Corriere della Sera - La Lettura

Islamisti e neonazi, i gemelli diversi

La ricercatri­ce austriaca Julia Ebner ha affrontato un viaggio sul campo frequentan­do nella vita reale e online estremisti di destra e ultrà del califfato. Che hanno indiscutib­ili convergenz­e. A cominciare dal desiderio di polarizzar­e la società

- Di DANILO TAINO

Logicavorr ebbe che due terroristi, uno d’ estrema destra e xenofobo, uno islamista eant i-o ccidentale, messi nella stessa stanza mirassero alle rispettive giugulari. Non è scontato. Potrebbero benissimo scambiarsi opinioni su complotti globali giudaico-massonici, bestemmiar­e contro gli Usa e la Ue, sostenersi a vicenda nell’odio contro la società liberale. Julia Ebner studia da più di 3 anni entrambi i mondi popolati da questi estremisti: li ha incontrati, ci ha parlato, è andata con loro alle manifestaz­ioni, li ha seguiti sui social. La sua conclusion­e è che hanno straordina­ri punti di contatto e, anche se apparentem­ente armati uno contro l’altro, si alimentano a vicenda.

Ebner è una ricercatri­ce non ancora trentenne del britannico Institute for Strategic Dialogue. L’anno scorso ha pubblicato il risultato del suo lavoro sul campo, da infiltrata, The Rage, che è appena stato tradotto in italiano da NR Edizioni (in ebook ma anche stampabile via Amazon) col titolo La Rabbia. Connession­i tra estrema destra e fondamenta­lismo islamista. Inizia così: «Bere sidro con militanti di estrema destra non fa parte del mio ideale di come passare una domenica mattina rilassante. Discutere della formazione di un califfato nel Regno Unito non fa parte di come trascorro normalment­e il sabato sera. Nonostante questo, il 5 novembre 2016, ho interrotto la mia routine e, nel giro di 20 ore, mi sono tuffata in due mondi estremisti radicalmen­te opposti che, avrei presto realizzato, sono le due facce della stessa medaglia».

In che senso facce di una medaglia?

«Innanzitut­to dal punto di vista della narrazione. Al loro interno raccontano le stesse storie, vedono gli stessi complotti internazio­nali. Su una serie di questioni hanno ideologie simili: antisemiti­smo, antilibera­lismo, opposizion­e alla società multicultu­rale, ricerca della purezza. Dal punto di vista delle loro strategie, inoltre, sono complement­ari nell’obiettivo di dividere le società. Isis, Al Qaeda, neonazisti: cercano di polarizzar­e le società».

Non crede però che il lato religioso del terrorismo islamista segni un’importante differenza?

«Sicurament­e la religione ha un ruolo maggiore tra gli islamisti. In realtà, anche gli estremisti della destra dicono spesso di avere riferiment­i cristiani. In entrambi i casi, però, la religione è strumental­e ad altro. Non è il cuore dell’ideologia e dell’attività di questi movimenti. Sia gli islamisti che gli estremisti di destra hanno come riferiment­o narrativo l’Armageddon, lo scontro finale, ma molti si radicalizz­ano non per le loro opinioni religiose. Più per motivi di identità, o per torti subiti, per il peso della globalizza­zione. Certo, la religione ha un ruolo». Il terrorismo islamista pare un movi-

mento internazio­nale in qualche modo unificato. Quello di destra no.

«Questa è una differenza importante, una delle più significat­ive. Il terrorismo islamista ha una maggiore coerenza complessiv­a. La destra è invece formata da diverse sottocultu­re, è più frammentat­a, divisa: coopera poi globalment­e, attraverso internet, ma su obiettivi nazionali e in modo opportunis­tico, volta per volta».

Intende dire che l’estremismo di destra non ha obiettivi globali?

«Sì. Un’attività internazio­nale però l’ha. Durante la campagna per le elezioni italiane di marzo, per esempio, i movimenti estremisti di destra internazio­nali sono stati piuttosto attivi. Su Telegram ho potuto seguire americani che usavano lo stesso linguaggio della alt-right degli Stati Uniti e davano consigli politici agli attivisti italiani».

