Corriere della Sera - La Lettura
Guerra delle terme Milano sfidò Roma
Potere e benessere Marmi greci e tunisini, mosaici sontuosi, spazi per la musica. Con un impianto di lusso destinato alla «mens sana in corpore sano» Mediolanum celebrava il nuovo ruolo di capitale dell’Impero. Un archeologo ha studiato tutti i frammenti (ora in mostra) di questa struttura del IV secolo
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Imarmi, preziosissimi, arrivarono a tonnellate: Milano capitale, fresca di nomina e ambiziosa per vocazione, non poteva non avere statue, dimore decorate a mosaico, pietre colorate provenienti da tutto il Mediterraneo. Il confronto con Roma non reggeva, per questo l’Augusto Massimiano Erculeo (in carica dal 286 al 305 d.C.) si preoccupò di dare lustro alla città dotandola di edifici pubblici, strade lastricate, nuove mura, un palazzo imperiale, un magazzino per i rifornimenti, un circo. E le terme, centro di benessere e potere per l’élite mediolanensis: una lussuosa «spa» (termine generalmente inteso come acronimo di salus per aquam, salute grazie all’acqua) in corrispondenza degli attuali corso Europa e corso Vittorio Emanuele, a pochi passi da piazza San Babila. Quattordicimila metri quadrati, decori grandiosi, soffitti stuccati, colonne e impianti di alta ingegneristica, finestre imponenti. Di quell’opera sontuosa, a circa sedici secoli di distanza, sono rimasti poco più di ottocento frammenti. Un archeologo li ha studiati, catalogati, ricomposti. Ne è nata una mostra al Museo Archeologico di Milano.
Il marmo verde di Grecia, il porfido rosso d’Egitto, il giallo tunisino. Piccoli reperti dai colori vividi, brillanti, recuperati da un grande monumento. La costru- zione delle terme — nel punto più alto della città, sul lato opposto rispetto alla residenza imperiale — fu ordinata dal coreggente di Diocleziano, Massimiano Erculeo, che governava sulla parte occidentale dell’Impero romano, diviso in quattro zone di influenza secondo il principio della tetrarchia. La struttura termale — molto simile a quella di Treviri, in Germania — comprendeva la palestra, grande spazio aperto esposto a nord e circondato su tre lati da portici, dove si faceva esercizio fisico, si correva, ci si allenava. Il blocco centrale era formato da calidarium e tepidarium rivolti a sud (e sopraelevati: sotto il pavimento passavano le tubature necessarie per scaldare gli ambienti), da un vasto frigidarium (1.100 metri quadrati) con grande abside che conteneva una vasca per i bagni con acqua fredda, da spogliatoi ( apodyteria) e locali attrezzati per la lettura, per la musica o addirittura per massaggi e depilazioni (il personale era numerosissimo: l’impianto, aperto a uomini e donne a giorni alterni, prevedeva percorsi differenziati).
«Gli ambienti — illustra Furio Sacchi, professore associato di Archeologia classica all’Università Cattolica di Milano che con i suoi studenti ha esaminato tutto il materiale — erano finemente decorati: alcuni ornamenti, rinvenuti tra Otto e Novecento, sono ora conservati al Museo Archeologico di corso Magenta, come il monumentale torso di Ercole; altri si trovano all’Ambrosiana, come il mosaico pavimentale che rappresenta la primavera e abbelliva il lato orientale degli spogliatoi». Le colonne tortili, finemente lavorate, si alternavano ai pilastri, centinaia di statue arricchivano gli spazi, lastroni di pietra in bassorilievo foderavano pareti alte otto-nove metri, pietre colorate rivestivano le vasche, l’acqua le faceva brillare, le terme risplendevano di rosso, bianco, verde, giallo. «Fu un lavoro colossale — continua il docente — di cui, in parte, conosciamo anche i prezzi». Il motivo: nel 301 dopo Cristo Diocleziano emanò l’Edictum de Pretiis Rerum Venalium, con cui stabiliva il costo massimo di qualsiasi bene conosciuto. «E quindi sappiamo che il porfido rosso, colore imperiale per eccellenza, costava circa 250 denari al piede cubico» (un piede: 29,56 centimetri). Per farsi un’idea: con quattro denari si compravano due carciofi.
