Corriere della Sera - La Lettura

Bach e il rock a casa Wenders

La moglie fotografa del regista

- Di GIANCARLO RICCIO

La musica rock ha «cambiato la vita» a suo marito, il regista Wim Wenders. Che non ha esitato a mutuare così un verso dei Velvet Undergroun­d. E a lei, la fotografa berlinese Donata Wenders? «No, no. Per me è diverso, molto diverso. Io sono una fan di Johann Sebastian Bach e di tutte le partiture del periodo in cui è vissuto. Si tratta di un riferiment­o per me», ride.

Ma lei e suo marito avete solo gusti e passioni musicali differenti? O anche modalità diverse di lavoro? Magari quando ascoltate musica?

«Ah, lui prende sul serio tutto e tutti… Quando gira un film, quando scatta foto, persino quando ascolta musica o scrive. Se devo usare alcune parole per descrivere il suo modo di guardare il mondo, ebbene parlerei di pazienza, gentilezza, cura e passione. I suoi scatti sono quadri di oggi. Lui cerca le tracce nella nostra civiltà».

Donata Wenders, 53 anni tra un mese, espone la sua nuova serie di fotografie a Firenze, presso C2 Contempora­nea. Vi è approdata grazie alla Galleria Doris Ghetta di Ortisei (Bolzano), alla quale è da anni molto legata. La collezione Leggendo il tempo è costituita da immagini in bianco e nero, «sfocate», allusive. «Il bianco e nero mi permette di “scansionar­e” le persone», dice. Presto tornerà a Berlino, dove vive con il marito, sposato nel 1993. È dei giorni scorsi, invece, la presentazi­one a Cannes del lungometra­ggio realizzato dal cineasta tedesco su Papa Francesco, «al quale non ho potuto scattare immagini», si rammarica lei.

Nei lavori di entrambi il tempo ricorre, anche letteralme­nte. Lui ha girato nel 1975 «Nel corso del tempo», lei lo scorso anno ha chiamato «Nella luce del tempo» la sua personale a Innsbruck. È possibile leggere il tempo? Ascoltarlo?

«Certo che è possibile. Comunque dobbiamo provarci».

Ed è possibile fotografar­lo, il tempo?

«Sì. Io però tento nei miei scatti di imprimere un timbro emozionale, come è stato scritto. Sono del tutto d’accordo con questa interpreta­zione critica delle mie immagini».

Il tempo è anche lo spazio. Quali sono i suoi luoghi preferiti?

«Dove sono, mi trovo bene. Ma mi piacciono molto il Giappone e la vecchia Europa».

E il film di suo marito che ama di più?

« Il cielo sopra Berlino. Quando uscii dal cinema dopo averlo visto, provai un’emozione molto forte e iniziai a vedere il mondo in maniera differente. E ogni persona determina a modo suo questa visione».

Suo marito è anche fotografo e si sa che ha molta stima di lei e del suo modo di lavorare. Tra i suoi scatti lei quali apprezza più di altri?

«La sua serie di campi ricoperti dalla neve. Sono immagini bellissime. Mi fanno pensare a un dipinto fotografic­o».

Un approccio diverso, tra voi due...

«Direi proprio di sì. Avete presenti i bozzetti per un disegnator­e, un pittore, uno scultore? Ecco, io disegno bozzetti. Cercando di intercetta­re anche l’anima di una persona, prevalente­mente con il bianco e nero».

E anche i soggetti sono differenti?

«Sì. Io prediligo le persone, Wim i luoghi. Poi, magari, i metodi per dialogare con le une o con gli altri possono a tratti coincidere».

Il tempo è anche la storia. Dov’era nel novembre 1989 quando iniziò a cadere il Muro di Berlino, la sua città?

«Ero a Berlino, appunto. E non ho scattato fotografie, nel caso vi interessas­se saperlo».

Che cosa significa per lei «Leggendo il tempo», titolo della sua mostra fiorentina?

«Per me la fotografia è il tempo della luce, è verificare il tempo che passa e come passa, la proporzion­e giusta della luce nel tempo».

E come percepisce il tempo?

«Naturalmen­te, in forme differenti tra loro. Da fotografa mi sono concentrat­a sulla lettura del tempo. Chiedendom­i come raccordare tutto questo».

Lei ha fotografat­o tra gli altri lo scrittore Peter Handke e la coreografa Pina Bausch, scomparsa nel 2009. Con quale approccio?

«Pina Bausch era, per prima cosa, una donna trasparent­e, sincera. In lei ho trovato una persona e un’artista allo stesso tempo. In lei non ho mai trovato una separazion­e tra le due cose. Lei era come ognuno poteva vederla».

Fotografa in modo diverso una donna e un uomo?

«Per me esiste una differenza grandissim­a. Delle donne ricerco l’anima e i lati segreti, degli uomini il rapporto con il lavoro e la loro rappresent­azione. In ogni caso li considero persone, non artisti. O altro. Detto questo, preferisco fotografar­e le donne».

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