Corriere della Sera - La Lettura
UN GENIO UN PO’ ITALIANO
Lo scozzese Charles Rennie Mackintosh in un certo senso è anche un po’ italiano, pur non avendo mai lavorato nel nostro Paese. La sua concezione dell’architettura come progetto totale, declinato anche nei minimi dettagli di un interno, lo inserisce a buon diritto nella cultura progettuale del movimento moderno. Da queste riflessioni si sviluppò la ricerca di Filippo Alison che, già all’inizio degli anni Sessanta, cominciò a interessarsi al design del primo Novecento, ritenendo giustamente che alcune esperienze (Le Corbusier, Asplund, Rietveld, Wright, lo stesso Mackintosh) fossero state marginalizzate rispetto a una cultura del moderno assunta in modo schematico. Da qui, anche su indicazione dei fratelli Cassina, fondatori in Brianza dell’omonima azienda, si sviluppò la ricerca che, dal 1971, lo portò a Glasgow presso gli archivi della Scuola d’arte fondata dallo stesso Mackintosh, per effettuare direttamente alcuni rilievi, soprattutto sulle sedie. Quando vennero esposte la prima volta nel 1973, alla XV Triennale di Milano, fu un’autentica riscoperta; diventarono subito pezzi noti nel mondo. Si pensi a icone come la Willow Chair e la Hill House... Scrive Alison: «Di Mackintosh ho realizzato 35 sedie, sempre su disegni originali, facendoli poi costruire dai grandi artigiani del legno della Brianza, nel rispetto dei suoi disegni». Non basta disegnare gli oggetti, è necessario produrli; come per tanti designer non italiani, il nostro Paese rappresenta il riferimento fondamentale per passare dal foglio di carta all’oggetto. Mackintosh, scomparso nel 1928, ovviamente non potè vedere la realizzazione di un parte di questi disegni dove a posteriori si coglie un po’ di cultura italiana del «fare».