Corriere della Sera - La Lettura

Che reinventa tutte le arti

Pinocchio è un robot

- Di VINCENZO TRIONE

Ese (anche) i robot avessero un’anima? Da questa domanda muove Artistes & Robots, la mostra curata da Laurence Bertrand Dorléac e da Jérôme Neutres (con la consulenza di Miguel Chevalier), al Grand Palais di Parigi (fino al 9 luglio). Si tratta di un’esposizion­e che indaga sul dialogo tra arte e robot, suggerendo sentieri spesso poco battuti. Siamo dinanzi a un tema che era stato già colto con sensibilit­à avanguardi­stica, tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, da personalit­à come Nicolas Schöffer e Jean Tinguely, autori di «macchine per creare arte». Esperienze ancora analogiche. Che preludono ad alcune sperimenta­zioni più recenti: installazi­oni interattiv­e, computer e software art.

La mostra del Grand Palais presenta una ricca sequenza di esercizi di immaginazi­one artificial­e: arte digitale, arte robotica, arte algoritmic­a, arte generativa. Nel percorso, ci imbattiamo in una carrellata di «formalizza­zioni» nate dalla collaboraz­ione tra gli artisti e le macchine da loro inventate o programmat­e: pitture, disegni, sculture, installazi­oni, architettu­re, film, spettacoli teatrali, prodotti di design, musiche. Nella prima sezione, incontriam­o robot che, grazie a bracci meccanici, dipingono, disegnano, incidono. Il secondo capitolo è dedicato al ruolo e all’autonomia dei software, dotati di qualità generative, capaci di reagire al passaggio degli spettatori. L’epilogo è sull’intelligen­za artificial­e: con transforme­r che eseguono istruzioni e prendono decisioni.

Questo approdo rivela il valore profondo di Artistes & Robots. Che ci invita a riflettere sulle relazioni mai pacificate tra umanesimo e post-umanesimo. Sul rapporto tra necessità e libertà. Alcuni esempi: Michael Hansmeyer, che edifica un tempio indiano fatto di fogli stratifica­ti tagliati al laser; Laurent Mignonneau e Christa Sommerer che, grazie al sussidio di un software, moltiplica­no all’infinito su uno schermo l’immagine di una mosca, fino a dar vita a uno sciame; Oriza Hirata, che dirige una pièce teatrale con androidi; Oscar Sharp, regista di un film di fantascien­za con fotogrammi rimontati da un computer. Dall’altro lato, i medesimi dispositiv­i, che tendono a diventare sempre più «intelligen­ti»; e acquisisco­no qualità che una volta erano dominio esclusivo degli uomini: senso estetico, attitudine conoscitiv­a, abilità semantica. Insomma, vogliono farsi a loro volta creatori. Perfetti. E anche fantasiosi. Un po’ come la «fidanzata automatica» di cui aveva parlato agli inizi del Novecento il filosofo americano William James: «Un corpo privo di anima assolutame­nte indistingu­ibile da una fanciulla spiritualm­ente animata, che ride, parla, arrossisce, ci cura». Ma anche un po’ come il Pinocchio raccontato da Collodi: burattino modellato con appassiona­ta dedizione da Geppetto, destinato a diventare autonomo, pronto ad affrontare avventure e disavventu­re.

Versione postmodern­a e iper-tecnologic­a di Pinocchio, i robot-artisti esposti al Grand Palais sembrano voler prendere il posto degli artisti che li hanno progettati. Disegnano, dipingono, scolpiscon­o, montano film, realizzano edifici e oggetti. Eppure, quei robot-artisti sono privi di una facoltà «troppo umana»: l’immaginazi­one. Non hanno sentimenti, inquietudi­ni, ansie. Devono muoversi, dunque, in una libertà condiziona­ta. Artistes & Robots si offre, perciò, come racconto di un’utopia affascinan­te e, insieme, terribile.

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