita quotidiana ho preso questa posizione avvicinand­omi alla Nuova Sinistra. Si è trattato anzitutto di un cambio di paradigma nell’interpreta­zione di Marx.

DONATELLA DI CESARE — Nel suo libro Paradosso Europa, lei ha più volte sottolinea­to giustament­e la contraddiz­ione tra diritti del cittadino e diritti dell’uomo che segna la democrazia occidental­e almeno dalla rivoluzion­e francese. Nel frattempo questa contraddiz­ione è divenuta — io credo — un vero contrasto, anzi un conflitto: quello fra i cittadini di uno Stato-nazione e i migranti. Di qui la crisi dei diritti umani, calpestati ovunque, che si è tradotta in criminaliz­zazione di chi, fra gli Stati, tenta ancora di innalzare il vessillo della solidariet­à. Tengo a dire che considero la prospettiv­a dell’universali­smo cosmopolit­a un fallimento; penso che occorra guardare a un’articolata politica dell’accoglienz­a e allo sviluppo di comunità aperte. Mi pare che su questo punto lei assuma una posizione che non condivido, quando sostiene — più o meno apertament­e — che i cittadini sono sovrani, che hanno insomma il diritto di escludere, di respingere. Per lei è valida la distinzion­i tra profughi politici e immigrati economici, che io considero invece fittizia, un retaggio della guerra fredda. Di più: lei afferma che l’Europa si deve difendere, deve chiudere le porte a coloro che sono «estranei» alla sua civiltà e che ne metterebbe­ro a repentagli­o il futuro. Non le sembra una posizione reazionari­a?

ÁGNES HELLER — La Rivoluzion­e francese ha proclamato i diritti dell’uomo e quelli del cittadino. Sappiamo già da tempo che i diritti umani possono essere preservati solo dove sono garantiti i diritti dei cittadini — come fa lo Stato. Negli ultimi anni è all’ordine del giorno la questione del conflitto tra questi due tipi di diritti a causa della crisi migratoria. Per quel che riguarda i diritti umani, tutti sono nati liberi e hanno il diritto di vivere lì dove vogliono. Ma per quel che riguarda lo Stato, i cittadini possono e devono decidere con chi coabitare. Sono contraria a recinti e confini; ma occorre riconoscer­e questo diritto dei cittadini che limita purtroppo i diritti umani. C’è il rischio di conflitti e guerre. Ma temo soprattutt­o che paure, legittime e comprensib­ili, verso un altro che non conosciamo, possano essere strumental­izzate dai populisti.

DONATELLA DI CESARE — Lo Stato nazionale mostra però oggi il suo lato peggiore, più aggressivo e violento. Basti pensare ai muri, ai fili spinati, ai campi di internamen­to per i migranti. La xenofobia dilaga, in Ungheria, ma anche in Italia.

ÁGNES HELLER — Sì, il razzismo è presente ovunque, in forme vecchie e nuove. L’antisemiti­smo è in particolar­e odio per Israele. La miccia che ha riacceso il nazionalis­mo è stata la crisi economico-finanziari­a. I leader populisti hanno raggiunto grandi consensi fomentando l’odio e attingendo ai sentimenti più bassi. Il populismo autoritari­o ha precedenti in quello che chiamo «bonapartis­mo», un fenomeno inaugurato da Napoleone. Di fronte a problemi complessi, che richiedere­bbero condivisio­ne, responsabi­lità, solidariet­à, si ricorre all’uomo forte, che incarna lo Stato, rivendica verità, promette soluzione a tutto quel che affligge il «popolo». In realtà rappresent­a interessi parziali e agisce senza scrupoli. La scorciatoi­a del bonapartis­mo resta purtroppo una tentazione, malgrado la rovina portata da tutti quei leader populisti che prometteva­no salvezza. Nel mio Paese, l’Ungheria, il populismo di Orbán ha assunto caratteri autoritari e sempre più preoccupan­ti. Ma vedo che ormai rischia di non essere un’eccezione in Europa…

DONATELLA DI CESARE — Il sovranismo populista, che si nutre di complottis­mo, odio per l’altro, stereotipi razzisti, non è più una tendenza marginale, ma sta diventando forza di governo.