Ancora lusso: foglie d’oro, pavimenti a sbalzo, giochi d’acqua. «Tale era la preziosità dei materiali — aggiunge Sacchi — che il poeta Ausonio sul finire del IV secolo celebrava la bellezza del quartiere termale e inseriva Milano al settimo posto tra le capitali del mondo allora conosciuto». Solo una precisazione: «Per quanto grandiose fossero le terme milanesi, quelle di Diocleziano a Roma erano ampie 14 ettari, dieci volte di più».
Restituire la memoria alla città: con questo obiettivo l’Università Cattolica, la Soprintendenza archeologica e il Comune di Milano hanno organizzato la mostra che si inaugurerà il 31 maggio al Museo di corso Magenta ( Quando il lusso diviene colore: i marmi delle terme Erculee di Milano). «Per la prima volta — dice Furio Sacchi — è stato studiato un edificio termale in tutti i suoi aspetti». Non è stato un lavoro semplice. Da quasi tre anni gli archeologi della Cattolica controllano frammenti, studiano la loro provenienza (anche con l’aiuto del Cnr), provano a immaginarli «in grande». Da una scheggia colorata sono riusciti a risalire al diametro (un metro) di alcune colonne, da un mosaico hanno individuato le vie commerciali tra Milano e Medio Oriente, Africa, Europa. Ulteriore difficoltà: i resti non sono tutti conservati nello stesso luogo. Sparsi tra il Museo Archeologico, i depositi della Soprintendenza, incastonati nei palazzi milanesi, perfino nelle aiuole (fuori dalla chiesa di San Vito in Pasquirolo, in largo Corsia dei Servi, in corrispondenza del frigidarium), raccontano altre storie, altre epo-
Il costo di un’opera Fu un lavoro colossale, di cui in parte si conoscono i prezzi. Ora, con gli scavi del metrò, si attendono ulteriori dati
che. Il Medioevo, che non risparmiò quegli splendidi marmi, trasformando statue e rivestimenti in materiale edile, usando i mosaici per pavimentare le chiese (già nel 402 la corte si era trasferita a Ravenna, un incendio potrebbe aver causato l’addio definitivo alle terme, probabilmente con l’arrivo di Attila, nel 452). E poi il Novecento, con gli interventi su una città devastata dalle bombe e determinata a diventare una metropoli moderna. Già nel 1844, nel libro Milano e il suo
territorio, Cesare Cantù scriveva del «bel torso marmoreo dissotterrato nel 1827 a San Vito al Pasquirolo», ma le scoperte più importanti risalgono al Dopoguerra, quando il cantiere per realizzare corso Europa portò alla luce i resti del complesso termale: le murature, l’impronta della vasca del frigidarium, alcuni pavimenti sopraelevati su colonnine in laterizio. Visti, fotografati (gli scatti saranno in mostra), di nuovo interrati. Altri scavi risalgono al 1985 e 1988, in un sotterraneo di Palazzo Litta Cusini Modignani furono trovati alcuni decori, poi ricollocati nell’edificio. In una cantina di corso Europa 11, sotto una botola, giacciono i resti marmorei del tepidarium.
Anche in questi giorni, con i lavori per la linea 4 della metropolitana, si lavora sotto corso Europa. Gli adeguamenti della rete fognaria hanno portato alla luce alcuni ambienti già noti. Si spera in altri ritrovamenti. «Lo studio avviato dall’Università Cattolica — sottolineano dalla Soprintendenza — restituisce in parte la ricchezza decorativa scampata al fuoco, alle distruzioni, alle sovrapposizioni che si sono succedute nel corso dei secoli». Quanto agli scavi in corso, che hanno toccato solo tangenzialmente la zona delle terme, «l’attenzione è molto alta». Sono soprattutto le aree intorno all’impianto a destare l’interesse degli studiosi, che aspettano «dati utili per capire la destinazione d’uso del quartiere prima della costruzione delle terme, fuori dalla cerchia muraria di età repubblicana ma dentro alla seconda cerchia di età tardoantica». Nell’attesa, il team di Furio Sacchi non si ferma. E annuncia la prossima sfida: un censimento di tutti i frammenti tardoantichi di Milano.