Corriere della Sera - La Lettura

Vodka e brutti pensieri Ma la contabile vincerà

La protagonis­ta del bestseller internazio­nale di Gail Honeyman si chiama Eleanor Oliphant. Ha una madre tremenda, antiche ferite e si è come ritirata dal mondo. Però... Però, intanto, noi lettori ci divertiamo, e parecchio

- Di ALESSIA GAZZOLA

Una casa è andata a fuoco. Era quella di Eleanor Oliphant. Della casa, carica di ogni tipo di riverbero metaforico, sono rimasti solo dei fiammiferi bruciacchi­ati. Di quell’incendio Eleanor porta sul viso e nel cuore una brutta cicatrice, ma quando la vede o la sfiora sa che è meglio dell’alternativ­a, che avrebbe voluto dire morire in mezzo al fuoco — «Non mi sono ridotta in cenere, ma sono emersa dalle fiamme come una piccola fenice. Ho attraversa­to il fuoco e sono sopravviss­uta». Ma in antitesi al titolo ( Eleanor Oliphant sta benissimo, Garzanti), Eleanor non sta affatto bene. Oltre 100 mila copie vendute in Gran Bretagna, per 24 settimane in classifica, in preparazio­ne un film prodotto da Reese Witherspoo­n, elogi che arrivano da Jojo Moyes e Paula McLain. Non è il classico caso editoriale che il mese dopo è già rimpiazzat­o da uno nuovo. Al contrario, resta nel cuore per molto tempo.

Eleanor Oliphant è una trentenne che vive a Glasgow e lavora come contabile presso uno studio di graphic design. Non ha mai preso un giorno di malattia e ogni anno le avanzano quelli di ferie. Odia tutto ciò che abbia a che vedere con il fumo e il suo armadio è spoglio. Trascorre una vita incolore fatta di poche, piccole abitudini: le cene da sola con la pizza surgelata, i cruciverba, i programmi su Bbc4, la telefonata del mercoledì sera di sua madre — e sin dalla prima conversazi­one si capisce che è una presenza molto difficile. Quando arriva il weekend non sa cosa fare del proprio tempo e si stordisce con due bottiglie di vodka.

C’è qualcosa di strambo e buffo in lei, una sorta di saggezza senza tempo nel modo di osservare tutto ciò che per le sue coetanee è la normalità. La ceretta, lo shopping, il codice di comportame­nto sociale — lei, che è socialment­e disfunzion­ale; lei che non ha mai potuto vivere la normalità e l’ha disperatam­ente desiderata per tutta la sua giovane esistenza. «Il dolore è facile, il dolore mi è familiare. Mi rifugiai nella stanzetta bianca che c’è nella mia testa, quella del colore delle nuvole. Sa di cotone pulito e di conigliett­o. L’aria lì è di un pallido rosa confetto e si sente una musica dolcissima».

La musica dolcissima è Top of the World dei Carpenters. «Che bella voce, ha un suono così colmo d’amore! Dolce e fortunata, Karen Carpenter», dice Eleanor con il suo abituale disincanto che non capisci mai se è serio. Per inciso, Karen Carpenter morì a 32 anni per le complicanz­e dell’anoressia.

Eleanor pensa di aver fatto ordine nella sua vita annullando le emozioni ed evitando le relazioni. Ma il malessere trova sempre un canale per defluire, per quanto si diventi bravi a governarlo e si provi a coprire con un lindo lenzuolo quel vasto fango che ribolle. Così Eleanor sviluppa una fissazione per un musicista palesement­e buzzurro che ha visto suonare durante un concerto. Tu speri che sia l’eroe romantico, che la sollevi dalle sue sofferenze. Ma attenzione, Eleanor Oliphant sta benissimo non è un romance. È piuttosto una storia di resilienza, termine molto in voga nella psicologia degli ultimi anni e mutuato dalla fisica, ovvero la capacità di autoripara­rsi dopo un trauma. Ed Eleanor ha vasta esperienza del significat­o di trauma: la madre che le ha sempre fatto pesare di non aver scelto la maternità, il padre mai pervenuto, la lunga catena di affidi fallimenta­ri. «Le palpebre sono solo due tendine di pelle. Gli occhi sono sempre accesi (...) vorrei strapparmi gli occhi per smettere di vedere tutto il tempo. Le cose che ho visto non possono essere non-viste», dice Eleanor, e sono queste le parti più dure e difficili del romanzo, quelle che raccontano l’infanzia spezzata, l’infanzia violata. Perché sarebbe diritto di ogni bambino essere amato per quel che è, mentre invece questa storia ci ricorda che non è vero che «sono tutte belle le mamme del mondo». Ed è una scelta narrativa audace, dato che il concetto di per sé è istintivam­ente disturbant­e. La madre crudele ha scavato una voragine dentro di lei, lì si è annidata e da lì tiene in ostaggio la sua personalit­à.

Ciononosta­nte, questo romanzo riesce a essere divertente. E non poco. Pur scomodando paure ancestrali, Eleanor intenerisc­e, diverte e commuove, perché la sua voce è intelligen­te, con il suo approccio alla vita naïf ma al contempo perspicace, il suo senso dell’umorismo tragicomic­o e sfolgorant­e. Una voce che non ha echi, non risuona di qualcosa già sentito, è sfumata e complessa in maniera credibile, senza sbrodolatu­re lamentose e pietismi.

Chi o che cosa mostrerà a Eleanor la strada del cambiament­o? Perché a mano a mano che la storia si dipana, il lettore non desidera che continui quell’esistenza di tristezza e spera che incontri qualcuno che possa indicarle una nuova direzione. Perché nessuno si salva da solo, come dice Margaret Mazzantini. Ed è così che entra in scena il potere della gentilezza, di quella mano tesa che ti salva dai brutti giorni, come li chiama Eleanor. Il potere della cura, dell’accudiment­o, delle sincere e affettuose attenzioni che le sono mancate sin dall’infanzia. La riscoperta delle emozioni, che per molto tempo aveva affogato bevendo. Perché non è mai troppo tardi per smettere di essere soli, per essere felici, anche alla fine di un doloroso cammino. «Nelle foglie degli alberi e nel tocco della brezza c’è un piacevole senso di felicità per me». Proprio come cantava Karen Carpenter.

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