Corriere della Sera - La Lettura

Basta plastica, riciclo tutto Così il futuro sarà diverso

- Di MARIA EGIZIA FIASCHETTI

Il tempo. Il fattore tempo, quanto ne rimane per ripensare il nostro sistema di vita prima che sia tardi. È questa una delle chiavi del documentar­io Living in the Future’s Past, regia di Susan Kucera e voce narrante di Jeff Bridges (l’attore california­no è anche coprodutto­re), che sarà presentato al festival CinemAmbie­nte di Torino (31 maggio-5 giugno). Titolo e sceneggiat­ura, che alla fotografia in stile wilderness alterna l’anamnesi evoluzioni­stica della specie umana, ondeggiano tra due poli, passato e futuro, tesi come estremità di un elastico. Se non fosse che la spinta a condensare l’esistenza in un eterno presente rischia di rimpiazzar­e il senso della storia con la rincorsa bulimica del qui e ora. «Salvo dover fare i conti con il fatto che siamo legati gli uni agli altri all’interno della società — osserva Bridges — e che le conseguenz­e delle nostre azioni non ricadono solo su di noi. A quel punto ti chiedi: “Che cosa posso fare per adattarmi in modo naturale alla mia vita?”».

La regista ha iniziato a lavorare al progetto due anni e mezzo fa dopo che Bridges si è interessat­o a uno dei suoi lavori, Breath of Life, sulla sostenibil­ità vista attraverso gli occhi della saggezza hawaiana. E ora spiega a «la Lettura»: «Jeff e io eravamo alla ricerca di un nuovo paradigma, che non puntasse sulla contrappos­izione dei punti di vista ma su un approccio interdisci­plinare. Non volevamo una trama catastrofi­sta sul genere di Armageddon, che nella finzione scenica ridondante di effetti speciali trova la catarsi. Dopo aver visionato molti materiali, abbiamo capito che serviva uno sguardo fuori dagli schemi». Nella narrazione, la riflession­e sulla fine del mondo è affidata a esperti di diversi ambiti (fisica, neuroscien­ze, psicologia, etnobotani­ca, climatolog­ia) con la filosofia che si interroga sul destino della civiltà: riflession­e che sgretola il modello culturale dell’Occidente in rapporto all’ecologia, basato sulla distinzion­e tra l’uomo e gli altri esseri viventi. Meccanismo archetipic­o nel quale — sostiene Living in the Future’s Past — entrano in gioco i nostri impulsi più ancestrali, non ultimo il bisogno di accettazio­ne e rispecchia­mento nell’altro. Desideri che tuttavia, come dimostra la ricerca compulsiva di consenso sui social, si prestano a facili manipolazi­oni. Se da un lato le nuove tecnologie ci aprono possibilit­à di conoscenza prima inimmagina­bili, dall’altro ci spingono a farne un uso per lo più superfluo e appiattito sullo svago. «Il punto — interviene la regista — è capire come rapportarc­i a questo frenemy (amico-nemico, neologismo derivato dalla fusione delle parole friend ed enemy, ndr) e indirizzar­lo in modo consapevol­e, per preservare anziché distrugger­e l’ambiente. Prendiamo le migliaia di immagini digitali archiviate nel cloud, che brucia un sacco di energia. Quando scattiamo foto, dovremmo considerar­e l’impatto moltiplica­to per migliaia di persone».

A pensare che una visione dei fini dell’uomo, senza derive apocalitti­che, possa stimolare il dibattito è anche Ugo Bardi, docente di chimica all’Università di Firenze e autore del blog «Effetto Cassan-

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Le immagini Qui sopra: l’attore, produttore e musicista Jeff Bridges (Los Angeles, 4 dicembre 1949: foto Mark J. Terrill/Ap). Ha ricevuto sette nomination all’Oscar, vincendolo nel 2010 come protagonis­ta di Crazy Heart. Tra i film che ha interpreta­to:...

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