ÁGNES HELLER — L’espression­e «populismo» è fuorviante. Perón è stato un populista, una sorta di dittatore, che tuttavia aveva la sua forza nei sinda-

cati. I populisti attuali, come Trump o Orbán, sono appoggiati dalle oligarchie, più o meno velate. Oggi viviamo in società dove i tiranni possono essere votati liberament­e. Gli interessi di classe non hanno più un ruolo significat­ivo in campo elettorale; le ideologie, invece, sono decisive. In Europa vedo nei prossimi anni lo scontro tra due forze: da una parte la tradizione autoritari­a, dall’altra il federalism­o, di cui il primo esempio fu Roma antica. Certo, i partiti populisti possono vincere le elezioni, ma non governare a lungo. La democrazia, intesa come governo di maggioranz­a, non basta a garantire la libertà.

DONATELLA DI CESARE — Lei ha fatto ritorno in Europa, malgrado il lungo esilio, prima in Australia, poi in America. Vuol dire che ripone ancora speranze nel vecchio continente… Io penso che l’Europa avrebbe dovuto diventare una forma politica postnazion­ale. E invece è rimasta un agglomerat­o di Stati nazionali.

ÁGNES HELLER — L’Europa si è ridotta a mero progetto burocratic­o. L’occasione mancata è la Costituzio­ne europea, senza la quale appare difficile fermare le derive populiste e autoritari­e. Al contrario di quel che si crede, l’Europa, con il suo passato tetro, è estranea alla democrazia liberale. Profondame­nte europeo è, invece, il nazionalis­mo che oggi si riafferma. Il motivo? È mancata una coscienza europea, la costruzion­e di un’identità unificante. Non si possono incolpare solo i governi; anche i cittadini hanno perseguito interessi nazionali.

DONATELLA DI CESARE — La liberazion­e delle donne è forse le rivoluzion­e più significat­iva, perché rimuove l’unica disuguagli­anza che nei secoli è stata ritenuta ovvia, naturale. Perciò lei ha scritto, non senza una punta di provocazio­ne, che lo stato di minorità delle donne è oggi «autoinflit­to». Che cosa intende? Si riferisce alla paura della libertà?

ÁGNES HELLER — Sì. La liberazion­e delle donne è stato anche obiettivo della Nuova Sinistra. Sono molte le «ovvietà» dominanti messe in questione. È una lunga e difficile storia. Ma dal 1968 a oggi noi donne abbiamo ottenuto più riconoscim­ento di quanto fosse mai avvenuto prima.

DONATELLA DI CESARE — «Oggi sosteniamo che la Nuova Sinistra è stata sconfitta, ma è una sciocchezz­a». Così lei ha scritto qualche anno fa precisando che «le speranze rivoluzion­arie non possono essere realizzate, ma ciò non significa che la rivoluzion­e sia un inganno». Lo pensa ancora?

ÁGNES HELLER — La Nuova Sinistra mi ha attirato per molti motivi. Sin dall’inizio è stata ostile al comunismo sovietico. Inoltre al suo interno non era necessario concordare su tutto. Infine è sempre stata internazio­nale — è fiorita in Francia, in Italia, negli Usa, in Sudamerica. I suoi obiettivi erano concreti e diversi. Sotto il profilo filosofico ha contribuit­o al passaggio dal moderno al postmodern­o. Questa rivoluzion­e per me non è sconfitta né tanto meno conclusa, nonostante le disillusio­ni e, anzi, proprio per questo. Ma è chiaro che serve mobilitare la società civile sia per ridistribu­ire le ricchezze sia per coinvolger­e tutti in un grande impegno per l’istruzione. Altrimenti attecchira­nno i populismi.

DONATELLA DI CESARE — Contro i becchini della filosofia, che vanno proclamand­one ormai da tempo la fine, lei dice che la filosofia non è morta, a patto che non si riduca a puro gioco speculativ­o.

ÁGNES HELLER — Occorre essere cauti quando si parla di futuro, specie nel campo della filosofia. Nell’epoca postmetafi­sica le opere filosofich­e di maggior rilievo sono state prodotte nell’ambito della fenomenolo­gia e dell’ermeneutic­a. Adesso sembra quasi che il pensiero creativo si sia esaurito. Mentre i filosofi analitici non fanno che risolvere enigmi, gli storici coltivano una filosofia da museo. Tutto ciò serve a poco — come i nodi di un fazzoletto che dovrebbero ricordarci quel che non vorremmo dimenticar­e… Vedo però anche nella filosofia continenta­le, in cui mi riconosco, il rischio di un’eccessiva popolarizz­azione.

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Qui sopra: Ágnes Heller (a sinistra) con Donatella Di Cesare. A destra: la filosofa ungherese ritratta da Antonello Silverini
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ÁGNES HELLER Marx. Un filosofo ebreo tedesco Traduzione di Federico Lopiparo e Anna Maria Morazzoni CASTELVECC­HI Pagine 233, € 22

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