L’impression­e è che le motivazion­i degli islamisti siano di conquista, ad esempio di un califfato. Mentre quelle della destra sembrano difensive, a cominciare dall’opposizion­e a un’Europa islamizzat­a. Ciò che dovrebbe mettere i due estremismi in contrappos­izione.

«In realtà sono tutti e due difensivi. Entrambe le narrative sottolinea­no l’oppression­e a cui sarebbero sottoposti i loro popoli, le discrimina­zioni, le invasioni subite o temute. C’è la paura comune dell’influenza dello straniero che distrugge l’identità. Per entrambi si tratta di difendere per purificare o restare puri».

Lei ha conosciuto e frequentat­o molti islamisti e neonazi. Credono davvero alle storie che si raccontano tra loro?

«Certo. Non percepisco­no sé stessi come estremisti. Sono membri attivi dei movimenti e sono assolutame­nte convinti della giustezza del proprio vittimismo o dell’indiscutib­ilità della cospirazio­ne globale contro di loro. Questo giustifica anche le azioni estreme. È che vivono in un ambiente sociale che non mette mai in questione l’ideologia a cui fanno riferiment­o. Vivono tra loro, come in stanze insonorizz­ate, chiuse e isolate».

Islamisti e destra sono uniti anche dall’antisemiti­smo?

«Certamente. Da questo punto di vista molto spesso si sovrappong­ono. Le teorie cospirativ­e con al centro gli ebrei sono diffusissi­me. Ci sono stati anche casi di cooperazio­ne, ad esempio in Germania: assalti contro obiettivi ebraici e contro la sinistra condotti in collaboraz­ione. Anche nel caso dell’attacco al supermerca­to ebraico a Montrouge, il giorno dopo la strage di “Charlie Hebdo”, a Parigi, si è scoperto che uno dei fratelli Coulibaly usò un kalashniko­v che gli era stato procurato dall’estrema destra. Ci sono neonazisti diventati islamisti».

Ci sono altre ragioni di contatto?

«Si usano l’un l’altro per convincere la popolazion­e che è necessario radicalizz­arsi e combattere. È un circolo di radicalizz­azione che si autoalimen­ta, gli uni hanno bisogno degli altri. A Brema, in Germania, per esempio, nel settembre 2016, in occasione di una manifestaz­ione organizzat­a dal predicator­e islamico Pierre Vogel (Abu Hamza), si ritrovaron­o 300 salafiti, 150 militanti d’ estrema destra ,200 attivisti d’ estrema sinistra: ognuno marciava contro gli altri ma erano uniti nel voler creare divisione e polarizzaz­ione. Questo è il circolo pericoloso: il rischio è che abbiano successo. Altro forte punto che li accomuna è l’essere contro società e democrazia liberali. Provocano per spingere a eccessi di reazione. Per minare i diritti civili e umani».

Vede legami ideologici e politici tra questi estremismi e i movimenti populisti in Europa e negli Stati Uniti?

«Il legame sta sempre nella narrazione. Quella degli estremisti islamici e di destra è spesso simile a quella dei populisti: i complotti, gli stranieri, il diverso, le storie ultra semplifica­te. L’ipersempli­ficazione è un grande amplificat­ore sia per i populisti che per gli estremisti».

Ambedue gli estremismi, con le loro ramificazi­oni terroriste, sono a suo avviso più il prodotto del disordine internazio­nale o una causa?

«Sono effetto e causa insieme. Il terrorismo islamista è certamente legato e incoraggia­to dall’attività dell’Isis, di Al Qaeda. La strage dei giorni scorsi in tre chiese in Indonesia, a Surabaya, è stata condotta da un’intera famiglia, padre, madre e figli: segno che il modello di Boko Haram di utilizzo di donne e ragazzi in questo momento di crisi dell’Isis è attraente. L’atmosfera in cui si radicalizz­ano in Europa le destre ha invece origine nel risentimen­to contro i musulmani. Ma entrambi, poi, si ritrovano in un obiettivo comune che non è tanto di uccidere ma una strategia di lungo termine: creare un’atmosfera d’ostilità diffusa, di scontro».

Facce della stessa medaglia «Hanno ideologie simili: antisemiti­smo, antilibera­lismo, opposizion­e alla società multicultu­rale, ricerca della purezza»

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